ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 210/2024

28 Febbraio 2024

Il “Male” strategico: la guerra. Schemi interpretativi per l’analisi dei conflitti

Bruno Chiarini, traendo spunto da un libro recente, illustra le implicazioni di alcuni schemi interpretativi utili ad analizzare in maniera razionale i vari fattori che possono portare allo scoppio di un conflitto e gli spazi di cooperazione e coordinamento tra contendenti che operano con gradi diversi di razionalità. Da questi modelli emerge, in particolare, come una diversa o parziale informazione da parte di un contendente, generando visioni distorte della situazione, può portare a strategie non conformi a criteri di razionalità.

Al momento ci sono una quindicina di situazioni di crisi nel mondo, dall’Algeria al Burundi, dall’Iran alla Tailandia. Le guerre, ufficiali, sono circa 30, Burkina Faso, Camerun, Ciad, Libia, Etiopia, Mali, Mozambico, Niger, Nigeria, Repubblica Centroafricana, RD del Congo, Sahara occidentale, Somalia Sudan del Sud, Afghanistan, Filippine, Europa fino alla Siria.

Perché un agente (Stato, Leader…) razionale dovrebbe intraprendere un conflitto? La guerra è un male pubblico globale, è inefficiente per definizione. Come si spiegano i numerosi conflitti in corso? Spesso politiche sulle risorse naturali, o aspetti regionali o territoriali, o anche culturali, portano i paesi ad avere interessi molto diversi e a non capirsi o non piacersi. Ma gli incentivi a negoziare dovrebbero sempre essere più desiderabili di una guerra. Per stati razionali contrattare è sempre meglio che combattere.

Sono quattro le spiegazioni più utilizzate nella letteratura. Due riguardano i vantaggi di un attacco preventivo. Se un paese è debole o si è indebolito e i vantaggi nell’invaderlo sono rilevanti, l’incentivo ad attaccarlo prima che si riprenda o che venga aiutato può risultare altrettanto rilevante. La seconda spiegazione, riguarda l’attacco preventivo in una situazione tesa e ormai deteriorata. Conviene attaccare per primi per il vantaggio dalla sorpresa. Il terzo motivo riguarda elementi che non possono essere divisi. Ostaggi, personalità politiche, terroristi, città (i casi di Berlino e Gerusalemme insegnano) sono indivisibili, così come la sovranità è indivisibile. Infine ci sono problemi di informazione incompleta. Gli stati non conoscono tutto dei loro rivali e quindi possono essere indotti a valutare erroneamente la situazione (potrebbe aver pesato questo aspetto nell’invasione russa dell’Ucraina). Insomma, ci possono essere dei contesti per cui un leader razionale non riesce a riconoscere il contesto o pensa che una soluzione cooperativa (sempre migliore nel caso di una guerra rispetto al conflitto) sia non realizzabile o che non dia i frutti sperati. 

Edgar Morin nel suo recente pamphlet “Di Guerra in Guerra” afferma che “riconsiderando il secolo precedente e il nostro fino ad oggi, posso attestare che tutti i maggiori eventi sono stati inattesi”, in particolare il centenario pensatore ricorda come gran parte dei conflitti mondiali sono apparsi come eventi “inattesi”, sebbene il contesto di riferimento fosse carico di tensioni. 

Non sempre l’accumulo di tensioni porta al conflitto aperto. In certi casi è inevitabile, in altri “giocando d’anticipo” è possibile disinnescare la crisi. Capire cosa rende un conflitto inevitabile o no, eliminando o riducendo fortemente la componente inattesa, è possibile con l’ausilio di schemi analitici ad hoc, che traggono ispirazione dalla Teoria dei Giochi, tema trattato in passato sul Menabò[pp1] . Un recente volume di cui sono autore con Patrizia Sbriglia (B. Chiarini e P. Sbriglia, Il “Male” strategico: La Guerra. Schemi Interpretativi per l’Analisi dei Conflitti, Rubettino 2024) presenta alcuni di questi schemi utilizzando un approccio intuitivo ma rigoroso. Un approccio utile per capire che “le guerre sono irrazionali” e quindi non dovrebbero essere intraprese, ma anche per capire perché il mondo presenta un numero sempre più elevato di conflitti, mentre molti altri vengono disinnescati dalla diplomazia e dalla capacità di cooperazione dei paesi. 

Questi schemi mettono in evidenza come le decisioni riguardanti i conflitti siano espressione di ragionamenti complessi precedenti tali decisioni, spesso trascurati dalla diplomazia. Dato il contesto geopolitico, non si può pensare che Vladimir Putin di punto in bianco un giorno decida di annettersi la penisola della Crimea. Cosi come non si può pensare che Hamas, di punto in bianco, decida un attacco terroristico della portata di quello effettuato il 7 ottobre del 2023. È difficile pensare che il generale Mladic in un caldo luglio del 1995 decida, di punto in bianco, un genocidio di circa 8000 musulmani bosniaci di Srebrenica e in Ruanda nel 1994, l’esercito e le milizie paramilitari decidano di punto in bianco di compiere il genocidio dei tutsi e degli hutu moderati. La lista è lunghissima. 

Parlare oggi di guerra porta inevitabilmente a pensare al conflitto tra Ucraina e Russia e alla situazione arabo-israeliana, adottando un punto di vista strategico da parte di agenti (Stati) considerati razionali o motivati da altri elementi comportamentali. Esistono centinaia di volumi interessanti sui diversi conflitti che infiammano il mondo e sui maggiori personaggi che ne sono protagonisti. Analisi storiche, sociologiche, geopolitiche e perfino psicologiche su Capi di Stato e strateghi. Molte di queste analisi sono assai interessanti ma non sembrano sorrette da schemi teorici rigorosi, capaci di approssimare molte situazioni belligeranti e utili per capire e prevedere possibili soluzioni (teoriche) e arricchire il ragionamento sui contendenti nonché trovare spazi cooperativi per la diplomazia. 

Partendo dall’ipotesi che gli Stati o i leader dei paesi in conflitto siano razionali, gli schemi che proponiamo possono essere estesi per includere aspetti comportamentali degli “attori” coinvolti, utili per prefigurare policy mirate ad evitare i conflitti. Spesso dei leader, si esaltano gli aspetti psicologici se non quelli patologici. Fattori come fiducia, identità, etnia, altruismo sono caratterizzazioni che determinano molte scelte in diverse contesti e che influiscono sulle soluzioni di conflitto o sono importanti per portare i paesi belligeranti verso un coordinamento o una cooperazione diversa dalle soluzioni (spesso funeste) trovate con l’agente razionale.

Applicare schemi strategici all’analisi dei conflitti e delle loro possibili evoluzioni serve per attivare un ragionamento che conduce a delle conclusioni spesso opinabili, ma comunque razionalmente fondate e importanti per non rimanere ancorati ai soli aspetti emotivi o ideologici che ogni conflitto esalta ed esaspera. 

La guerra è un evento “straordinario” e particolarmente importante nello sviluppo delle nazioni e delle relazioni internazionali. Quando scoppia un evento bellico, dunque, è inevitabile che ogni possibile interpretazione sia proposta al fine di comprendere la dinamica del conflitto ed individuare i canali migliori per la sua risoluzione. Questa attenzione genera una vastissima quantità di previsioni e punti di vista. Molto spesso le previsioni si rivelano sbagliate (si pensi, ad esempio, alle previsioni russe su una “guerra lampo”, a seguito dell’invasione della Ucraina, oppure alle aspettative errate degli Ucraini rispetto alla controffensiva della scorsa estate) e i punti di vista si rivelano contraddittori (si pensi al dibattito all’interno della Unione Europea sugli aiuti diretti alla Ucraina, dopo che sono state imposte sanzioni severe alla Russia all’inizio del conflitto).

L’esame di questi schemi di analisi è nato e ha conquistato importanza internazionale proprio per ragionare sui conflitti belligeranti fino alla conclusione della guerra fredda. In tema di conflitto, quindi, lo strumento teorico può servire a “sistematizzare” l’insieme di ipotesi e fornire un esito chiaro sul problema analizzato. Ad esempio, Perché le sanzioni in Russia non hanno funzionato o non quanto sperato-previsto? Quali sanzioni esplicitano la loro deterrenza e riescono a limitare i comportamenti. Qual è la differenza tra minaccia di sanzioni e applicazioni delle stesse? Le mediazioni diplomatiche, conviene svilupparle in segreto o renderle pubbliche? Come si rende credibile una minaccia? Meglio “bruciare i ponti” o “legarsi le mani”? La percezione che l’avversario ti voglia distruggere genera “profezie che si auto-impongono” e rendono labili i limiti della deterrenza? Perché uno degli elementi determinanti per ottenere la cooperazione tra Israeliani e palestinesi è la lungimiranza di queste popolazioni e perché è difficile che si realizzi? Perché questo conflitto è lasciato ad un catastrofico equilibrio precario di un gioco ripetuto (occhio per occhio) che si propaga nel tempo con esiti sempre più funesti? 

Questi schemi sono, lo ripetiamo, teorici e in quanto tale possono risultare astratti o troppo semplici per rappresentare contesti belligeranti. I ragionamenti che portano a soluzioni stabili (equilibri) in termini di strategie sono derivati dall’assunzione che i Paesi in conflitto siano agenti razionali, mentre spesso non lo sono o non riescono ad esserlo. Tuttavia, la flessibilità di questo approccio permette molte soluzioni e quindi un ampio spettro di ragionamenti: oltre alla soluzione possibile con l’agente razionale che può essere intesa come un benchmark con cui confrontarne altre soluzioni più realistiche, si possono facilmente incorporare ipotesi comportamentali diverse per i Leader o per i Paesi in conflitto; si possono analizzare gli “spazi” di cooperazione o anche quelli di coordinamento definiti dal contesto sotto le diverse ipotesi comportamentali, si possono analizzare questi spazi in maniera dinamica, ripetendo lo schema di conflitto più volte e inserendo nell’analisi nuove categorie strategiche, come la reputazione e la credibilità o l’eventuale deterrenza (minaccia di reazione da parte di altri Paesi e o sanzioni di vario tipo). Infine, ma forse il fattore più importante, possiamo studiare i possibili ragionamenti dei Paesi belligeranti ipotizzando una diversa informazione tra i rivali. Una diversa o parziale informazione da parte di un contendente può generare visioni distorte della situazione, e portare a intraprendere strategie non appropriate per un agente o Paese “razionale”.  


 [pp1]https://eticaeconomia.it/giochi-di-guerra-e-sogni-di-pace/

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