ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 211/2024

14 Marzo 2024

Eugenio Levi, Fabrizio Patriarca,

Noi contro voi: mentalità populista e idee di giustizia sociale

Eugenio Levi e Fabrizio Patriarca, partendo dall'analisi dello stile comunicativo del presidente Meloni, analizzano le conseguenze sul sistema politico della mentalità, oggi prevalente, del “noi contro voi” imposta dal populismo. Dopo aver argomentato l’incompatibilità di una tale mentalità con la definizione di programmi di giustizia sociale, gli autori considerano alcune possibili soluzioni che potrebbero essere adottate dai partiti che vogliono risolvere i conflitti sociali piuttosto che identificarsi con una parte per cercare di sopraffare l’altra.

Una caratteristica della linea comunicativa del Presidente Meloni è presentarsi come parte, solitamente offesa, di uno scontro a due, tra “noi” e “voi”. Lo ha fatto fin dal suo discorso di vittoria elettorale, evocando la storia di una parte reietta che finalmente vede arrivare il “suo turno” mentre per l’altra “finisce la pacchia”; lo ha fatto durante la sua attività di Governo in varie occasioni fino ad evocare complotti a suo danno. Questo aspetto  conferma la caratteristica fortemente populista su cui Meloni ha saldato il consenso intorno al nucleo originale del reducismo missino dei suoi “fratelli”. La rappresentazione e trasformazione dell’arena politica in un “noi contro voi”  è una caratteristica tipica del populismo, in cui  il “noi” rappresenta un popolo mitizzato dai confini usualmente ben definiti all’interno della società e il “voi”, altrettanto ben definito, include non solamente le élite ma anche tutti i suoi supposti fiancheggiatori ((M.Lazar, I.Diamanti, Popolocrazia. La metamorfosi delle nostre democrazie, Laterza, 2020). 

Sul piano istituzionale, la rappresentazione è quello del popolo contro le istituzioni democratiche, che assume quindi anche caratteristiche eversive. Un ulteriore esempio sono le dichiarazioni di Milei sul Parlamento, ma esempi minori si sono avuti anche al tempo dell’altro nostro governo populista, il Conte 1 (si ricordi il caso Savona o le “manine”) che infatti si definiva non come la “guida” del popolo ma come il suo “avvocato”, a conferma della concezione di un nemico davanti al quale agire da parte lesa. Questo gridare a una sorta di colpi di stato “soft” è coerente con un approccio del “noi contro voi” in cui i protagonisti cambiano di volta in volta a seconda dei temi. In tema di migrazioni, la rappresentazione contrappone chi subisce i danni di un’invasione, ai buonisti chiusi in torri d’avorio se non addirittura a complici più o meno consapevoli di un progetto oscuro di sostituzione etnica. Nel caso dei diritti civili, da una parte ci sono i difensori dei sacri valori e dall’altra i tentativi di imporre una cultura gender che cancelli relazioni familiari e identità sessuali. In tema fiscale, il solco è alternativamente tra difensori del merito e assistenzialisti, evasori e fedeli fiscali, poveri e super-ricchi, pizzo di stato e libertà economica. 

Se quindi la mentalità prevalente è quella del noi contro voi, figlia del populismo imperante, occorre chiedersi, innanzitutto, quali siano le conseguenze di un sistema politico in cui questa mentalità prevale, e soprattutto la sua compatibilità con il tentativo di affermare programmi di giustizia sociale.

Il  conflitto tra interessi non del tutto conciliabili caratterizza  ogni sistema politico ma il “noi contro di voi” ha una sua specificità. Prendiamo ad esempio gli scontri ideologici, anche furibondi, della Prima Repubblica. I partiti della Prima Repubblica avevano una natura fondamentalmente interclassista e si proponevano come mediatori di istanze socio-economiche. Una rappresentazione manichea del PCI come partito del “proletariato” e della DC come partito della “borghesia”, ad esempio, non renderebbe giustizia alla complessità del dibattito in quei partiti.

La DC era per definizione interclassista. Nel PCI, il proletariato, nell’alveo della concezione gramsciana, era visto come soggetto  portatore di una carica emancipatrice per il superamento degli assetti esistenti piuttosto che come  promotore di pure rivendicazioni classiste. Il concetto di egemonia politica  gramsciana è, per certi versi, l’esatto opposto di un “noi” vissuto in antagonismo al “voi”. Inoltre, il PCI non sposò mai idee operaiste che provavano ad affermare la centralità della classe operaia rispetto al partito o al sindacato e restò  piuttostofedele all’idea della via italiana al socialismo delineata da Togliatti nel dopoguerra. Rispetto alle politiche populiste di bandiera, improntate alla gratificazione immediata di specifici segmenti sociali di riferimento a scapito di altri, di cui abbiamo parlato, sembra di essere su un altro pianeta. 

Una prima conseguenza del “noi” contro “voi” è la scarsa propensione a politiche di lungo periodo. Due meccanismi spingono in questa direzione. Il primo, molto banalmente, è quello della gratificazione immediata del “noi” che ha consentito la vittoria elettorale. Il secondo è più sofisticato: nella logica dell’alternanza di governo, l’avversione per il “nemico” crea l’aspettativa che le maggioranze future abrogheranno le leggi di bandiera delle maggioranze attuali. Quindi, è debole l’incentivo, per queste maggioranze, a attuare riforme che avrebbero effetti solo nel lungo periodo. Il modo frettoloso in cui il governo Meloni ha smantellato il reddito di cittadinanza, pur riconoscendo che non si può fare a meno di strumenti di integrazione del reddito per le famiglie bisognose, è un perfetto esempio di una legge di bandiera di un “voi” ieri al potere abrogata solamente perché invisa al “noi” oggi al potere.

La seconda è una crescente ‘polarizzazione affettiva’, cioè la tendenza ad estendere a tutti gli ambiti sociali differenze inizialmente determinatisi in ambito politico prima, a dare una rappresentazione stereotipata negativamente del gruppo avverso poi, fino, in ultimo, al non voler stringere rapporti di vicinanza o amicizia con persone dell’altro gruppo. Della Posta, Shi e Macy (2015) hanno studiato le correlazioni nelle abitudini e nelle preferenze di consumo fra votanti partiti contrapposti negli USA e hanno verificato come Democratici e Repubblicani tendano ormai ad avere costumi e preferenze diverse anche in contesti non politici. Per esempio,  i liberal hanno una maggiore affinità con il New Age, il blues, la musica reggae e il jazz, e mostrano un maggior apprezzamento per l’arte moderna. Le differenze nelle preferenze rimangono forti anche qualora, a livello econometrico, si controlli per il diverso status socio-economico dei sostenitori dei due partiti. Inoltre, come mostrato da Macy et al. (2019) questa polarizzazione passa anche, in maniera preoccupante, per una tendenza al puro conformismo, quindi per processi imitativi che prescindono da norme sociali, da preferenze comuni o dall’apprendimento. Il puro fatto di appartenere ad uno stesso gruppo politico spinge a conformarsi alla posizione reputata, a torto o a ragione, prevalente nel gruppo stesso. Tutti questi processi sembrano essere favoriti dai social media, dalla loro capacità di agevolare l’emersione di bolle sociali e dagli algoritmi che limitano l’esposizione a narrative di segno politico opposto.

C’è anche una terza conseguenza. La mentalità noi contro voi, infatti, esclude per definizione la possibilità di declinare le proposte politiche in termini che non siano associati alla difesa di interessi particolari. Non a caso quei “noi” e quei “voi”, che abbiamo definito negli esempi iniziali, vengono sempre associati a delle politiche simboliche. Da una parte, ogni politica deve essere associata ad un ‘noi’, dall’altra è la definizione di questo ‘noi’ che determina poi le corrispettive politiche e pretese, in una perfetta corrispondenza che non tiene in considerazione il welfare sociale complessivo.  I principi di fondo di questa logica sembrano allontanare le forze politiche da qualsiasi programma fondato su idee di giustizia sociale. Qualsiasi tentativo di affrontare un dibattito sulle ingiustizie è destinato, inesorabilmente, a esaurirsi perché operante inevitabilmente sul terreno di una logica generale di principi. E la discussione sui principi non si sposa bene con la logica del ‘noi’, perché i principi devono valere su un piano morale astratto. Immigrazione, Fisco e Diritti Civili, ne sono nuovamente esempi significativi. 

La logica dei gruppi riduce il tema dell’immigrazione a un ‘si versus no’: qualsiasi dibattito su quali siano i flussi sostenibili, i modelli e le politiche di integrazione, i diritti da garantire  a prescindere, i sistemi e gli  attori di respingimenti e rimpatri, viene oscurato da una tendenza alla contrapposizione a prescindere, innescata solitamente da eventi ad alto impatto mediatico come lo sbarco di una nave con trenta passeggeri.. 

Sulle questioni fiscali, orizzonte breve e prevalenza di interessi particolari impediscono di affrontare nodi di base della giustizia distributiva e favoriscono interventi al margine che danno visibilità alle categorie vincitrici, senza affrontare il problema della   distribuzione del carico fiscale – e la stessa definizione di capacità contributiva –,   quello delle basi imponibili (piuttosto che delle aliquote) o quello dell’alternativa tra interventi di welfare monetari o in natura.

Anche per via dagli avanzamenti delle conoscenza  occorre oggi affrontare nuove e complesse questioni eticamente sensibili (fine vita, colture biologiche, brevettazione di genomi,ecc.). Il ‘noi contro voi’ in questo caso favorisce la formazione di movimenti che mettono in discussione i sistemi valoriali tradizionali e fanno rivivere approcci identitari integralisti e spinte teocratiche, impedendo così accordi che salvaguardino sensibilità valoriali e libertà individuali. Prevale, anche su questi temi, la spinta alla sopraffazione di una parte sull’altra e non la ricerca del consenso più ampio possibile.

Il ‘noi contro di voi’, spingendo gli attori della politica non a distinguersi per il modo di risolvere problemi e conflitti, ma a identificarsi con una delle parti non può condurre a trasformazioni della società che la investano trasversalmente. 

Tra le possibili vie d’uscita da questa situazione una sembrerebbe essere quella del muoversi in direzione opposta e contraria. Al riguardo, esistono idee diverse tra gli scienziati politici su cosa sia il contrario del populismo.

Alcuni, fra i quali C. Mudde e C.R.Kaltwasser (“Populism”, in Oxford Handbook of Political Ideologies, a cura di  M. Freedenet al., Oxford University Press, 2013), ritengono che l’opposto del populismo sia il pluralismo, caratterizzato da una molteplicità di gruppi ugualmente rappresentati, ognuno capace di dialogare con gli altri. Evidenze sperimentali sull’altruismo rivelano come, una volta messa da parte l’identità di gruppo, le persone siano effettivamente disposte ad immedesimarsi con gli altri e a prendere in considerazione le loro esigenze. Secondo l’Adam Smith della Teoria dei Sentimenti Morali, questo atteggiamento, che lui chiama di “simpatia”, è possibile se le richieste sono appropriate in intensità e giustificate, e si possiedesufficiente “immaginazione”. Pensiamo, ad esempio, a come una tensione verso l’altro sarebbe benefica in alcuni contesti di guerra, come nel conflitto israelo-palestinese, dove una maggior capacita di comprendere il punto di vista del “nemico” certamente aiuterebbe nella ricerca di vie praticabili per una pace duratura. Fra l’altro, proprio in un contesto di questioni che, usando una definizione alla Buchanan, richiederebbe soglie di maggioranza molto alte perché con i costi esterni (i danni per i “voi”) sono alti,  si rivela l’inadeguatezza di riforme istituzionali ed elettorali che tendano a ridurre gli spazi del pluralismo, come quelli della dialettica parlamentare, e che affermano come valore la ricerca della maggioranza più piccola possibile. Seppure teoricamente possibile, questo approccio forse risente di un certo semplicismo ed è, a suo modo, estremo. In un contesto di estrema frammentazione sociale, quante persone andrebbero messe intorno ad un tavolo per cercare di portare a sintesi queste molteplicità di interessi e di punti di vista? 

Per altri scienziati politici, fra i quali B. Moffitt e E. Laclau, il contrario del populismo sarebbe la tecnocrazia, ovvero l’idea della semplice contrapposizione al populismo della competenza e dell’esperienza,  della sostituzione delle politiche di bandiera con  politiche ragionevoli di gestione dell’esistente e di lento progresso. Sul piano comunicativo, all’esuberanza dei leader populisti e alle loro “cattive maniere” si opporrebbero dei politici seri e modesti e di “buone maniere”. Anche in questo caso, sembra ragionevole supporre che un qualche ritorno alla competenza sia effettivamente desiderabile. In Inghilterra, il successo nei sondaggi di cui sta godendo il Partito Laburista guidato da Keir Starmer sembra figlio, oltre che dei disastri della destra al governo nel corso dei passati 5 anni, anche di una certa immagine di competenza e integrità. In altri contesti, questa strada sembra più difficile da percorrere, soprattutto se la polarizzazione politica si è estesa dall’ambito delle forze politiche all’opinione pubblica. 

Se allora pluralismo e competenza possono aiutare solo in misura limitata, esistono forse altre vie e altre concezioni di politica che possono ugualmente fornire indicazioni utili per opporsi alla mentalità populista. Pensiamo, ad esempio, a idee di giustizia basate sulla capacità di astrarsi dalla propria condizione economico-sociale come quando si è avvolti nel velo dell’ignoranza o si è imparziali come lo spettatore di smithiana memoria, e pensiamo ad approcci di uguaglianza procedurale che aiutino a definire un concetto condiviso di merito pur senza perdere di vista che la società è divisa in gruppi. I partiti che non vogliono accontentarsi di essere additati come un “voi” da combattere dovrebbero prendere in seria considerazione queste strade e decidere quale (o quali) imboccare, con la determinazione che i tempi richiedono.

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