ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 211/2024

14 Marzo 2024

Laura Bisio, Valeria Cirillo, Matteo Lucchese,

La dispersione dei salari in Italia: un’analisi esplorativa basata su dati employer-employee*

Laura Bisio, Valeria Cirillo e Matteo Lucchese studiano la dispersione salariale su un campione di imprese italiane basandosi sulla rilevazione CIS (Community Innovation Survey) e trovano che nei servizi ad alta intensità di conoscenza la dispersione salariale è comparativamente maggiore sia nelle che tra le imprese. L’innovazione, inoltre, amplia la dispersione salariale nelle piccole imprese, ma non nelle grandi. Gli autori sottolineano l’importanza di guardare ai fattori istituzionali per spiegare la disuguaglianza.

Sappiamo che, indipendentemente dalla misura applicata, le disuguaglianze economiche, sia di reddito che di ricchezza, sono oggi più elevate di quanto lo fossero due o tre decenni fa (Atkinson 2015). Nel nostro Paese, in particolare, la quota del reddito nazionale prima delle imposte destinata al 50% più povero è scesa dal 20% nel 1980 al 14% nel 2022, mentre l’1% più ricco della popolazione ha raddoppiato la propria quota di reddito nazionale negli ultimi quarant’anni (secondo i dati del World Inequality Database). Il recente lavoro di Guzzardi et al. (2023) ha evidenziato, inoltre, come la quota di reddito detenuta dal 10% più ricco in Italia si sia ampliata ulteriormente dopo la crisi finanziaria del 2008. Ma cosa sappiamo della variabilità dei redditi da lavoro, ovvero di quanto questi ultimi risultano essere dispersi fra lavoratori e lavoratrici con caratteristiche simili?

L’esistenza di differenziali salariali nei mercati del lavoro, a parità di caratteristiche individuali, non è di fatto prevista nell’impianto teorico neoclassico, poiché il cosiddetto market-clearing wage – il saggio salariale che assicura pieno equilibrio fra domanda ed offerta di lavoro – è concepito come unico e legato alla produttività del lavoro. Secondo tale approccio teorico, lavoratori con caratteristiche simili dovrebbero percepire lo stesso salario. Tuttavia non è così: le disparità salariali esistono e si sono consolidate nel tempo nella maggior parte delle economie avanzate. 

Dopo oltre un decennio di studi diretti a stimare i rendimenti associati all’istruzione e alle competenze dei lavoratori sul mercato del lavoro, gli economisti hanno iniziato a considerare l’importanza delle politiche salariali praticate dalle imprese nel definire divari retributivi e disuguaglianza salariale fra lavoratori e lavoratrici. Secondo Criscuolo et al (2023) nella media dei 20 paesi OCSE considerati, la disuguaglianza salariale tra le imprese spiega circa la metà della disuguaglianza salariale complessiva, vale a dire che una quota importante di questa disuguaglianza può essere ricondotta alle differenze di retribuzione fra imprese (anche di lavoratori ‘simili’) piuttosto che a differenze nel livello e nei rendimenti delle competenze dei lavoratori. Ad un risultato simile erano giunti anche Barth e coautori nel 2015 in riferimento agli Stati Uniti, evidenziando già nel titolo del loro contributo che It’s where you work a contare molto nella definizione del livello retributivo.

L’aumento della dispersione salariale va di pari passo con l’amplificarsi della dispersione della produttività e delle performance fra le imprese  Da questo punto di vista, negli ultimi decenni, le imprese nelle economie avanzate si sono polarizzate lungo traiettorie “vincenti” e “perdenti”. Se alcune imprese consolidano le proprie traiettorie di crescita e innovazione, altre scompaiono nelle catene globali del valore. I differenziali nelle performance di impresa sotto forma di produttività sono dunque aumentati, anche rispetto agli investimenti in tecnologie digitali che hanno consentito a imprese leader di ampliare il divario di prestazioni rispetto alle altre (Gal et al.). Più in generale, la coesistenza di segmenti – imprese e lavoratori – caratterizzati da un’eterogeneità crescente nella produttività del lavoro, nell’organizzazione del lavoro, nei modelli di innovazione e nelle condizioni di lavoro è una caratteristica saliente del capitalismo contemporaneo – come sottolineato recentemente da Dosi e Virgillito (2019) – e sembra essersi acuita a causa della pandemia che ha accelerato i pattern di digitalizzazione di alcune imprese a discapito di altre e modificato, in modo disuguale, i piani di investimento in R&S. Questi fattori hanno contribuito ad intensificare la segmentazione della struttura produttiva italiana consolidando un modello di ‘neo-dualismo’ fra imprese, già illustrato fra gli altri da Costa et al. (2023).

La dispersione salariale fra imprese è stata ricondotta in letteratura, al pari della dispersione di produttività, a molteplici fattori che vanno dal cambiamento tecnologico alla partecipazione ai mercati internazionali (si veda per una review Syverson, 2011) La rilevanza di fattori di natura istituzionale, quali tasso di sindacalizzazione, presenza di contrattazione di primo e/o secondo livello, è stata sottolineata in diversi recenti contributi empirici, tra i quali quelli di Zwysen (2022) e di Tomaskovic-Devey et al. (2020). Per l’Italia un quadro significativo emerge da uno studio dell’  che, utilizzando dati amministrativi provenienti dall’Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale, ha evidenziato come in Italia la dispersione tra le imprese abbia raggiunto il 60% nel 2015 e sia stata la componente che più ha contribuito all’incremento complessivo della dispersione tra il 2002 e il 2015.

A partire da queste riflessioni – e sulla base dell’incremento della disuguaglianza dei redditi osservata nella maggior parte dei paesi avanzati rispetto ai quali l’Italia non fa eccezione (Franzini e Raitano, 2019) –, in un nostro recente lavoro (Bisio, Cirillo e Lucchese, 2023) – ci concentriamo esplicitamente sui salari e, prendendo a riferimento un campione di imprese localizzate in Italia, esploriamo il legame tra le caratteristiche d’impresa e la dispersione salariale “within-firm” (ovvero, quella che si registra fra lavoratori/lavoratrici di una stessa impresa) e “between-firms” (ovvero, quella legata alle differenze nelle retribuzioni medie pagate dalle diverse imprese). 

A tal fine, sfruttiamo un dataset ottenuto mediante l’integrazione di quattro fonti ufficiali prodotte dall’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT). In dettaglio, il database è frutto dell’integrazione del campione di imprese della CIS (Community Innovation Survey) con l’Archivio statistico delle imprese attive Imprese (ASIA), il Registro statistico dell’occupazione delle imprese (ASIA Occupazione) e il Registro annuale su retribuzioni, ore e costo del lavoro per individui e imprese (RACLI). Quest’ultimo raccoglie informazioni, di natura amministrativa, relative alle retribuzioni dei lavoratori dipendenti impiegati nelle imprese italiane (del settore privato extra-agricolo) per ciascuna posizione lavorativa attiva. È bene sottolineare che, nonostante la ricchezza del dataset, siamo in grado di studiare la struttura delle differenze salariali in Italia solo per un anno, il 2016, e per un campione specifico di imprese con almeno dieci dipendenti estratte dalla CIS. Di seguito mostriamo una figura che descrive l’integrazione dei dati sviluppata.

L’analisi è svolta su un campione di 14.510 imprese con almeno 10 dipendenti – di cui oltre la metà costituito da piccole imprese – operanti nei settori manifatturiero, commercio, trasporti, informazione e comunicazione, attività professionali, scientifiche e tecniche. Nel dettaglio, seguendo Winter-Ebmer e Zweimuller (1999) e più recentemente Cirillo et al. (2017) e stimando un’equazione che ci permette di depurare i salari dall’influenza delle caratteristiche osservabili di lavoratori e imprese, usiamo, come misura della disuguaglianza within firm, il rapporto (differenza logaritmica) fra il 90° e il 10° percentile dei salari interni all’impresa e, come misura della disuguaglianza between firms, la differenza fra il 90° e il 10° percentile dei salari medi di impresa. 

La semplice decomposizione della varianza dei salari orari nel nostro campione evidenzia che la disuguaglianza salariale tra le imprese rappresenta il 39% della disuguaglianza totale, a fronte del 61% spiegato da differenze retributive fra lavoratori all’interno dell’impresa. Nell’analisi di questi valori, dobbiamo considerare che nel nostro campione (le cui osservazioni non sono non pesate) le grandi imprese hanno un peso relativamente maggiore.

Al di là dei risultati della scomposizione, diviene interessante individuare le caratteristiche delle imprese a maggiore disuguaglianza, in base alla loro dimensione e all’intensità tecnologica del settore al quale appartengono, sulla base della tassonomia sviluppata da Eurostat. La nostra analisi evidenzia che i servizi, in particolare quelli ad alto contenuto di conoscenza, registrano il più alto livello di disuguaglianze salariali, indipendentemente dalla misura della dispersione considerata. La Figura 1 mostra che la dispersione salariale misurata fra i più pagati e i meno pagati all’interno della singola impresa è maggiore nei servizi e in particolare in quelli ad alta intensità di conoscenza e nelle imprese con oltre cinquanta dipendenti. Nelle imprese della manifattura ad alta e medio-alta intensità tecnologica, il pattern è inverso, ovvero sono le imprese di piccola-media dimensione a registrare i livelli più alti di disparità. Questa disuguaglianza all’interno di ciascuna impresa non è dunque esplicitamente correlata alle caratteristiche individuali e aziendali, ma si può ipotizzare sia legata alle disparità di opportunità e/o capacità tra i lavoratori nella determinazione delle proprie retribuzioni. Su quest’ultimo aspetto, un ruolo potenzialmente rilevante è rivestito dalla densità sindacale, dall’eventuale presenza e connotazione della contrattazione di secondo livello, così come dalla presenza di modalità informali di negoziazione delle retribuzioni all’interno delle imprese.

Figura 1: Disuguaglianza salariale interna alle imprese per dimensione di impresa e settori tecnologici

I servizi ad alto contenuto di conoscenza registrano anche i più alti differenziali retributivi fra imprese (Figura 2). Questa disuguaglianza nelle retribuzioni medie (come detto, depurate dalle caratteristiche individuali) fra imprese potrebbe ricondursi alla dispersione della produttività, indicando una struttura dualistica, specialmente nei servizi dove imprese a bassa produttività e a bassa retribuzione coesistono con imprese ad alta produttività e ad alta retribuzione. Dall’analisi emerge, inoltre, come la dimensione dell’impresa sia fortemente associata alla dispersione salariale tra le imprese nei servizi, mentre l’opposto avviene nella manifattura. Ciò può attribuirsi all’ eterogeneità nelle relazioni tra forza lavoro e management nei due comparti produttivi, con quello manifatturiero strutturalmente caratterizzato da una dimensione media d’impresa superiore, maggiore densità sindacale e maggior diffusione di contrattazione aziendale di secondo livello (Bisio et al. 2023).

Figura 2: Disuguaglianza salariale fra imprese per dimensione di impresa e settori tecnologici 

Infine, la peculiarità del nostro dataset ha permesso di esplorare il ruolo dell’innovazione – sintetizzata dalla spesa totale in attività innovativa da parte dell’impresa – nell’influenzare le disuguaglianze all’interno e tra le imprese. Da una prima analisi descrittiva, gli investimenti in innovazione non sembrano essere associati a più ampie disparità all’interno delle imprese italiane (Figura 3). Inoltre, la presenza di investimenti innovativi non è associata di per sé ad una crescente dispersione tra le imprese in quelle medio-grandi, dove probabilmente i fattori istituzionali come la presenza sindacale svolgono un ruolo importante nell’influire sulla redistribuzione interna (Figura 4).

Figura 3: Dispersione salariale interna alle imprese per dimensione di impresa e investimenti in innovazione

Figura 4: Dispersione salariale fra imprese per dimensione di impresa e investimenti in innovazione

Da una successiva analisi econometrica si rileva che l’innovazione non è significativamente associata ad una maggiore dispersione interna nelle grandi imprese, mentre contribuisce ad ampliare la dispersione retributiva interna nelle piccole. Attraverso tecniche di regressione quantilica, rileviamo poi come gli investimenti in innovazione non siano associati ad un aumento di disparità salariale tra le grandi aziende, ma possono contribuire ad ampliarla tra le piccole.

In conclusione, l’analisi evidenzia che particolare attenzione dovrebbe essere posta sull’eterogeneo comparto dei servizi, dove possono emergere importanti disparità salariali sia fra imprese che all’interno di queste. Tale risultato può essere collegato a fattori di tipo istituzionale (la più debole rappresentanza sindacale rispetto alla manifattura), pratiche organizzativo-manageriali (ad esempio, l’applicazione di politiche salariali discrezionali) o strutturali (una relativa maggiore dispersione della produttività). Nella valutazione del ruolo del cambiamento tecnologico come ulteriore potenziale fonte di dispersione retributiva all’interno e tra le imprese, l’analisi sembra evidenziarne la rilevanza solo per le imprese di piccola dimensione. I nostri risultati suggeriscono, inoltre, che altri meccanismi – al di là dell’innovazione in sé – influenzano le disuguaglianze salariali, meccanismi che sono più radicati nelle istituzioni del mercato del lavoro. Da questo punto di vista, sarebbe cruciale per la ricerca avvalersi di informazioni su diversi fattori istituzionali, come il livello e la copertura degli accordi contrattuali, anche di secondo livello, e la densità sindacale a livello aziendale. La mancanza di questi elementi ha certamente limitato la nostra analisi, insieme alla mancanza di una struttura di dati longitudinale che non ha permesso di collegare le disuguaglianze all’interno e tra le imprese ai fattori macroeconomici. Nonostante tali limitazioni, questo contributo, che rappresenta un tentativo preliminare di individuare dei nessi tra le caratteristiche strutturali dell’economia e le problematiche distributive, ha evidenziato il valore strategico dell’integrazione di molteplici fonti di dati ai fini di un’analisi ad ampio spettro della disuguaglianza salariale, contribuendo potenzialmente a orientare misure di policy mirate al contrasto di quest’ultima.

* Le opinioni espresse in questo articolo non riflettono quelle delle Istituzioni di appartenenza degli autori.

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