ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 202/2023

31 Ottobre 2023

Annalisa Cicerchia, Martina Caroleo,

Il canto che cura le mamme

Annalisa Cicerchia e Martina Caroleo si occupano della depressione in cui frequentemente cadono le mamme dopo il parto e ricordano che in Gran Bretagna, nel 2017, la sperimentazione Breathe Melodies for Mums ha dato esiti positivi nella cura di questa patologia. Lungo questa linea, l’OMS ha lanciato in Romania, Danimarca, e Italia il progetto Music and Motherhood. Anche in questo caso il canto di gruppo si è rivelato un intervento a bassa soglia che può aiutare il sistema sanitario a dare risposte tempestive alla crescente richiesta di aiuto.

Annalisa Cicerchia, Martina Caroleo

Mamme fra baby blues e depressione postnatale. In Italia, il complesso di fattori economici, sociali e culturali, che ha influenzato, fino a scoraggiarla, la decisione di diventare genitori, ha anche spostato continuamente in avanti l’età delle madri al primo figlio: per le donne italiane da 31,5 anni nel 2012 a 32,2 nel 2022, per le donne straniere (che nell’ultimo anno rappresentano un quinto delle nuove madri) da 27,7 a 29,2 anni. 

Dopo la nascita dei loro bambini, la vita di queste donne cambia radicalmente in ogni senso. Comincia una fase dell’esistenza piena di nuove gioie e nuove responsabilità, e di rivoluzioni affettive. 

Studi epidemiologici internazionali osservano ormai da tempo il forte impatto che la nascita di un figlio genera sul benessere mentale di una quota importante di donne. 

Si stima che tra il 70 e l’80% delle mamme sperimenti il cosiddetto “Baby blues”: una instabilità emotiva che si manifesta immediatamente dopo il parto e nei giorni successivi. Il “Baby blues” non si configura come patologia. È un disagio, che tende a rientrare spontaneamente in un paio di settimane, e che non richiede un intervento terapeutico farmacologico o psicoterapeutico strutturato. 

Non sempre, però, le donne vivono solo un disagio. 

Come si legge sul sito del Ministero della salute La depressione post natale colpisce nel mondo, “con diversi livelli di gravità, dal 7 al 12% delle neomamme ed esordisce generalmente tra la 6ª e la 12ª settimana dopo la nascita del figlio, con episodi che durano tipicamente da 2 a 6 mesi. La donna si sente triste senza motivo, irritabile, facile al pianto, non all’altezza nei confronti degli impegni che la attendono”.

Nonostante proprio in questo periodo dell’esistenza i contatti con gli operatori sanitari (ostetriche, infermieri, puericultrici, pediatri), per le donne, siano generalmente più frequenti, il disturbo, di nuovo per un insieme complicato di aspetti, eminentemente culturali, è riconosciuto solo di rado, e altrettanto di rado viene offerto un trattamento. La depressione postnatale (DPN), se non riconosciuta e trattata, può generare, oltre a una prolungata sofferenza evitabile per la donna, anche pesanti effetti negativi sulla relazione fra mamma e figlio, che dureranno a lungo, e influenzeranno in peggio lo sviluppo cognitivo, sociale ed emotivo del bambino. Il 50% delle madri non trattate risultano depresse dopo 6 mesi e il 25% ancora dopo 1 anno. In Italia, vanno incontro al rischio di un vero e proprio stato depressivo tra il 14 e il 17% delle puerpere .

Un approccio innovativo al trattamento della depressione delle nuove madri. Per la sua diffusione e rilevanza, tanto più in una società in piena crisi di denatalità, il fenomeno della DPN è da qualche anno oggetto di attenzione crescente da parte della comunità medica, e non solo, motivo per il quale si sono messi a punto trattamenti farmacologici e psicoterapeutici. Inoltre, dal momento che alcuni fattori non biomedici, come la mancanza di supporto sociale, sono stati riconosciuti come predittori della DPN, si ritiene opportuno studiare interventi psicosociali di gruppo innovativi. 

Nel Regno Unito, nel 2017, è partita una sperimentazione (Breathe Melodies for Mums), accompagnata da un robusto impianto di ricerca, a cura del Royal College of Music e dell’Imperial College di Londra, finanziata dall’Arts Council England. Alla base del progetto c’è una domanda in apparenza semplicissima: se e come il canto di gruppo possa dare supporto efficace alle donne con sintomi di depressione postnatale (DPN). 

C’è da premettere che sulla capacità della pratica del canto strutturato e appositamente organizzato di contrastare la depressione in soggetti con condizioni diverse (dagli anziani ai pazienti oncologici, ecc.) si è andata ormai accumulando una imponente letteratura medica. È su questa base che si è pensato di estendere alle mamme in condizioni di disagio psicologico l’approccio basato sulla musica. 

Per un periodo di dieci settimane, 134 mamme con sintomi di DPN sono state assegnate in modo casuale a un programma di trattamento con tre opzioni: canto di gruppo, gioco creativo, e assistenza convenzionale. La ricerca ha mostrato che il canto può avere molteplici effetti benefici. Per le mamme con sintomi depressivi da moderati a gravi, il canto di gruppo ha portato a un recupero significativamente più rapido rispetto al gioco creativo o all’assistenza convenzionale. Dopo sole sei settimane di canto, queste mamme hanno registrato una diminuzione dei sintomi di quasi il 35%. Il 65% non aveva più sintomi moderati e gravi. Il canto di gruppo è collegato a un maggiore aumento della vicinanza percepita tra madre e bambino, si associa a una più marcata diminuzione del cortisolo (un ormone dello stress), e a un più consistente aumento del benessere e dell’autostima rispetto ad altre interazioni sociali. 

Sulla scia di questi risultati, e allo scopo di esplorare la possibilità di adattare questo strumento anche a contesti culturali diversi, tra il 2021 e il 2023, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha lanciato in Romania, Danimarca, e Italia un progetto pilota, denominato Music and Motherhood, con l’obiettivo di mettere in luce il ruolo delle arti e della cultura nell’assistenza sanitaria. Gli incontri di canto di gruppo sono stati concepiti in maniera specifica per le madri con sintomi di disagio emotivo nel periodo postnatale. In Italia, il progetto è stato coordinato da un gruppo di ricercatrici del Centro nazionale per la Prevenzione delle malattie e la Promozione della salute dell’Istituto Superiore di Sanità, in collaborazione con i servizi consultoriali della ASL Città di Torino, della ULSS 6 Euganea, della ASL Roma 2 e con CCW-Cultural Welfare Center, un’associazione che dal 2020 promuove e sostiene l’alleanza strategica tra cultura e salute. La sperimentazione del protocollo ha coinvolto finora circa cinquanta donne. Anche in questo caso, il miglioramento dei sintomi è stato significativo.

Tra i “principi attivi” di questo procedimento, l’OMS annovera sia il progetto nei suoi contenuti artistici, nelle sue risorse, negli stimoli sensoriali cognitivi; sia le persone coinvolte insieme alle mamme (facilitatori, diversi operatori sanitari come ostetriche e psicologi, specialisti del canto, ecc.); sia i contesti (spazi in cui si sono svolti gli incontri, a volte culturali, come biblioteche o scuole, a volte sociosanitari, come consultori; e ancora, ambientazione, e percorsi di entrata e di uscita dal programma). 

Mentre sono ancora in corso i processi di analisi e valutazione finale del progetto Music and Motherhood, il suo protocollo è stato pubblicato.

Fra i numerosi aspetti da considerare in vista di una possibile replicabilità dell’esperienza ci sono, sia i costi, da confrontare, usando metodi appropriati, con quelli dei trattamenti convenzionali, sia i modelli di governance. In Italia, in Danimarca, e in Romania, i soggetti coinvolti sono stati diversi, e diversamente assortiti. Il gruppo italiano è riuscito, per esempio, a coinvolgere più settori (quello socio sanitario e quello culturale), più competenze e professionalità, e a stabilire importanti connessioni fra servizio pubblico e mondo non profit. 

Certamente, per la sua natura, il canto di gruppo costituisce uno di quegli interventi a bassa soglia di ingresso che sono particolarmente promettenti in un quadro di domanda crescente di aiuto e di crescente difficoltà da parte del sistema dell’assistenza sanitaria convenzionale a dare risposte tempestive.

 

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