ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 196/2023

30 Giugno 2023

Diseguaglianze spaziali, coesione sociale e civismo

Franco Bonomi Bezzo e Anne-Marie Jeannet intervengono sull’influenza che le condizioni di disagio economico possono avere sul coinvolgimento civico delle comunità. Dopo aver ricordato le posizioni prevalenti nelle letteratura, basandosi sui risultati di una indagine da loro condotta i due autori sostengono che gli effetti possono essere di diversa natura, non necessariamente di scoraggiamento e per questo è possibile lavorare per creare ambienti inclusivi che promuovano la cittadinanza attiva e lo sviluppo della comunità.

Lo scopo di questa nota è di presentare i principali risultati raggiunti nel nostro lavoro “Civic involvement in deprived communities: A longitudinal study of England”, sulla partecipazione alla vita civica nelle aree economicamente più svantaggiate. Nella gran parte della letteratura precedente, il problema è stato analizzato con riferimento alla partecipazione elettorale a livello aggregato. Tuttavia, crediamo sia importante anche concentrarsi su altre forme di partecipazione e scendere a livelli subnazionali. In questo lavoro cerchiamo pertanto di approfondire queste tematiche, guardando a diverse forme di partecipazione alla vita civica e cercando di evidenziare tre differenti motivazioni per le quali le persone partecipano o meno: coesione sociale, obbligo civico, insoddisfazione attiva.

Esiste una lunga tradizione di studi su come la scarsità economica influenzi la partecipazione politica formale – votare – ma si sa meno della partecipazione alla res publica in senso lato, per esempio attraverso sindacati e partiti politici, ma anche associazioni di volontariato. Le ricerche esistenti hanno analizzato soprattutto il ruolo del contesto nazionale nello spiegare le differenze nell’adesione alle associazioni. Tuttavia, alcune ricerche mostrano che questo comportamento varia a livello subnazionale. Pertanto, vivere in un’area materialmente svantaggiata può essere una circostanza strutturale in grado sia di incentivare che di inibire l’associazionismo volontario. 

In primo luogo, gli individui sono motivati ad aderire alle associazioni di volontariato perché desiderano entrare in sintonia con gli altri. La coesione sociale è un concetto prismatico con diverse componenti che includono valori comuni, una cultura civica, usi e costumi, forme diverse di solidarietà, senso di appartenenza territoriale, e ulteriori elementi che contribuiscono a strutturare la propria identità. Tutti questi elementi possono agire come forti incentivi per gli individui a creare una società coesa. Molti studi nell’ambito della letteratura sul capitale sociale presuppongono un effetto causale unidirezionale dall’appartenenza associativa alla coesione sociale. Questi studi in genere raccomandano di stimolare l’impegno civico per promuovere la coesione sociale e aumentare il capitale sociale. Tuttavia, questa prospettiva unidirezionale rischia di essere fallace; infatti potrebbe darsi che la coesione sociale influenzi l’appartenenza associativa. Se è così, allora una maggiore coesione sociale tra i residenti aumenterebbe la loro partecipazione alla comunità.

In secondo luogo, alcune persone partecipano a varie associazioni perché sentono di doverlo fare. L’obbligo è infatti una norma che perpetua la partecipazione volontaria alla società civile e che deriva da un senso di dovere nei confronti della comunità. L’impegno civico è spesso guidato dal sistema di valori personali degli individui. La motivazione dell’obbligo e quella della coesione sociale differiscono perché la prima porta ad azioni guidate dalle norme e la seconda ad azioni razionali-strumentali. Il senso dell’obbligo è un’azione guidata dalle norme e basata sulla percezione della responsabilità morale. Come ha notato Max Weber, le azioni basate sulle convenzioni o sul conformismo tendono a essere non riflessive. Gli individui possono conformarsi a queste norme per evitare sanzioni sociali informali come il giudizio altrui. Nel corso del tempo, la conformità alle norme può trasformarsi in un’abitudine, nota come “normatività abituale”, in base alla quale la maggior parte delle persone si impegna e segue le norme sociali perché è abituata a farlo. 

Il senso del dovere e dell’obbligo di partecipare alle associazioni civiche in Inghilterra può essere osservato se consideriamo la narrazione politica durante il periodo coperto dal nostro studio. L’enfasi sulle norme di partecipazione civica era, per esempio, parte del programma politico del New Labour a partire dagli anni ‘90. Nel 2008 il governo britannico ha pubblicato un Libro Bianco che richiamava il “dovere di coinvolgimento” dei cittadini inglesi in Inghilterra e Galles, con l’obiettivo esplicito di radicare una cultura dell’impegno e della partecipazione della comunità per rafforzare la legittimità democratica. L’appello alle tradizioni britanniche di volontariato e partecipazione civica è stato poi portato avanti durante il governo di David Cameron con il programma politico “Big Society”. L’idea alla base della Big Society era che l’attività di volontariato dovrebbe emergere come perfetto sostituto del welfare state, rinvigorendo il dibattito sul rapporto tra governo e società o, più specificamente, tra spesa pubblica e volontariato. 

C’è motivo di aspettarsi che le comunità svantaggiate abbiano norme sociali diverse, comprese quelle che riguardano l’appartenenza associativa. È stato osservato che la concentrazione spaziale della scarsità materiale tende a produrre norme sociali devianti nelle aree in difficoltà. Pertanto, la concentrazione della devianza si verifica attraverso il processo di apprendimento sociale dalla vita quotidiana della comunità. Il comportamento deviante si riferisce spesso alla criminalità o alla delinquenza. Tuttavia, può anche essere considerato in modo più ampio come qualsiasi comportamento non conforme a quello tipico della società in generale. Per esempio, se impegnarsi in associazioni di volontariato è la norma, non impegnarsi sarebbe un comportamento che devia da tale norma. Quando la devianza viene normalizzata nella comunità essa tende ad esercitare una pressione invisibile sugli individui che vi abitano, poiché diventa contagiosa tra i residenti. Vivere in quartieri disagiati può, quindi, plasmare gli atteggiamenti e le aspirazioni degli individui attraverso diversi mezzi, come l’assenza di modelli di riferimento, gli stereotipi dei funzionari pubblici e lo sviluppo di una cultura oppositiva nei confronti della società tradizionali. Il risultato è che le strategie di adattamento all’impoverimento collettivo spesso producono norme in contrasto con norme sociali più generali.

Infine, esiste anche una logica alternativa secondo la quale la deprivazione della comunità potrebbe avere una relazione di segno opposto con l’appartenenza associativa. La deprivazione materiale può anche incentivare la partecipazione ad associazioni di volontariato come risposta all’insoddisfazione socio-economica. In quest’ottica, l’adesione è una risposta mirata al malcontento per i problemi sociali in corso. Spesso, le aree locali funzionano come dispositivi euristici per gli individui per trarre conclusioni su come vanno le cose nella società nazionale. Secondo questo meccanismo, l’adesione è motivata dall’impegno per il bene comune e può essere una sorta di strategia difensiva dal momento in cui queste organizzazioni forniscono ai membri strategie di risoluzione dei problemi. Pertanto, gli individui sono attivati piuttosto che paralizzati dalle condizioni di scarsità che li circondano. Il coinvolgimento della comunità può essere un canale di governo per questo attivismo in quanto offre nuove forme di partecipazione al quartiere e di impegno locale dei residenti che possono riattivare la motivazione e la responsabilità personale. Questa forma di azione collettiva si verifica spesso quando le istituzioni formali non riescono a soddisfare i cittadini. 

La motivazione del malcontento attivato probabilmente non si verifica in modo uniforme in tutte le forme di adesione volontaria. Infatti, la continua esposizione a scarsità materiale crea una cultura della necessità. In questo senso, la deprivazione materiale altera le preferenze in termini di tempo e denaro, rendendo gli individui meno propensi a perseguire attività ricreative o hobbistiche attraverso l’appartenenza associativa. Allo stesso tempo, però, la deprivazione della comunità può indurre il desiderio di attuare un cambiamento attraverso l’impegno in organizzazioni politiche. Da un punto di vista razionale, gli individui sarebbero incentivati a partecipare se il loro coinvolgimento potesse migliorare la loro sicurezza quotidiana, ad esempio per fronteggiare la criminalità di quartiere o per favorire l’allocazione delle risorse nell’area svantaggiata.

I risultati della nostra ricerca sottolineano la grande complessità del fenomeno. Se, infatti, da un lato, troviamo che esperienze di scarsità a livello di quartiere hanno un effetto negativo sulla partecipazione ad associazioni civiche di volontariato e legate alla coltivazione di interessi privati, troviamo anche che esse sono positivamente associate con la partecipazione ad associazioni politiche. Questo dato è importante perché dimostra che la deprivazione del quartiere ha effetti contrastanti sulla partecipazione dei suoi residenti. Una possibile spiegazione di questo modello eterogeneo, cui si è già accennato, è che quando gli individui vivono in un ambiente di deprivazione collettiva, spendono più energia in forme di associazionismo dedicate al cambiamento della società e meno in forme legate agli hobby, al tempo libero o alla socializzazione. Inoltre, il risultato si inserisce nel dibattito esistente sulla scarsità economica e la mobilitazione elettorale e si adatta alla nozione che la scarsità economica alimenta la partecipazione elettorale galvanizzando gli elettori che desiderano punire i governanti per le cattive condizioni economiche. 

In conclusione, questo lavoro sottolinea la necessità di una comprensione più profonda dei meccanismi che collegano la scarsità materiale e l’appartenenza associativa. Considerando in maniera più profonda e complessa le motivazioni della partecipazione civica e le sfide affrontate dalle comunità svantaggiate, è possibile lavorare per creare ambienti inclusivi che promuovano la cittadinanza attiva e lo sviluppo di comunità più coese e, appunto, inclusive.

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