ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 177/2022

31 Luglio 2022

Diseguaglianza e inquinamento ambientale

Andrea Pili ripercorre i principali risultati cui è pervenuta la letteratura economica esaminando i rapporti diseguaglianza di reddito e riscaldamento globale e le ragioni per le quali una distribuzione più diseguale del reddito entro e tra i Paesi peggiori le emissioni inquinanti di gas serra (in particolare CO2). Pili si sofferma in particolare sui recenti lavori di Thomas Piketty e Lucas Chancel, in seno al World Inequality Lab della Paris School of Economics, in quanto ritiene che essi rappresentino il culmine di questo filone di ricerca.

Gli studi sulla relazione fra diseguaglianza e degrado ambientale si sono basati su tre approcci fondamentali:

  • Politico-economico (Boyce, in Ecological Economics, 1994). Il reddito pro-capite è una determinante della distribuzione di potere che incide sulla politica ambientale adottata e sulle sue conseguenze. Vige una power-weighted social decision rule: i soggetti più ricchi della società sono i principali beneficiari dalle attività economiche inquinanti; più grande la diseguaglianza di reddito con chi subisce il degrado ambientale, maggiore sarà il loro potere nel condizionare i governi sulla politica da applicare. 
  • Propensione marginale a emettere [MPE] (Scruggs, in Ecological Economics, 1998; Ravallion et al., in Oxford Economic Papers, 2000; Heerink et al., in Ecological Economics, 2001; Borghesi, in Fondazione Eni, 2006). Esiste un trade-off tra la riduzione delle emissioni e la riduzione delle diseguaglianze entro e tra i Paesi. Infatti, in caso di una redistribuzione del reddito verso il basso, le fasce più povere della società saranno indotte a consumare più beni carbon-intensive, data la loro più alta MPE. 
  • Consumistico (Schor, The Overspent American, 1998; Bowles e Park, in Economic Journal, 2005). Come insegnano le teorie di Veblen e Hirsch sul consumo dei beni posizionali, la concentrazione del reddito in cima alla distribuzione comporta – al fine di imitare le classi di rango più elevato – una grande competizione per il consumo di beni ad alto impatto ambientale. 

Grunewald et al., in Ecological Economics, 2017, hanno mostrato come la tesi politico-economica spieghi meglio quanto avviene entro i Paesi sviluppati mentre la tesi della MPE ha una sua validità nei Paesi a più basso reddito. Gli autori hanno esplorato il nesso causale tra diseguaglianza ed emissioni di CO2 pro capite utilizzando un dataset più completo rispetto ai propri predecessori (138 paesi) nel periodo tra il 1960 e il 2008. La MPE è crescente per la fascia di popolazione a più basso reddito nei paesi più poveri e per i più ricchi nei paesi più sviluppati, a causa dell’alto dispendio energetico dovuto al consumo di lusso. Nei Paesi con basso reddito pro-capite esiste un’ampia fetta di popolazione povera, largamente fuori dall’economia a base di emissioni CO2; perciò, qui, la diseguaglianza ha un effetto negativo sulle emissioni. Nei Paesi a reddito medio alto, invece, la riduzione della diseguaglianza diminuirebbe le emissioni pro capite, visto il crescente MPE connesso con chi possiede i redditi maggiori e il minore potere dei gruppi beneficiari della produzione inquinante. Jorgenson et al., in Ecological Economics, 2017, analizzando il ruolo della diseguaglianza negli USA con uno studio cross-sezionale sui suoi 50 Stati tra il 1997 e il 2012, ha confermato l’ipotesi consumistica trovando, inoltre, come la concentrazione del reddito del 10% più ricco della popolazione sia un indicatore di diseguaglianza più significativo dell’indice di Gini nel prevedere un aumento di emissioni di CO2. 

Uno studio metodologicamente importante è quello di Pattison et al., in Society & Natural Resources, 2014. La distribuzione delle emissioni di CO2, a livello delle contee statunitensi nel 2002, è stata analizzata costruendo due modelli: uno production emissionse l’altro consumption emissions. Si è evidenziata una correlazione positiva tra reddito medio delle famiglie ed emissioni pro capite da attività di consumo e una correlazione negativa tra lo stesso e le emissioni da attività di produzione, nella fascia più alta di reddito. Da ciò si deduce che le famiglie più ricche emettono più di quelle a basso reddito ma tendono a spostare la produzione di attività inquinanti nelle aree più povere. Alcuni autori (Martinez-Alier e Muradian in Handbook of Ecological Economics, 2015) hanno teorizzato l’esistenza di un simile processo a livello globale: uno scambio ineguale ecologico. 

La Scuola Economica di Parigi: per una carbon tax progressiva 

I lavori della Scuola Economica di Parigi si ricollegano alla letteratura precedente per quanto riguarda l’utilizzo di strumenti analitici della distribuzione del reddito per studiare la distribuzione delle emissioni; la distinzione tra emissioni da produzione ed emissioni da consumo, dunque la presa d’atto dell’esternalizzazione dell’inquinamento; l’uso delle emissioni CO2 come principale indicatore di degrado ambientale. 

Lucas Chancel (Chancel, Unsustainable Inequalities, 2020) ha esposto la sua teoria sulla relazione tra diseguaglianze economiche e diseguaglianze ambientali. Questi divari si alimentano reciprocamente tramite due circoli viziosi, i quali formano una trappola povertà-inquinamento: il degrado ambientale rende peggiore e più precaria la condizione dei poveri, dato il deterioramento della salute e dei luoghi in cui vivono e lavorano e la mancanza di mezzi per fronteggiarlo. L’autore sostiene una tesi di tipo consumistico: redditi e livelli di inquinamento sono strettamente legati a causa dello stile di vita insostenibile dei più abbienti. Oltre un certo livello di reddito, il consumo di energia continua a crescere con il reddito individuale, sebbene a un tasso più lento: i più ricchi non spendono più tutto il loro reddito in beni e servizi ad alte emissioni e l’ammontare di energia cui ognuno necessita quotidianamente è limitato; perciò, le diseguaglianze nel consumo di energia sono più piccole rispetto alle diseguaglianze di reddito. 

Il paper di Chancel e Piketty, in World Inequality Lab, 2015, mostra l’evoluzione della distribuzione globale delle emissioni CO2 tra il 1998 e il 2013 da parte degli individui. Il dataset utilizzato copre, a livello mondiale, il 95% del PIL, il 90% della popolazione e poco meno del 90% delle emissioni totali. Tra i tanti fattori possibili di tipo sociodemografico, geografico e tecnico, il livello di reddito rimane il maggiore fattore esplicativo delle variazioni nelle emissioni totali CO2 tra famiglie e individui. Inoltre, focalizzandosi sulle stime dei consumi piuttosto che sulla produzione, le emissioni dei nordamericani e degli europei sarebbero molto più alte: le consumption-based emissions incrementano la diseguaglianza globale. I maggiori emettitori individuali a livello mondiale sono il top 1% più ricco di statunitensi, lussemburghesi, singaporiani e sauditi (200 tonnellate CO2/anno); alla base della piramide, invece, ci sono i gruppi a più basso reddito di Honduras, Mozambico, Ruanda e Malawi (0.1 tonnellate CO2/anno). I due economisti francesi utilizzano la ten-fifty relationship per dividere il mondo fra: top 10% emettitori (responsabile del 45% delle emissioni annuali); medio 40% (42%); bottom 50% (13%). Durante il periodo esaminato, si registra un grande incremento delle emissioni da parte della classe più alta dei paesi ricchi e delle classi medie e più alte dei Paesi emergenti, specie in Asia Orientale, e un aumento della diseguaglianza tra la coda (i più poveri del mondo) e la media della distribuzione degli emettitori (i suddetti Paesi asiatici). 

Il paper di Chancel, in World Inequality Lab, 2021, estende la sua analisi dal 1990 al 2020. Esso conferma il legame nelle regioni del mondo tra diseguaglianza ambientale e differenze di reddito, benché la correlazione non sia perfetta. Le diseguaglianze si fanno più ampie se si considerano le emissioni integrate ai beni e ai servizi importate dall’estero. Questo è ritenuto il modo migliore per misurare le emissioni associate allo standard di vita degli individui nel mondo; infatti, i Paesi ricchi possono delocalizzare le emissioni nel resto del mondo riducendo quelle territoriali. La diseguaglianza globale delle emissioni si deve alle ampie diseguaglianze di reddito tra Paesi e a quelle sempre maggiori all’interno dei Paesi. Dal 1990 al 2019 le emissioni del top 1% più ricco di tutti i Paesi sono cresciute in modo impressionante a causa della sempre maggiore diseguaglianza interna e del contenuto di carbone dei propri investimenti, rappresentando il 21% della crescita totale delle emissioni a fronte di quelle della metà più povera del mondo, responsabile del 16% della crescita delle emissioni lungo il trentennio.

Dal 1990 le emissioni del top 1% dei Paesi ricchi sono cresciute del 26% e addirittura del 110% per quanto riguarda il top 0.01%. Le carbon inequalities entro i Paesi sono sempre più ampie rispetto a quelle tra Paesi: nel Nord America, il 50% più povero emette poco più di 10 tonnellate l’anno di CO2; il medio 40% (22) e top 10% (70); in Europa le stesse parti di popolazione emettono annualmente 5, 10.5 e 30 tonnellate. 

Come affrontare la questione? Secondo Chancel, innanzitutto, è necessario che le politiche ambientali integrino le diseguaglianze socioeconomiche. La metà più povera della popolazione mondiale è già entro i parametri da rispettare per il 2030. Occorre chiedere maggiori riduzioni di emissioni ai gruppi più abbienti, i quali hanno maggiori possibilità di ridurre la propria impronta ecologica: tasse sulla ricchezza o corporate per disincentivare l’investimento in attività inquinanti applicate al top 10%; una carbon tax progressive che non colpisca, dunque, i gruppi a basso reddito e meno inquinanti, costretti nelle loro scelte entro un sistema che permane carbon intensive. La nuova geografia globale delle emissioni mostra la necessità di un’azione in tutti i paesi (tra i top 10%, 40% sono negli USA, 20% nell’UE; 10% in Cina). In questo caso, la proposta è quella di una global progressive carbon tax per ottenere 150 miliardi di dollari l’anno per un fondo volto a creare le condizioni per l’adattamento al riscaldamento globale, facendo pesare tale sforzo sui grandi emettitori individuali piuttosto che sul contributo dei Paesi ad alto reddito. 

La letteratura su diseguaglianza di reddito e inquinamento ambientale, nel corso degli ultimi trent’anni, ha fornito prove sempre più convincenti dell’impatto negativo che le diseguaglianze economiche hanno sulla qualità ambientale. Il legame positivo tra disuguaglianza di reddito ed emissioni emerge sia all’interno dei Paesi sia a livello globale o tra Paesi. Inoltre, i lavori della Scuola Economica di Parigi invitano ad affrontare la diseguaglianza interna ai Paesi ovunque nel mondo, visto il contributo importante che i più ricchi di tutto il pianeta danno al consumo di beni altamente inquinanti. Rimane necessaria ulteriore ricerca per individuare le strategie più idonee per ridurre la diseguaglianza migliorando, al contempo, la situazione ecologica ed evitando di pregiudicare il diritto delle popolazioni del Sud globale allo sviluppo economico, ovvero al miglioramento delle proprie condizioni di vita. 

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