ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 196/2023

30 Giugno 2023

L’abolizione del reddito minimo in Italia nell’orizzonte europeo*

Gaetano Proto colloca nell’orizzonte europeo l’abolizione del reddito minimo in Italia disposta dal D.L. 48 2023. Dopo aver ricordato che negli ultimi mesi in Europa sono intervenute su questo tema sia una raccomandazione del Consiglio sia una risoluzione del Parlamento, Proto sostiene che, a livello di principi e del disegno delle politiche, il D.L. 48 2023 si muove in direzione opposta. Ad essere disattesi sono soprattutto i principi di universalità del reddito minimo e di sua complementarietà e non sostituibilità rispetto ad altre misure di sostegno.

Il D. L. 48 2023 abolisce, come noto, il Reddito di cittadinanza (RdC) a partire dal 1° gennaio 2024, sostituendolo con due misure assai diverse tra loro, ma entrambe non universali: Assegno d’inclusione (AdI) e Supporto per la formazione e il lavoro (SFL). Per chi crede che la collocazione dell’Italia nel contesto europeo non sia un semplice fatto di prossimità geografica o di convenienza economica, ma l’adesione autentica – pur nella differenza – a una comunità basata sulla condivisione di valori fondamentali, è naturale chiedersi se questa riforma ci avvicini o ci allontani dall’Europa. Un rapido esame di tre documenti europei, due dei quali pubblicati negli ultimi mesi, mostra che il nostro paese rischia il fuorigioco, detto in termini calcistici.

Per identificare la posizione dell’Unione Europea sul tema del reddito minimo si può partire dall’European Pillar of Social Rights  (EPSR) varato nel 2017 dalle tre massime istituzioni europee, Parlamento, Consiglio e Commissione. L’EPSR detta “principi e diritti fondamentali per assicurare l’equità e il buon funzionamento dei mercati del lavoro e dei sistemi di protezione sociale nell’Europa del 21º secolo”. Il principio 14 (su un totale di 20) recita: “Chiunque non disponga di risorse sufficienti ha diritto a un adeguato reddito minimo che garantisca una vita dignitosa in tutte le fasi della vita e l’accesso a beni e servizi. Per chi può lavorare, il reddito minimo dovrebbe essere combinato con incentivi alla (re)integrazione nel mercato del lavoro”.

Quindi, si afferma che il diritto al sostegno è universale, come è stato in Italia a partire dal 2018 prima con il Reddito d’inclusione (ReI) e poi con il RdC, invece che categoriale come prevede l’AdI. D’altronde, lo stesso concetto di “inclusione” nasce in un contesto universale e risulta di problematica applicazione a un contesto categoriale: a che titolo riservare una “garanzia di inclusione” ad alcuni soggetti svantaggiati e non ad altri, come fa l’AdI? Inoltre, l’EPSR prospetta le misure per gli “occupabili” come complementari e non sostitutive del reddito minimo, com’è invece nel caso del SFL. È vero che esiste il caso particolare dei soggetti occupabili (quindi potenziali beneficiari di SFL) all’interno dei nuclei che hanno diritto all’AdI grazie alla presenza di soggetti non occupabili. In questo caso, tuttavia, il nucleo familiare risulta in qualche modo partizionato, con il SFL idealmente destinato ai primi (che, come già discusso sul Menabò, non rientrano nel calcolo della scala di equivalenza) e l’AdI ai secondi.

Per integrare il piano dei principi con quello più concreto delle politiche pubbliche, è utile fare riferimento alla recente Raccomandazione agli Stati membri adottata dal Consiglio d’Europa in materia di reddito minimo (“On adequate minimum income ensuring active inclusion“, gennaio 2023). Anche qui, l’impostazione è saldamente universalistica, in contraddizione con la logica categoriale del binomio AdI – SFL: “si raccomanda agli Stati membri di garantire che tutte le persone che non dispongono di risorse sufficienti siano coperte da un reddito minimo stabilito per legge” (la traduzione di questa citazione e delle successive è a cura dell’autore).

Anche se il documento non contiene un esplicito richiamo alla povertà assoluta, di fatto il livello minimo raccomandato in prospettiva agli Stati membri coincide con questo concetto: “il sostegno al reddito – comprese le prestazioni di reddito minimo e altre prestazioni monetarie di accompagnamento – (…) dovrebbe aumentare gradualmente il reddito delle persone prive di risorse sufficienti, fino a un livello che sia almeno equivalente (…) al valore monetario dei beni e servizi necessari, tra cui un’alimentazione adeguata, l’alloggio, l’assistenza sanitaria e i servizi essenziali, secondo le definizioni nazionali”.

E’ interessante confrontare questa raccomandazione con i risultati di una prima simulazione dell’impatto delle due misure introdotte dal D. L. 48 2023: rispetto a un livello di partenza del 6,6% dell’incidenza dei nuclei in povertà assoluta, il RdC consente di ridurre tale incidenza al 3,7%, mentre la combinazione di AdI e SFL non permette di scendere oltre il 4,9%; la direzione è, quindi, opposta a quella auspicata dal Consiglio d’Europa.

La Raccomandazione entra anche nel dettaglio tecnico degli strumenti analitici da impiegare, quando prescrive “soglie per la prova dei mezzi che riflettano il tenore di vita in uno Stato membro per le diverse tipologie e dimensioni di famiglie”.

Come abbiamo già discusso, la cosiddetta “scala di equivalenza” dell’AdI prevista dal D. L. 48 2023 disattende questo requisito, perché non tiene conto di tutti i componenti effettivi del nucleo, ma solo di quelli considerati meritevoli di tutela. Va quindi sostituita con una scala di equivalenza vera e propria, come la scala dell’ISEE, per evitare una indebita distorsione in senso restrittivo della prova dei mezzi a danno dei potenziali beneficiari dell’AdI. La scala dell’ISEE è conforme alla Raccomandazione perché tiene conto sia del numero di componenti, senza imporre massimi artificiosi come la scala del RdC e la cosiddetta scala dell’AdI, sia di tipologie come le famiglie monogenitoriali, ignorate dalle altre scale ma considerate meritevoli di tutela a livello europeo.

Un riferimento preciso a questa tipologia familiare si ritrova nel terzo documento, la recente Risoluzione del Parlamento Europeo sempre in materia di reddito minimo (“Adequate minimum income ensuring active inclusion”, marzo 2023). Il Parlamento “sottolinea che il sostegno al reddito deve tenere conto delle esigenze specifiche degli individui e delle disuguaglianze che si intersecano, ad esempio in relazione a genitori single, persone con disabilità e figli a carico”.

A proposito della complementarietà tra reddito minimo e altre misure di sostegno, che poco sopra abbiamo considerato nel contesto dell’EPSR, la Risoluzione risulta particolarmente chiara ed esplicita: il Parlamento “insiste sul fatto che l’assistenza per coprire le spese legate all’invalidità e il sostegno all’occupazione attiva sono complementari al reddito minimo e che l’uno non dovrebbe sostituire l’altro”.

La logica di segmentazione delle misure seguita dal D. L. 48 2023 non è quindi originale, ma corrisponde a tentazioni nazionali che le istituzioni europee conoscono bene e anticipano nelle loro prese di posizione.

Tra i fenomeni del mondo reale di cui il D. L. 48 2023 sembra negare implicitamente l’esistenza vi è quello dei lavoratori poveri (working poor). A questo proposito, la Risoluzione sottolinea che “il fatto di percepire uno stipendio non dovrebbe rendere automaticamente le persone inammissibili ai regimi di reddito minimo se il salario non fornisce abbastanza per vivere dignitosamente”.

Si tratta di un approccio completamente diverso da quello del D. L., che esclude dalla copertura dell’AdI tutti coloro che ritiene “occupabili” in senso lato, come se essere “occupabili” significasse poter diventare facilmente occupati ed essere occupati significasse automaticamente non essere poveri.

Infine, risulta istruttivo il richiamo procedurale contenuto nella Risoluzione: il Parlamento “ricorda che i regimi di reddito minimo dovrebbero essere stabiliti e adeguati attraverso processi trasparenti, basati su una metodologia solida e che coinvolgano le parti interessate”.

Sulla pertinenza del requisito di solidità metodologica nel caso dal D. L. 48 2023 vale quanto scritto a proposito del meccanismo difettoso dell’AdI. Nel nostro paese, il coinvolgimento non formale delle parti interessate rispetto a una materia che beneficerebbe di una discussione aperta in Parlamento e nel paese è stato fin qui evitato piuttosto che cercato.

I tre documenti europei qui citati non hanno forza di legge; quindi, l’applicazione da parte degli Stati membri dell’UE dei principi e delle raccomandazioni che contengono rimane interamente volontaria. A oggi, siamo ancora nel dominio della cosiddetta “soft law” dell’UE, anche se da più parti è stato proposto di varare una direttiva-quadro sul reddito minimo con un insieme comune di requisiti e disposizioni minime, per esempio dall’European Anti-Poverty Network  (EAPN). La stessa Risoluzione del Parlamento Europeo qui richiamata rilancia la proposta di direttiva, per contribuire al raggiungimento dell’obiettivo di dimezzare la povertà in tutti gli Stati membri entro il 2030, in coerenza con il traguardo fissato a livello mondiale dai Sustainable Development Goals (SDGs). Con uno sguardo al futuro, è comunque chiaro che muoversi in una direzione che appare ostinatamente contraria a principi e raccomandazioni convergenti delle istituzioni europee, come fa il D. L. 48 2023, non promette nulla di buono per il nostro paese.


* Le opinioni espresse in questo articolo non coinvolgono l’istituzione di appartenenza

 

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