ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 203/2023

14 Novembre 2023

Recenti strategie imprenditoriali in Italia nello scenario post – Covid

Paolo Carnazza attingendo a un suo libro recente (Navigare nella tempesta. Recenti strategie imprenditoriali e politica industriale in Italia), che si pone la principale finalità di fotografare alcuni recenti shocks strutturali e di analizzare il loro impatto sull’economia italiana, dà conto delle principali strategie adottate dalle imprese in risposta alla crisi pandemica e del ruolo della politica industriale nel presente scenario caratterizzato da un crescente grado di incertezza e di complessità

La fase storica che stiamo vivendo è drammatica per i suoi effetti devastanti sul piano economico, sociale e sanitario. L’effetto combinato della Rivoluzione tecnologica 4.0, che caratterizza l’intera area dei principali Paesi industrializzati da più di un quindicennio, e della pandemia, scoppiata nel marzo 2020, ha generato uno scenario caratterizzato da un elevato grado di incertezza e di complessità. Un terzo shock, attribuibile all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia alla fine di febbraio del 2022, ha sconvolto gli equilibri dello scacchiere politico internazionale alimentando un ulteriore clima di complessità e incertezza a livello mondiale. E il recente conflitto tra Israele e la Palestina rischia di generare scenari altamente drammatici con serie conseguenze a livello mondiale.

In un volume recentemente pubblicato (Navigare nella tempesta Recenti strategie imprenditoriali e politica industriale in Italia, Susil edizioni, 2023) mi sono posto, con diversi coautori, l’obiettivo di fotografare i tre shockstrutturali suindicati e di analizzare il loro impatto sull’economia italiana con particolare riguardo alla sua struttura produttiva nonché di sviluppare una serie di riflessioni sul ruolo che è stato e che potrebbe essere assunto dalla politica industriale all’interno del presente scenario caratterizzato da un incalzante susseguirsi di rischi sistemici. In queste note presento alcuni dei dati più rilevanti su come il sistema produttivo italiano ha reagito ai 3 shock indicati, e alle politiche adottate per mitigarne gli effetti. 

Molte imprese italiane hanno dimostrato di essere capaci di navigare in questa tempesta cavalcando la nuovaondata tecnologica e di reagire alla crisi pandemica attraverso strategie di innovazione, digitalizzazione, riconversione produttiva (anche parziale) dei propri impianti per realizzare i nuovi prodotti e servizi richiesti dalla crisi, rivolgendo infine una maggiore attenzione alla formazione professionale dei propri dipendenti. 

In particolar modo, dopo avere subìto gravi danni (soprattutto in termini di fatturato e di liquidità), parzialmente assorbiti grazie alle misure adottate dal Governo, molte imprese si sono riorganizzate adottando varie strategie per superare i danni dell’epidemia. E’ interessante rilevare che il COVID tra i molti e gravi effetti negativi ne ha avuti anche alcuni positivi, in particolare quello di aver spinto molte imprese a utilizzare in modo più diffuso e intensivo le nuove tecnologie, a realizzare maggiori investimenti per accrescere il benessere dei propri dipendenti, a utilizzare più diffusamente nuove modalità di lavoro quali lo     smart working. Contemporaneamente, una discreta quota di imprese ha realizzato strategie di riconversione (anche parziali) per rispondere ai nuovi bisogni emersi a seguito della crisi, sia spontaneamente che grazie agli incentivi disposti dal Decreto – Legge n.18/2020 (Decreto “Cura Italia”). 

Interessanti evidenze empiriche emergono da un’Indagine condotta dall’ISTAT in piena crisi pandemica; una di esse riguarda le imprese che dichiarano di non avere adottato alcuna strategia: si tratta del 36,5% (Figura 1) e la quota più elevata (54,5%) è concentrata nel  comparto delle costruzioni.

Figura 1: Strategie più significative che l’impresa ha adottato o sta valutando di adottare per rispondere alla crisi causata dall’emergenza sanitaria, distinte per macrosettore (valori percentuali)

Fonte: ISTAT, Situazione e prospettive delle imprese nell’emergenza sanitaria COVID – 19, maggio 2020. 

A fronte di ciò, circa un’azienda su quattro (23,2%) ha invece dichiarato di avere attuato o, comunque, di volerlo fare, una riorganizzazione dei processi e degli spazi sia di lavoro che commerciali. Inoltre, tra le modalità di risposta che complessivamente hanno raggiunto una quota superiore al 10%, troviamo, con il 13,6%, la modifica o ampliamento dei canali di vendita o dei metodi di fornitura/consegna dei prodotti o servizi (ad esempio, passaggio ai servizi online, e-commerce e modelli distributivi multicanale), con il 12,5%, il differimento o annullamento dei piani di investimento(Inclusi gli investimenti in R&S) e, con l’11,8%, la riduzione del numero dei dipendenti. 

Il 5,3% delle imprese intervistate ha risposto di avere realizzato nuovi prodotti/servizi o di avere introdotto nuovi processi produttivi connessi con l’emergenza sanitaria, pur restando nell’ambito della propria attività economica. Particolarmente attivi sono stati alcuni comparti produttivi, come il tessile, la chimica – farmaceutica, la gomma–plastica e l’automazione meccanica, che hanno modificato il proprio modo di operare per poter fare fronte alla domanda che, a causa dell’emergenza sanitaria, si stava concentrando soprattutto su mascherine, guanti, igienizzanti e respiratori. 

Più elevata (8,8%) risulta, invece, la quota di imprese che si sarebbero indirizzate verso nuovi prodotti/servizi/processi produttivi, pur non modificando la propria linea produttiva, indipendentemente dalla crisi da coronavirus.

Ulteriori evidenze empiriche emergono da una successiva analisi sulle strategie anti – COVID condotta sempre dall’ISTAT; in particolar modo, il 35,9% del campione intervistato dichiara di avere avviato strategie di riorganizzazione e cambiamento, il 33,3% di avere contratto la produzione e il restante 30,8% di avere espanso l’attività (Tabella 1).

Tabella 1: Strategie di reazione delle imprese manifatturiere (valori percentuali)

Fonte: ISTATNota mensile, maggio-giugno 2020

A seguito delle varie risposte alla crisi, l’ISTAT ha estrapolato – attraverso un’analisi multivariata – cinque distinte tipologie aziendali (ISTAT, I profili strategici e operativi delle imprese italiane nella crisi generata dal COVID – 19, 11 gennaio 2021):

  • statiche in crisi ‒ imprese che stanno subendo pesantemente l’impatto dell’emergenza sanitaria e non hanno adottato strategie di reazione ben definite; 
  • statiche resilienti ‒ aziende che non hanno messo in atto strategie di reazione perché non hanno subito effetti negativi rilevanti; 
  • proattive in sofferenza ‒ unità duramente colpite dalla crisi ma che hanno intrapreso strategie strutturate di reazione; 
  • proattive in espansione ‒ imprese colpite lievemente che non hanno alterato il proprio sentiero di sviluppo precedente; 
  • proattive avanzate ‒ imprese colpite in maniera variabile dalle conseguenze della crisi, ma che nel corso del 2020 hanno aumentato gli investimenti rispetto al 2019.

Le due ultime tipologie di imprese, che rappresentano, rispettivamente, il 19,4% e il 5,8% dell’universo di imprese, corrispondenti a poco più di 1 milione di unità, hanno realizzato investimenti in capitale e formazione e strategie di riconversione produttiva di prodotto/processo in connessione o meno all’emergenza sanitaria. Queste imprese sono state le più coinvolte nel processo di transizione digitale e nei nuovi modelli di Industria 4.0.

In sintesi, poco meno di un quarto delle imprese italiane avrebbe reagito alla crisi convertendo, anche parzialmente, le proprie linee produttive per produrre nuovi beni e servizi (soprattutto nel campo sociale e sanitario) in risposta alla crisi pandemica. Molte imprese, prevalentemente nel settore tessile, si sono riconvertite verso il biomedicale e, più specificatamente, verso la produzione di mascherine o gel disinfettanti. In tempi brevi molte imprese sono riuscite, quindi, a modificare gli impianti e a convertire la propria produzione. In questo scenario, hanno cercato di comprendere quali fossero i nuovi bisogni, anche per non uscire dal mercato. Da un’Indagine straordinaria sugli effetti del coronavirus realizzata dalla Banca d’Italia tra la fine di gennaio e la prima metà di maggio 2020 su un campione di circa 3.200 imprese dell’industria in senso stretto e dei servizi privati, emerge che le strategie di riconversione produttiva sono state adottate da circa il 4% del campione con punte di oltre l’8% nel settore del tessile e dell’abbigliamento (Banca d’Italia, Indagine sulle aspettative di crescita e inflazione, I trimestre 2020, 14 aprile 2020.

L’incertezza caratterizza però ancora gran parte del mondo produttivo; come emerge dalla terza rilevazione ISTAT ( Situazione e prospettive delle imprese nell’emergenza sanitaria COVID – 19, febbraio 2022); infatti, più di sette imprese su dieci dichiarano di non essere in grado di valutare l’orizzonte temporale dei fattori di rischio segnalati. L’incertezza si mostra particolarmente pervasiva nelle imprese più fragili (82,8% dei rispondenti) mentre il 10% di quelle solide (contro l’1,9% delle imprese a rischio) prevede che i fattori critici non si protrarranno oltre il primo trimestre del 2022.

Da rilevare, altresì, il crescente e importante ruolo svolto dallo Stato in questi ultimi anni (tema ampiamente analizzato e approfondito nel libro unitamente a più ampie riflessioni sui diversi Modelli di Stato). Inoltre, in un precedente contributo sul Menabò  (con Attilio Pasetto), sono contenute alcune riflessioni sul ruolo e sui limiti della politica industriale in Italia. che non si è limitata a interventi di carattere emergenziale a favore delle imprese e delle famiglie ma ha confermato, in parte modificandole, una serie di misure di agevolazione (attraverso in particolar modo crediti di imposta a favore delle spese in R&S e degli investimenti) per favorire il processo di digitalizzazione e di automazione produttiva delle imprese. 

Il riferimento è al Piano Nazionale Industria 4.0 avviato nel settembre del 2016, trasformatosi poi in Piano Nazionale Impresa 4.0 e, successivamente, in Piano Nazionale Transizione 4.0, quest’ultimo più attento alle micro e piccole dimensioni aziendali e ai problemi della sostenibilità. A questi interventi si è poi aggiunto un importante e strutturale tassello di misure e riforme definite all’interno del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (sulla cui complessità e difficoltà di realizzazione si sofferma Attilio Pasetto, nel capitolo 7 del volume), che dovrà gestire e spendere poco meno di 220 miliardi di euro entro il 2026.

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