ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 204/2023

2 Dicembre 2023

Le politiche per la prima infanzia e le persistenti disuguaglianze. 

Giulia Milan, Pierina De Salvo, Valeria Qualiano e Roberta Crialesi analizzano il sistema di offerta di servizi educativi per l’infanzia alla luce dell’istituzione del Sistema integrato di istruzione 0-6 e dell’introduzione del “bonus asilo nido”. Il crescente utilizzo del contributo statale ha saturato i posti disponibili in quasi tutto il territorio nazionale ma persiste la grave carenza di servizi, in particolare nel Mezzogiorno, e le disuguaglianze socio-economiche nella frequenza del nido risultano accentuate.

Negli ultimi anni in Italia sono state introdotte diverse misure mirate al potenziamento e al riequilibrio del sistema di offerta di servizi educativi per la prima infanzia, storicamente frammentato ed eterogeneo sul territorio. Con la Legge n. 107 del 2015 e il D.l.gs. n. 65 del 2017, peraltro, viene sancita l’uscita dal comparto socio-assistenziale dei servizi per la prima infanzia e la loro collocazione all’interno di un “sistema integrato di istruzione dalla nascita fino a 6 anni”, che dovrebbe garantire un’equa accessibilità alle famiglie e ai bambini di ogni ceto sociale. Per lo sviluppo del sistema e per la prevenzione della povertà educativa, è stato istituito un fondo nazionale, che permette di finanziare ristrutturazioni, opere di messa in sicurezza edilizia, spese di gestione e formazione del personale. 

Le leggi di bilancio per il 2021 (n. 178/2020) e per il 2022 (n. 234/2021) hanno disposto un incremento del Fondo di solidarietà comunale per la costruzione di nuove strutture, in particolare nei Comuni che hanno maggiori carenze. 

I servizi alla prima infanzia, inoltre, sono stati inclusi nei livelli essenziali delle prestazioni, che fissano un minimo del 33% di posti da garantire ai bambini sotto i tre anni entro il 2027. 

Non da ultimo, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), con lo stanziamento di importanti risorse per aumentare l’offerta di nidi, rappresenta una grande occasione per colmare le carenze del sistema educativo per i più piccoli e per ridurre i differenziali di opportunità legati al luogo e alle condizioni di nascita dei bambini. 

Sul versante del sostegno economico alla domanda, dal 2017 è stato introdotto il “Bonus asilo nido” (Legge n.232/2016), un contributo al rimborso delle spese sostenute dalle famiglie per la frequenza del nido.

Dal punto di vista dell’incremento dell’offerta, aspetto fondamentale per consolidare il ruolo dei servizi per la prima infanzia all’interno di un percorso di crescita e di sviluppo equo ed universale dei bambini, i dati disponibili non consentono ancora di apprezzare gli effetti degli investimenti stanziati.

Nell’anno educativo 2021/2022 la dotazione di strutture a livello nazionale, comprensiva sia del settore pubblico che del settore privato, risulta ancora insufficiente per il raggiungimento dell’obiettivo minimo, stabilito nel lontano 2002 dal Consiglio Europeo di Barcellona, di garantire la frequenza ad almeno il 33% dei bambini. Infatti, i posti disponibili coprono il 28% dei bambini residenti da 0 a 2 anni. Pur non essendo lontani da tale parametro, si registra una grande distanza rispetto al nuovo obiettivo europeo, che innalza al 45% il tasso di partecipazione da raggiungere entro il 2030.

A livello territoriale si registra una grande variabilità nella disponibilità di servizi a tutti i livelli territoriali, ma soprattutto si conferma un forte divario fra il Centro Nord, dove la copertura media ha raggiunto il 34,4% e il Mezzogiorno, in lento miglioramento ma con un’offerta ancora molto carente (16,2%).

Degli oltre 350.000 posti autorizzati al funzionamento, il 48,8% sono in strutture pubbliche, gestite dai Comuni o affidate ad enti privati (profit o non profit), il rimanente 51,2% è di titolarità privata (tra cui i servizi convenzionati con i Comuni).

Le risorse economiche utilizzate a livello locale hanno un ruolo importante per il funzionamento del sistema educativo per la prima infanzia, infatti i livelli della dotazione di strutture sul territorio vanno di pari passo con quelli della spesa dei Comuni.

Complessivamente nel 2021 i Comuni hanno impegnato per i servizi all’infanzia 1,6 miliardi di euro, di cui il 16,7% rimborsato dalle rette pagate dalle famiglie (263 milioni di euro). Ai differenziali fra le regioni e le ripartizioni geografiche si intrecciano quelli legati alla tipologia dei Comuni, si delinea quindi una graduatoria delle risorse di cui beneficiano mediamente i bambini (e le loro famiglie) in base al luogo di residenza: da più di 2.600 euro l’anno dei Comuni capoluogo del Centro-nord, si passa a 255 euro dei Comuni non capoluogo del Mezzogiorno.

Figura 1: Spesa pro-capite sostenuta dai Comuni singoli e associati per i servizi educativi per la prima infanzia, per ripartizione geografica e tipo di Comune (euro per bambino residente di 0-2 anni). Anno 2021

Fonte: Istat, Indagine sui nidi e servizi integrativi per la prima infanzia

In questo quadro ci si domanda se i contributi erogati dall’INPS alle famiglie che utilizzano il nido riescano a riequilibrare l’offerta dal punto di vista dell’equità territoriale e sociale.

Nel 2021 i bambini che hanno beneficiato del contributo (oltre 358mila) hanno saturato i posti disponibili nelle strutture pubbliche e private, superando anche leggermente la capienza complessiva per effetto della rotazione di più iscritti negli stessi posti nel corso dell’anno. Nel Mezzogiorno, dove la copertura è più bassa, si registra il maggior disavanzo fra i posti e i beneficiari del contributo. 

Figura 2: Beneficiari del bonus e posti disponibili nei nidi, sezioni primavera e servizi in contesto domiciliare (per 100 bambini residenti 0-2 anni)

Fonti: Istat, INPS.

Il numero dei beneficiari del bonus varia sul territorio analogamente alla disponibilità di posti pubblici e privati, di conseguenza varia l’importo medio pro-capite annuo ricevuto: da 192 euro al Sud, si passa a 242 nelle Isole, 386 al Nord-est, 414 euro al Nord-ovest, fino a 436 euro al Centro. 

Le risorse erogate a livello centrale sotto forma di contributi alle famiglie, quindi, mostrano differenze territoriali simili alla spesa gestita a livello locale e pertanto non riescono a compensare i divari, ma anzi li aggravano.

Se sommiamo la spesa dei Comuni per i servizi alla prima infanzia (1,3 miliardi di euro) con la spesa erogata dall’INPS per lo stesso anno (427 milioni di euro), le risorse pubbliche impiegate per la fruizione del nido ammontano a poco più di 1,7 miliardi di euro. 

In termini pro-capite, si registra che un bambino sotto i tre anni della Calabria ha beneficiato mediamente di circa un decimo delle risorse pubbliche per i servizi educativi rispetto a un bambino della Valle d’Aosta (330 e 3.625 euro rispettivamente). A livello di ripartizione, il Centro Italia si conferma l’area con la spesa più alta (2.191 euro pro-capite), pari a 4 volte quella del Sud (534 euro).

Figura 3: Spesa pro-capite sostenuta dai Comuni singoli e associati per i servizi educativi per la prima infanzia e importo pro-capite del bonus “Asilo Nido”, per regione (valori in euro). Anno 2021

Fonti: Istat, Indagine sui nidi e servizi integrativi per la prima Infanzia – INPS: bonus “Asilo Nido”, dati per competenza (12 luglio 2023).

Un altro aspetto importante per l’accessibilità e l’equità nelle opportunità di fruire dei servizi, sono i criteri utilizzati dai Comuni per formulare le graduatorie di accesso al nido.

In un contesto di crescente domanda e in presenza di frequenti richieste di iscrizione non accolte dai servizi per carenza di posti (nel 2021/2022 il 63% dei nidi pubblici e il 40,7% dei privati non è riuscito ad accogliere tutte le domande pervenute), i criteri di selezione delle domande hanno un ruolo importante nel determinare le caratteristiche delle famiglie che utilizzano il nido.

Tra i requisiti che danno diritto a un punteggio di priorità, quelli più utilizzati sono inerenti al lavoro dei genitori, considerati dalla quasi totalità dei Comuni. Le famiglie con entrambi i genitori che lavorano, in particolare, ottengono il punteggio massimo più frequentemente, ovvero in quasi la metà dei Comuni interessati (49,5%). 

Ancora poco rilevante, dal punto di vista dell’accessibilità, il peso dato alla funzione educativa e di contrasto alle disuguaglianze dei servizi per la prima infanzia. Infatti, solo un quarto dei Comuni considera gli indicatori della situazione economica (ISEE) tra i criteri per la formulazione delle graduatorie e circa il 5% attribuisce il massimo del punteggio alle famiglie economicamente svantaggiate.

Gli ultimi dati disponibili sui redditi e le condizioni di vita delle famiglie, riferiti al 2021, hanno consentito di aggiornare il quadro delle disuguaglianze socio-economiche per il segmento educativo 0-2 anni rispetto al 2017. Si conferma un profilo dei fruitori del servizio sbilanciato verso le famiglie ad alto reddito, ad alto livello di istruzione e con genitori entrambi occupati.

Per quanto riguarda il reddito delle famiglie, l’utilizzo del nido è aumentato in tutte le classi (quinti di reddito). Tuttavia gli aumenti più consistenti si registrano nella quarta e nella quinta fascia di reddito, dove la frequenza ha raggiunto rispettivamente il 40,1% e il 40,2%, mentre per i bambini appartenenti alle famiglie relativamente più povere (nel primo quinto) la frequenza è passata dal 13,4% al 17,9%. Paradossalmente, quindi, il gap tra la prima e l’ultima fascia di reddito è aumentato, passando da 17,7 a 22,3 punti percentuali (nel secondo quinto di reddito il numero di bambini sotto i tre anni frequentanti il nido non è sufficiente per avere frequenze statisticamente significative). 

Figura 4: Percentuale di bambini di 0-2 anni che frequentano il nido per quinti di reddito. Anno 2021

Fonte: Indagine europea sul reddito e le condizioni di vita (Eu-silc).

Inoltre, il reddito medio delle famiglie con bambini tra 0 e 2 anni che frequentano il nido si conferma più alto rispetto alle famiglie con figli della stessa età che non lo frequentano (19.808 euro annui vs 16.186) e la distanza risulta accentuata rispetto a quattro anni prima (dal 15% in meno del 2018 si stima il 18% in meno nel 2021 per le famiglie che non utilizzano il nido).

Una riduzione del divario, anche se non di grande entità, si riscontra per i bambini che vivono in famiglie a rischio di povertà: la frequenza del nido è passata dal 14,2% al 17,8%, mentre per tutti gli altri bambini (non a rischio di povertà) è passata dal 26,2% al 27,5%. 

La condizione lavorativa della madre continua ad essere un fattore strettamente connesso con la frequenza del nido: nel 2021 si stima che solo il 12,9% dei bambini con la madre che non lavora frequentino il nido, dato in calo rispetto a quello registrato nel 2017 (17,6%). Di contro, aumenta la quota dei frequentanti per i figli delle donne che lavorano: dal 30,2% del 2017 al 34,2% del 2021. L’aumento, quindi, sembrerebbe aver interessato unicamente i bambini che hanno madri lavoratrici. 

Anche un più alto titolo di studio dei genitori garantisce ai bambini maggiori opportunità di accesso al nido: si passa dal 16% di frequenza se i genitori hanno conseguito al massimo il diploma di scuola secondaria superiore, al 36,9% nelle famiglie con almeno un genitore laureato o con titolo di studio più alto. Anche in questo caso, le differenze si sono accentuate nel tempo: il gap passa 9,7 punti percentuali nel 2017 a 20,9 punti percentuali nel 2021. 

Dalle analisi effettuate, dunque, emerge che nonostante il crescente utilizzo del contributo statale da parte delle famiglie, che ha comportato la saturazione dei posti disponibili nelle strutture in quasi tutto il territorio nazionale, dal punto di vista dell’equità il quadro delle disuguaglianze non risulta migliorato rispetto al 2017. 

In assenza di un sistema di offerta capillare e inclusivo per tutte le tipologie di famiglie, le disuguaglianze socio-economiche nella frequenza del nido non sembrano diminuire, al contrario risultano accentuate negli anni osservati. Non essendo ancora misurabili gli effetti del PNRR e delle altre misure introdotte per il potenziamento dell’offerta e per il superamento della grave carenza di servizi, in particolare nelle aree del Mezzogiorno, non si registra un miglioramento significativo della frequenza, né un riequilibrio dei divari territoriali. 

In condizioni di esubero della domanda rispetto all’offerta, soprattutto nel settore pubblico, i criteri adottati nelle graduatorie comunali per l’accesso al nido contribuiscono ad ampliare il divario tra le opportunità dei bambini appartenenti alle diverse classi sociali, privilegiano i nuclei familiari in cui entrambi i genitori lavorano a scapito delle famiglie monoreddito, incluse quelle con difficoltà ad integrarsi nel mercato del lavoro. 

Alcuni segnali positivi, tuttavia, fanno intravedere i possibili cambiamenti: il lieve incremento dell’offerta di nidi nel Meridione ha comportato nel tempo una parallela diminuzione dei bambini iscritti in anticipo alle scuole d’infanzia, fenomeno particolarmente diffuso in quest’area. La disponibilità di servizi appropriati per i bambini sotto i tre anni, unitamente alle politiche di sostegno economico, può quindi orientare rapidamente le scelte delle famiglie. 

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