ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 210/2024

28 Febbraio 2024

Maurizio Franzini, Lisa Magnani,

Disconnettersi: un diritto dei lavoratori (da conquistare)

Maurizio Franzini e Lisa Magnani prendendo spunto da un emendamento alla legge australiana sul Fair Work, approvato recentemente, riflettono sul diritto dei lavoratori a disconnettersi fuori degli orari normali di lavoro, ignorando messaggi e chiamate del datore di lavoro. Gli autori richiamano brevemente gli ostacoli al pieno riconoscimento di questo diritto e ritengono che in gioco non vi sia soltanto il problema del confine tra lavoro e non lavoro ma la più generale concezione del lavoro e del suo ruolo nella vita delle persone.

Il 12 febbraio scorso Camera e Senato australiano hanno approvato un emendamento che modifica il Fair Work Act del 2009. La notizia ha avuto risonanza a livello internazionale perché il tema è di grande importanza, per le ragioni che cercheremo di chiarire. Si tratta del diritto dei lavoratori alla disconnessione al di fuori degli orari di lavoro, quindi il riconoscimento del diritto di non rispondere, in quegli orari, a chiamate o mail del datore di lavoro o di terze parti (ad esempio, clienti). 

Il Fair Work Act australiano, promulgato durante il governo laburista di Kevin Rudd, non riconosceva questo diritto ai lavoratori. L’emendamento appena approvato conferisce ai lavoratori un diritto a disconnettersi e lo fa limitando, in particolare, la possibilità del datore di lavoro di servirsi delle tecnologie della comunicazione per richiedere prestazioni professionali ad un dipendente al di fuori dai normali orari di lavoro. I lavoratori interessati sono tutti coloro che usano le tecnologie digitali nell’ambito delle loro mansioni, le quali offrono l’opportunità di lavorare da casa e a distanza, anche fuori dai normali tempi di lavoro. Rientrano perfettamente in questa categoria i lavoratori della conoscenza, ovvero coloro che, secondo la definizione di Peter Drucker (The Landmarks of Tomorrow, 1959), applicano conoscenze analitiche e teoriche, spesso usando tecnologie digitali, per sviluppare nuovi prodotti e servizi. A partire dagli anni Cinquanta le tecnologie dell’informazione e della comunicazione hanno definito la terza rivoluzione industriale trasformando il nostro modo di lavorare, con enormi effetti sulla produttività, ma anche sulla nettezza del confine tra tempo di lavoro e tempo libero.

Il dibattito sul diritto dei lavoratori a disconnettersi è iniziato in Francia nel 1998, quando un autista di ambulanze per emergenze mediche fu licenziato per non avere risposto ad una chiamata telefonica del suo datore di lavoro. L’episodio fece accendere i riflettori sul tema del diritto alla disconnessione; ciò avvenne nel contesto del dibattito, già rovente in Francia, sulla riduzione dell’orario di lavoro e portò, dopo molti anni, a una legislazione che obbligava le organizzazioni con più di 50 dipendenti a iniziare le trattative per definire il diritto alla disconnessione (si veda a questo proposito, “French Workers Win “Right to Disconnect”

Il problema è stato affrontato anche da molti altri paesi all’interno del più generale problema della regolamentazione della flessibilità del lavoro. In Italia la legge numero 81 del 22 maggio 2017 ha fornito qualche protezione ai lavoratori italiani dagli eccessi dell’uso di tecnologie della comunicazione, che comportano il mancato rispetto di norme relative ai limiti dei tempi di lavoro stabiliti da leggi o contratti di lavoro. Più recentemente, la legge del 6 maggio 2021, n. 61 ha convertito, con importanti modifiche, un decreto legge del marzo 2021 che a sua volta era stato introdotto per fronteggiare l’emergenza da Coronavirus permettendo ai lavoratori di lavorare a distanza in caso di necessità (ad esempio per la presenza di figli minori in didattica a distanza o in quarantena). La legge no. 61/ 2021 di fatto riconosce al dipendente un diritto a disconnettersi dalle piattaforme informatiche che rendono il “lavoro agile” possibile. 

Leggi simili sono state approvate negli ultimi dieci anni in Spagna e Irlanda e qualche timido passo è stato fatto anche in Unione Europea (cfr. L. Lerouge e F. Trujillo Pons, “Contribution to the study on the ‘right to disconnect’ from work. Are France and Spain examples for other countries and EU law?” European Labour Law Journal, 2022).

L’emendamento al Fair Work australiano non affronta, dunque, un problema inedito. Esso offre, però, l’opportunità di riflettere nuovamente sull’importanza, per le sue rilevanti ricadute, di un pieno riconoscimento del diritto a disconnettersi. Le norme fin qui introdotte non prevedono un’applicazione generalizzata del diritto alla disconnessione ma introducono distinzioni basate sulle dimensioni dell’impresa o il settore di attività, rimandano spesso ad accordi individuali tra il lavoratore e il datore di lavoro e prevedono solo sollecitazioni alle imprese perché riconoscano quel diritto, non veri e propri obblighi. Ad esempio, l’emendamento australiano è limitato nella sua applicazione alle grandi imprese anche se la stragrande maggioranza dei lavoratori (il 68% ) è occupata in imprese di piccole e medie dimensioni (il corrispondente dato per l’Italia è circa 76%). Non vi sono invece limitazioni in relazione alla tipologia contrattuale, essendo inclusi i contratti di lavoro temporanei e di sub-appalto. Infine, la legge sollecita, anziché obbligare, le imprese ad adottare regole interne che rispettino il diritto dei dipendenti a disconnettersi. 

L’importanza del riconoscimento del diritto a disconnettersi può essere apprezzata da diversi punti di vista. Anzitutto quello del bilanciamento tra lavoro e non-lavoro, con le sue implicazioni anche per le disuguaglianze di genere, che è divenuto un problema assai serio da quando la connettività consentita dalle tecnologie della comunicazione e dell’informazione permette di essere sempre in linea. Il lavoro digitale rende la demarcazione tra lavoro e non-lavoro nebulosa e limita fortemente la capacità del lavoratore di controllare quei confini. A questo riguardo è rilevante la specificità dell’occupazione, l’anzianità del lavoratore oltre che la tipologia del contratto, ma a limitarla fortemente intervengono le regole dell’impresa su cui – specie in assenza di adeguata rappresentanza sindacale – molti lavoratori non hanno alcun controllo. Nella precedente legislazione australiana sembra che fosse dato per scontato, senza adeguata verifica, la capacità del lavoratore di esercitare questo controllo. Il riconoscimento del diritto alla disconnessione può risolvere questo problema. Come sottolinea O.Akanbi il successo della regolamentazione dipende proprio dalla capacità del dipendente di esercitare il suo diritto alla disconnessione.

C’è poi il punto di vista dei complessivi diritti del lavoratore, inclusi quello alla privacy e quello, collegato ma distinto, di poter porre limiti certi al tempo dedicato al lavoro. In questa prospettiva, misure come l’emendamento al Fair Work pongono un freno alla pretesa di una disponibilità costante e duratura del lavoratore, la cosiddetta “availability creep”(cfr. L. Sowden e A. Cheung, “The employee’s right to disconnect – what does this mean for employers, 2024).

Di fatto, si mette il dito su una piaga dei nostri tempi, ovvero l’allungamento dei tempi dei tempi di lavoro con le sue conseguenze nefaste sul benessere e la salute mentale dei lavoratori. Con lucidità e impiego saggio di dati e statistiche, nel 2022 E.Littleton e L. Raynes (“Call Me Maybe (Not)”[Office7] ) hanno documentato che il lavoro straordinario spesso è non pagato e, per molti, è involontario. Il 71% dei lavoratori intervistati sono coinvolti in lavoro “overtime”; per molti di loro questa è una pratica ricorrente, e risponde ad esigenze del datore di lavoro piuttosto che a decisioni individuali (ad esempio dettate dalla necessità di “lavoro agile”). Le ragioni della pratica del lavoro straordinario, sono molteplici; secondo le opinioni dei lavoratori che le denunciano esse sono una risposta ad un carico di lavoro eccessivo (36%), a carenze di personale (28%), al bisogno di operare senza interruzioni delle attività, che sono frequenti durante i normali orari d’ufficio (26%), e infine una risposta alle aspettative del capo (23%). Questo studio rivela anche come il lavoro straordinario non pagato sia un aspetto strutturale della relazione di lavoro nel 40% degli impieghi.

Al riguardo del lavoro straordinario vi è un altro importante aspetto da sottolineare. La versione del capitalismo che ha prevalso negli ultimi decenni, nel Nord globale ma non solo, ha comportato una vera e propria rivoluzione dei metodi manageriali con varie conseguenze tra cui, come sostengono Telford e Briggs (“Targets and overwork: Neoliberalism and the maximisation of profitability from the workplace” Capital & Class, 2022) – il  diffuso ricorso a incentivi, target di produttività e indicatori di performance che hanno reso il lavoro straordinario, non una norma, ma una “scelta” per molti lavoratori (spesso spiazzati dalla fabbrica e relegati al lavoro in proprio). 

Vi è poi un ulteriore punto di vista dal quale osservare la questione della disconnessione, che è forse il più generale: si tratta dell’impatto sull’organizzazione del lavoro. In gioco c’è anche un diverso modo di vedere la regolamentazione dei rapporti di lavoro e la flessibilità di quest’ultimo, nonché – si potrebbe dire – la concezione stessa del rapporto di lavoro. Quale sia oggi questa concezione è ben rappresentato dalla reazione di molte associazioni all’emendamento australiano che vedono nella disconnessione una minaccia seria alla produttività e, dunque, al futuro del benessere. Gli esempi del positivo impatto che può avere sulla produttività di molti lavoratori un’organizzazione del lavoro più attenta alle loro esigenze, alle loro motivazioni intrinseche e al loro bisogno di riconoscimento sono state documentate da numerosi studi, ed il tema è stato già trattato sul MenabòD’altro canto l’esperienza del ‘lavoro agile’ nel periodo della pandemia fornisce elementi a supporto della tesi che atteggiamenti più cooperativi nei confronti del lavoratori possono dare risultati positivi. In questa prospettiva, al di là delle sue conseguenze immediate, la legge sul diritto a disconnettersi costituisce quanto meno un invito ad immaginare diversi futuri per il mondo del lavoro. 

Dunque, in conclusione il diritto a disconnettersi non risponde solo all’esigenza di realizzare un accettabile equilibrio tra lavoro e non-lavoro e, d’altro canto, anche se inteso in questo senso limitato, la possibilità di vederlo effettivamente riconosciuto non è assicurata dall’approvazione di una legge. Occorre, come sostengono L. Lerouge e F. Trujillo Pons (2022), trovare misure e forme di azione collettiva, industriale o altro, che incoraggiano le imprese a sviluppare una serie di regole interne favorevoli all’implementazione della legge e idonee a rimuovere le circostanze che l’hanno resa necessaria. D’altro canto, come osserva anche Hesselberth (“Discourses on dis-connectivity and the right to disconnect”New Media & Society, 2018) l’impatto della legge sul diritto a disconnettersi sarà ben più ampio se contribuirà ad un dibattito sulla reale condizione del lavoro.

Dunque essenziale è riconoscere la possibilità, anzi la necessità, di rapporti di lavoro diversi, più orientati alla cooperazione e più compatibili con una vita che permetta alle persone di realizzarsi. A beneficiarne potrà essere anche la produttività.


 [Office1]https://www.bnnbloomberg.ca/australian-workers-will-get-right-to-disconnect-under-new-law-1.2032252

https://www.theguardian.com/money/2024/feb/07/australia-work-industrial-relations-reforms-labor-albanese-government

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