ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 204/2023

2 Dicembre 2023

A che punto siamo con la lotta all’evasione fiscale internazionale? Evidenze dal primo Global Tax Evasion Report

Francesca Subioli sulla base delle evidenze raccolte nel primo Global Tax Evasion Report 2024 curato dall’EU Tax Observatory e presentato recentemente a Roma, traccia un bilancio dei successi e degli insuccessi delle politiche dirette a contrastare l’evasione fiscale internazionale e delinea l’agenda per il futuro. Subioli dà anche conto di alcune riflessioni sulla concreta implementazione della lotta all’evasione fiscale in Italia e sul legame che esiste tra fiscalità e disuguaglianze emerse nell’evento di presentazione del Rapporto.

<>. Così Joseph Stiglitz apre il primo Rapporto sull’evasione fiscale internazionale, curato dal laboratorio di ricerca EU Tax Observatory e frutto del lavoro di più di 100 ricercatori. Si tratta del primo tentativo sistematico di fare il punto sull’evasione fiscale internazionale che, come ricorda ancora Stiglitz, ha un duplice effetto sociale: da un lato, essa riduce il gettito fiscale a disposizione dei governi ostacolando la risposta pubblica alle sfide del cambiamento climatico, delle pandemie, delle diseguaglianze, e i necessari investimenti in istruzione, salute, infrastrutture e tecnologia. Dall’altro lato l’evasione, se concentrata nella coda alta della distribuzione, aumenta le disparità fiscali erodendo la progressività con effetti avversi sul funzionamento delle democrazie: aggrava le disuguaglianze, indebolisce la fiducia nelle istituzioni e la validità del contratto sociale.

Il Rapporto presta attenzione soprattutto alle nuove opportunità di evasione o di elusione fiscale che la globalizzazione ha offerto alle società multinazionali e ai possessori di elevati patrimoni. Negli ultimi 15 anni, infatti, molti paesi hanno introdotto regimi fiscali preferenziali per alcune categorie considerate particolarmente propense a spostarsi (Tabella 1). Questa strategia può aumentare, almeno nel breve periodo, il gettito fiscale del paese di destinazione ma non quello globale perché la base imponibile precipita nel paese di provenienza e il gettito globale si riduce più che proporzionalmente. Essendo i regimi fiscali speciali rivolti principalmente alle persone facoltose, oltre a ridurre il gettito essi intaccano la progressività dei sistemi fiscali facendo aumentare le disuguaglianze. Il beneficiario del regime speciale risparmia, il paese “ospitante” guadagna gettito, ma i costi per la collettività (globale) sono più elevati dei benefici. La questione si pone come un gioco a somma negativa in cui la mancanza di coordinamento conduce a una corsa al ribasso delle aliquote.

Tabella 1: La proliferazione dei regimi fiscali speciali dell’Unione Europea

La tabella riporta statistiche sintetiche su 30 regimi fiscali preferenziali europei. I regimi di “reddito da fonte estera” (proposti da Grecia, Francia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Malta, Portogallo, Spagna, Svizzera e Regno Unito) offrono una tassazione preferenziale del reddito mondiale o del reddito estero. I regimi di “reddito domestico” (proposti da Austria, Belgio, Cipro, Danimarca, Finlandia, Francia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi e Svezia) garantiscono aliquote ridotte se si svolgono specifiche attività economiche nel paese ospitante. I regimi “per pensionati” (proposti a Cipro, Grecia, Italia, Malta e Portogallo) offrono una tassazione ridotta dei redditi da pensione di origine estera.

Fonte: Rapporto sull’evasione fiscale internazionale 2024.

Nell’ultimo decennio si è cercato di limitare questo fenomeno con diverse iniziative: di particolare rilevanza sono stati lo scambio automatico e multilaterale delle informazioni bancarie in vigore dal 2017 e applicato in più di 100 paesi nel 2023, e l’accordo siglato da più di 140 paesi nel 2021 sotto l’egida dell’OCSE per l’introduzione di una imposta minima globale del 15% sulle società multinazionali, di cui hanno dato conto R. Paladini sul Menabò  e T. Di Tanno su lavoce.info. Il Rapporto, presentato a Roma il 13 Novembre, prova a fare il punto queste iniziative. Il direttore dell’EU Tax ObservatoryGabriel Zucman, ha affermato che il bilancio complessivo sembra essere negativo, ma alcuni importanti traguardi sono stati raggiunti. Un successo è lo scambio automatico di informazioni bancarie, che permette di contrastare l’ evasione fiscale internazionale di individui facoltosi: il reddito detenuto nei paradisi fiscali resta circa il 10% del PIL mondiale, ma in 10 anni la quota che sfugge alla tassazione si è ridotta ed era pari al 3,2% nel 2022 (Figura 1). Una parte di questa ricchezza, tuttavia, è stata trasferita sui beni immobili che non sono coperti dallo scambio automatico.

Figura 1: Il successo dello scambio automatico di informazioni bancarie

Evoluzione del reddito offshore dei nuclei familiari a livello globale (espresso come percentuale del PIL mondiale) e del reddito offshore non tassato. 

Fonte: Rapporto sull’evasione fiscale internazionale 2024.

Rispetto alle società, invece, si registrano soprattutto insuccessi o successi solo parziali. I profitti spostati nei paradisi fiscali (fenomeno noto come profit shifting) nel 2022 ammontavano ancora a 1.000 miliardi di dollari, circa il 35% di tutti gli utili contabilizzati dalle multinazionali in paesi diversi da quelli in cui hanno sede, con perdite di gettito pari a quasi il 10% delle imposte societarie globali (Figura 2). Per il 40% si tratta di profitti delle multinazionali statunitensi, e i più colpiti sembrano essere i paesi dell’Europa continentale. 

Figura 2: Il livello di profit shifting delle multinazionali rimane alto

Evoluzione della perdita di gettito fiscale globale causata dal profit shifting, espressa come frazione del gettito fiscale societario raccolto a livello globale. 

Fonte: Rapporto sull’evasione fiscale internazionale 2024.

L’imposta minima globale effettiva al 15% risulta, peraltro, drasticamente indebolita da una serie di scappatoie. In particolare: 1) un carve-out per “sostanza economica” che consente di escludere l’8% degli asset e il 10% degli stipendi dalla base d’imposta nel paese in cui avviene la produzione; 2) l’esenzione dei profitti domestici delle multinazionali statunitensi per la mancata partecipazione degli Stati Uniti all’accordo del 2021; 3) il trattamento preferenziale dei crediti d’imposta rimborsabili. Il primo punto, in particolare, continua a incoraggiare una corsa al ribasso perché incentiva le multinazionali a spostare la produzione (la “sostanza economica”) in Paesi a bassissima tassazione e, di conseguenza, incoraggia i paradisi fiscali a mantenere le aliquote al di sotto del 15%.

Si stima che l’imposta minima raccolga solo il 4,8% del gettito fiscale globale proveniente dalle società; tale quota salirebbe al 9% in caso di assenza di scappatoie e al 16% con un’aliquota del 20%. Infine, tra gli insuccessi delle politiche, emergono nuove forme di concorrenza fiscale aggressiva (sussidi “verdi”, aiuti di stato, crediti d’imposta), incentivate dal moltiplicarsi dei sussidi in Cina e dall’Inflation Reduction Act negli Stati Uniti, che potrebbero più che compensare il maggior gettito derivante dall’imposta minima globale. 

Il Rapporto contiene anche diverse proposte per la tassazione dei circa 2.700 miliardari del mondo. Infatti, una ricerca dell’EU Tax Observatory,condotta in collaborazione con le amministrazioni fiscali nazionali, dimostra che i miliardari globali beneficiano di aliquote fiscali sul reddito individuale e sul patrimonio comprese tra lo 0% e lo 0,5% della loro ricchezza, significativamente inferiori a quelle del resto della popolazione anche se espresse in frazione del reddito (Figura 3). La ragione è che in molti paesi essi possono utilizzare holding e società di gestione del patrimonio personale per eludere o evadere l’imposta sul reddito. L’EU Tax Observatory stima che un’imposta minima globale del 2% sul patrimonio dei meno di 3.000 miliardari genererebbe un gettito di quasi 250 miliardi di dollari: un risultato dovuto alla forte concentrazione della ricchezza e alle attuali aliquote molto ridotte (Tabella 2). 

Figura 3: Il deficit fiscale dei miliardari

La figura riporta le stime delle aliquote fiscali effettive per gruppi di reddito ante imposte (tutti i tipi di imposte pagate a tutti i livelli statali espresse in percentuale del reddito ante imposte). Il reddito ante imposte comprende tutto il reddito nazionale misurato secondo le definizioni contabili standard a livello nazionale.

Fonte: Rapporto sull’evasione fiscale internazionale 2024.

Secondo il Rapporto, visti i risultati attesi nel quadro delle politiche correnti, c’è ancora molta strada da fare. Tra le proposte concrete per conciliare globalizzazione e giustizia sociale, ci sono la riforma dell’accordo internazionale sull’aliquota minima per le società al 25% senza scappatoie, l’introduzione di una nuova aliquota minima globale anche per i miliardari globali al 2% del loro patrimonio, l’istituzione di meccanismi di tassazione delle persone ad alto patrimonio che, dopo aver risieduto a lungo in un paese, scelgono di trasferirsi in un paradiso fiscale

Tabella 2: Potenziale di entrate provenienti da un’imposta minima del 2% sul reddito dei miliardari nel 2023 (in miliardi di dollari)

La tabella riporta le stime del gettito potenziale proveniente da un’aliquota di imposta minima sui miliardari globali, pari al 2% del loro reddito. L’imposta minima è calcolata come il 2% del loro reddito, meno l’ammontare delle imposte sulla persona (imposta sul reddito ed eventuale imposta patrimoniale) che già pagano. Le stime sul gettito devono essere considerate prudenti.

Fonte: Rapporto sull’evasione fiscale internazionale 2024.

Il messaggio principale è che l’evasione fiscale non è una legge di natura ma una scelta politica; anche se il first best rimane il coordinamento internazionale, si possono fare grandi progressi anche con azioni unilaterali. A questo proposito, dalla discussione del 13 Novembre è emerso che le scappatoie dall’aliquota minima effettiva del 15% non sono state un incidente di percorso, ma una conditio sine qua non imposta durante le contrattazioni multilaterali dai paradisi fiscali per l’accordo del 2021. Zucman ha sottolineato che ogni paese – specie se leader – può, in modo unilaterale, fare decisi passi avanti nella lotta all’evasione fiscale internazionale proponendosi come tax collector of last resort (“esattore di ultima istanza”). Se non c’è accordo affinché le imprese paghino sufficienti tasse dove producono, il paese che consuma i beni prodotti può reclamare le imposte per la differenza in modo da disincentivare i paesi in cui avviene la produzione a tenere basse le aliquote. Potrebbe essere un modo per innescare una corsa al rialzo e compensare i ribassi dei paradisi fiscali.

Alla presentazione del Rapporto si è anche cercato di calarne i contenuti nello specifico contesto italiano. Alessandro Santoro, presidente della Commissione per la redazione della Relazione sull’economia non osservata e l’evasione fiscale e contributiva, ha voluto ridimensionare la rilevanza per il nostro paese (che rientra, comunque, tra quelli che offrono regimi fiscali agevolati) dell’evasione fiscale delle imprese multinazionali e degli individui ad alto patrimonio (7 miliardi di imposte non versate) rispetto al fenomeno della high-intensity evasion di piccole e medie imprese e dei lavoratori autonomi (più di 31 miliardi di imposte non versate, escludendo l’IVA). Si tratta di una distinzione molto importante dal punto di vista politico se si considera il peso elettorale delle PMI e dei lavoratori autonomi. 

Anche per quanto riguarda le politiche (o l’assenza di politiche) per ridurre la high-intensity evasion, che è particolarmente spinosa per l’assenza di informazioni di terzi, si può tracciare un bilancio di successi e insuccessi sulla base della Relazione sull’economia non osservata e l’evasione fiscale e contributiva 2023. La fatturazione elettronica e l’invio di lettere per la compliance sembrano aver portato risultati molto ridotti rispetto alle attese, mentre i controlli continuano ad essere lo strumento più efficace che genera gettito sufficiente a coprirne l’ingente costo economico e sociale. Tra le novità, la legge delega sulla riforma fiscale contiene la proposta di concordato preventivo biennale sul quale le aspettative sono molto basse perché disegnato in modo da risultare non accessibile alle imprese meno virtuose, e non appetibile per quelle che possono accedere (si vedano Canè, Galmarini e Rizzo sul Menabò e Leonardi e Rizzo su lavoce.info per discussioni dettagliate).

Ha concluso l’evento una riflessione più generale di Salvatore Morelli sul legame tra la tassazione e la disuguaglianza, complesso e reciproco. Da un lato, la tassazione incide in modo meccanico sulla disuguaglianza tramite la redistribuzione e la fornitura di servizi pubblici finanziati dalla fiscalità generale. I dati, però, rivelano una progressiva erosione della progressività che è alla base del ruolo redistributivo della tassazione (Guzzardi et al. 2022, e Guzzardi et al. 2023). Più articolato è il possibile effetto della disuguaglianza sulla fiscalità. Un primo elemento è di natura informativa: se non si conoscono il livello e la natura delle disuguaglianze di reddito e di ricchezza, non è possibile valutare la necessità di maggiore o minore progressività fiscale. Ci sono poi una serie di caratteristiche della disuguaglianza che la rendono interpretabile come un’esternalità negativa, e quindi come un fallimento del mercato da correggere tramite l’intervento pubblico (Støstad e Cowell 2022). Essa produce infatti conseguenze sociali indesiderate come l’allocazione inefficiente delle risorse (se non ci sono uguali opportunità per tutti, è più difficile che emergano le capacità e i talenti di ognuno), l’appropriazione del potere politico ed economico (e delle rendite che ne derivano) da parte di pochi individui facoltosi, con conseguente pressione al ribasso delle aliquote marginali, e l’indebolimento della coesione sociale. Tutte questi elementi contribuiscono anche alla riduzione del gettito fiscale nazionale, innescando un circolo vizioso tra la riduzione della progressività e l’aumento della disuguaglianza.

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