ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 202/2023

31 Ottobre 2023

Elisa Brini, Emmanuele Pavolini, Stefani Scherer ,

Legge di Bilancio 2024: un commento alle misure per la natalità*

Elisa Brini, Emmanuele Pavolini e Stefani Scherer ricordano che nella Legge di Bilancio 2024 sono previste alcune misure a sostegno di famiglie, lavoro femminile e natalità, fra le quali un aumento del bonus per l’asilo nido e una riduzione dei contributi previdenziali per le lavoratrici madri. Gli autori illustrano le ragioni per le quali le misure previste possono essere valutare positivamente, ma sostengono anche che permangono diverse criticità che riguardano sia il disegno delle misure, sia la loro portata.

Elisa Brini, Emmanuele Pavolini, Stefani Scherer 

Legge di bilancio 2024: investimento in natalità. Il Governo, nella Legge di Bilancio 2024, ha annunciato ulteriori misure a sostegno di famiglie, lavoro femminile e natalità, ulteriormente in calo (ISTAT). Secondo quanto riportato nel testo diffuso il 24 ottobre, gli interventi principali riguardano (a) un aumento del bonus per l’asilo nido per le famiglie con ISEE inferiore ai 40mila euro, col dichiarato obiettivo di coprire quasi totalmente le spese per il nido per i figli successivi al primo, e (b) una riduzione dei contributi previdenziali per le lavoratrici madri di tre o più figli con rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato (senza tetto al reddito, ma nel limite massimo annuo di 3.000 euro). In via sperimentale per tre anni a partire dal 2024, la decontribuzione è estesa anche alle lavoratrici madri di due figli. L’intervento per il bonus asilo nido sarà sostenuto da un aumento di 240 milioni di euro nel 2024 del fondo destinato a tale misura che si estenderà fino al 2029 con importi crescenti. Lo sforzo previsto dalla Legge di Bilancio appare rilevante se si tiene presente che ISTAT riporta una compartecipazione ai costi delle famiglie per le rette del nido nel 2019 pari a circa 280 milioni di euro.

Mirando ad alleviare i costi legati alle spese per crescere figli, facilitando la conciliazione tra famiglia e lavoro e aumentando gli incentivi a lavorare per le (pluri-)madri, il Governo intende promuovere la natalità e la partecipazione femminile al mercato del lavoro. Le scelte del Governo si muovono lungo un asse già sperimentato da molti paesi europei, dove politiche pubbliche che permettono alle donne di conciliare lavoro e maternità sono state introdotte anche con l’obiettivo di invertire la bassa fecondità. Con una maggiore attenzione ai servizi educativi e ai loro costi, la bozza della Legge di Bilancio continua la strada intrapresa dalla precedente legislatura verso un welfare dedicato alle famiglie con figli più universale e attento a offrire un pacchetto di sostegni più integrato tra servizi educativi all’infanzia (si pensi alle risorse che il PNRR dedica ai nidi) e trasferimenti monetari (si pensi all’introduzione dell’assegno unico per le famiglie). Ci si domanda però quanto questi sforzi avvicinino realmente il traguardo.

La rilevanza dell’istruzione e cura nella prima infanzia. Dell’importanza dei nidi, o meglio dell’istruzione e cura della prima infanzia, si è occupata un’ormai vasta letteratura. Sono documentati gli effetti positivi della disponibilità (e costi) di tali servizi sul lavoro delle madri, soprattutto per coloro che hanno più bisogno (Scherer & Pavolini 2023). Ci sono meno evidenze di ricerca circa gli effetti sulla fecondità, ma studi internazionali indicano effetti positivi, soprattutto sulle prime nascite. Si noti che un effetto sulla fecondità è da attendersi anche indirettamente tramite l’aumento del lavoro femminile (rilevante non solo per l’autonomia delle donne, ma spesso indispensabile per il bilancio familiare) e la migliore conciliazione. In questo senso anche la decontribuzione potrebbe avere effetti sulla fecondità, seppur di modesta entità e di durata temporanea. 

Non solo costi ma anche possibilità di accesso e qualità. La manovra mira a ridurre i costi dei nidi. Tuttavia, una riduzione dei costi rischia di avere un effetto limitato se i posti al nido non ci sono, una questione che è centrale anche nell’impostazione del PNRR. I tassi di copertura dei servizi per l’infanzia sono notevolmente inferiori in Italia rispetto alla media europea: 26.3% rispetto al 47.2% europeo per la fascia 0-3 secondo Eurostat e con notevoli disparità regionali. Attualmente, la copertura dei servizi alla prima infanzia è quasi doppia nel Centro-Nord rispetto al Sud. Precedenti studi si riferiscono per lo più a contesti dove l’accesso ai servizi all’infanzia è più diffuso, come in Svezia. Tuttavia, il contesto tedesco, che fino a pochi anni fa mostrava un livello di copertura più basso dell’Italia per i servizi dedicati ai bambini sotto i tre anni, suggerisce che un’inversione dell’abbassamento delle nascite è possibile con un massiccio investimento, anche partendo da una situazione di copertura medio-bassa. 

Nascite successive alla prima. Una soluzione incompleta? La Legge di Bilancio si concentra sull’abbassamento dei costi di cura formale e sulla decontribuzione per le lavoratrici madri dal secondo figlio in poi, probabilmente basandosi sull’idea che in Italia tutti abbiano almeno un figlio, e che quindi la bassa natalità sia dovuta alla mancata progressione a ulteriori figli. Tuttavia, con un tasso di childlessness ormai alto e in crescita, questa prospettiva non è (più) proponibile (Brini 2020). In Italia, la percentuale di donne senza figli è raddoppiata, passando dal 10% per le nate negli anni ‘40 al 21% per quelle nate negli anni ‘70. Spesso, l’assenza di figli è l’esito non intenzionale della decisione di ritardare la nascita di un figlio. Uno studio pubblicato dal Governo nel 2019 rivela che le motivazioni per ritardare la o rinunciare alla nascita di un figlio sono spesso di natura economica e lavorativa (nel 41% dei casi). Investire, quindi, non solo nelle nascite dal secondo figlio in poi ma anche nella transizione al primo figlio potrebbe essere una scelta di policy più efficace dell’attuale.

Il bisogno di interventi universali e strutturali. A fronte di una vasta letteratura che documenta l’importanza di una solida prospettiva economica e lavorativa per incoraggiare la natalità, accanto alla diminuzione dei costi per le rette dell’asilo nido, la vera opportunità di questa Manovra potrebbe essere la decontribuzione per le lavoratrici madri. 

Tuttavia gli incentivi sono pensati strutturalmente solo per le madri con almeno tre figli (in via sperimentale per 2 anni per quelle con due) e, soprattutto, sono limitati a coloro che sono assunte a tempo indeterminato, una categoria minoritaria: analizzando i micro-dati RFL Istat poco più di un terzo delle donne in età riproduttiva (18-45 anni) ha un lavoro dipendente a tempo indeterminato (l’1.28% ha anche 3 figli). Si tratta di un target troppo limitato per poter incidere significativamente sulla natalità del paese.

Più in generale, ipotizzare che possano essere sufficienti interventi verso specifici bisogni di conciliazione e di cura dei (potenziali) genitori rischia di non dare i risultati sperati rispetto alla natalità. Vi è un problema di fondo in Italia, più accentuato rispetto a molti altri paesi del Centro-Nord Europa, che riguarda il livello di precarietà che caratterizza la presenza dei giovani nel mercato del lavoro, con i suoi effetti sulle prospettive di medio-lungo periodo. Incentivare il lavoro delle madri è importante, per la parità di genere, per il benessere economico delle famiglie e per la fecondità (Scherer & Brini 2023), ma per ottenere risultati significativi in termini di natalità sono necessarie riforme universali e strutturali, anche rivolte al tema della precarizzazione del lavoro e non solo misure che, per quanto promettenti, presentano una durata e un target troppo limitati


* Questo articolo è pubblicato in contemporanea su www.lavoce.info

Schede e storico autori