ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 204/2023

2 Dicembre 2023

A chi serve un salario minimo legale? 

Emiliano Mandrone intervenendo nel dibattito sull’introduzione, nel nostro paese, di un salario minimo legale sostiene che sono numerosi i gruppi sociali che potrebbero trarne vantaggio. Ciò dipende anche dal fatto che il salario minimo legale va visto non come un’alternativa alla contrattazione ma come la fissazione di una soglia al di sotto della quale non può scendere la retribuzione del lavoro. In altri paesi, tra cui la Gran Bretagna e la Germania, sono consolidati sistemi di contrattazione collettiva a cui si affianca il salario minimo legale.

Il dibattito sul salario minimo legale propone aspri contrasti istituzionali (Cnel e la Corte di Cassazione) e inaspettate convergenze (tra i grandi capitalisti e i lavoratori poveri). È una questione tutt’altro che archiviata. Si propongono alcune evidenze tratte dal mio articolo “La retribuzione in Italia è proporzionale e sufficiente?”. Va precisato che il paper si basa sui dati dell’indagine campionaria Inapp Plus 2021 e, quindi, le stime possono discostarsi da quelle amministrative – il riferimento del dibattito sono i dati Inps Uniemens – tuttavia consentono una lettura più articolata del fenomeno essendoci molti controlli sociodemografici indisponibili nelle fonti amministrative.

Le retribuzioni lorde annue valgono in media 27.092€ all’anno, pari a circa 13€ all’ora (11,7 €/h per le donne). Il valore mediano è 24.110€ annui e 11,6 €/h (10,6 €/h per le donne) quindi ila soglia del lavoro povero (valutato solitamente in base a un valore pari al 60% della mediana) è 14.466€ all’anno e 7€/h. Tuttavia, la retribuzione lorda annua è una misura complessa, perché incorpora voci del costo del lavoro che non sono sempre conosciute dai lavoratori ed è esposta alla discontinuità lavorativa ovvero dipende anche da quanti mesi e ore si lavora nell’anno. Le retribuzioni lorde dei dipendenti comprendono la 13° mensilità e vengono ricostruite in base alle aliquote fiscali vigenti.

Invece, la retribuzione media netta mensile da lavoro dipendente full time è una voce più immediata poiché comunemente usata come benchmark retributivo tra impieghi, una sorta di quotazione di mercato del lavoro. Vale 1.614 € al mese e 10,1 €/h, la mediana vale 1.500€ al mese e 9,4€/h; quindi, è lavoro povero se la retribuzione è inferiore a 900€ al mese o 5,6€/h. La retribuzione oraria è il rapporto tra la retribuzione netta mensile e le ore lavorate al mese. Si sono selezionati solo i lavoratori a tempo pieno perché la dimensione campionaria dei part time non consentiva stime attendibili.

La prima parte della tabella 1 (in azzurro) mostra le soglie della retribuzione lorda oraria per tutta l’occupazione, compresi gli autonomi e i parasubordinati, spesso non considerati dalle analisi disponibili. La seconda (in grigio) si riferisce ai lavoratori dipendenti full time. 

Vediamo come si compongono le platee di tutti gli occupati a seconda delle soglie di retribuzione oraria. Il 18% dei lavoratori guadagna meno di 8 euro lordi all’ora. Il 6% tra 8 e 9 euro lordi l’ora. Dunque, il 24% degli occupati (circa 5 milioni) beneficerebbe di un salario minimo a 9 €/h. 

Se consideriamo solo i lavoratori dipendenti full time, il 13% ha una retribuzione oraria inferiore ai 7€ e il 10% ha un salario netto tra i 7 e gli 8 €/h. In questo caso i lavoratori subordinati a tempo pieno che potrebbero beneficiare di un salario minimo a 8 €/h netti sono il 23%, circa 3,3 milioni di persone, platea che cala a 1,8 milioni con la soglia a 7€/h netti. 

Emerge, guardando sia alle retribuzioni nette sia a quelle lorde, come siano particolarmente esposti a basse retribuzioni i giovani, le donne, le persone con bassi livelli scolastici, gli occupati atipici e in imprese sotto i 10 dipendenti, chi vive in famiglie povere, chi ha problemi a sostenere spese impreviste o ha posticipato cure mediche. 

Ovvero, ci sono sistematiche alte concentrazioni di basse retribuzioni in alcune sottopopolazioni. La presenza di più fattori di fragilità crea un effetto moltiplicativo che aumenta il disagio (D’Emilione, 2016), una trappola da cui è difficile liberarsi soprattutto per chi proviene dalle periferie esistenziali, sociali ed economiche della nostra società e che coinvolge in maniera marcata donne e giovani: difficile non associare questi numeri all’inverno demografico che ci attanaglia. 

Tutto ciò crea incertezza sul reddito permanente, fa procrastinare i tempi di emancipazione, porta a ridurre le possibilità procreative e ad alimentare forti disuguaglianze (Franzini e Raitano, 2023). 

Il National living wage (il salario minimo inglese) passerà da 10,42 sterline a 11,44 sterline (13,1€) all’ora, circa 2.000€ all’anno in più a 2,7 milioni di persone. Il Ministero del Tesoro nota come l’introduzione della misura nel 2010 abbia ridotto l’incidenza del lavoro povero in Gran Bretagna dal 21,3% al 8,9% di oggi, migliorato gli standard di vita dei beneficiari senza creare disoccupazione.

Dal 2021 l’inflazione ha mangiato più del 10% del potere d’acquisto delle retribuzioni. Non a caso, in Germania, il salario minimo è stato usato per salvaguardare il potere d’acquisto dei lavoratori più poveri: una sorta di scala mobile dedicata. La misura, indirettamente, ha prodotto un risparmio per il sistema sanitario poiché consente cure tempestive e una migliore alimentazione (Lebihan 2023).

Tabella 1: Platee lavoratori per soglie retributive: A) tutti gli occupati B) dipendenti tempo pieno 

Elaborazione dell’autore su dati Inapp Plus 2021 (*) compresi i finti autonomi (parasubordinati)

La Figura 1 mostra dove andrebbe ad agire un salario minimo lordo pari a 9 € , rispetto ai decili delle distribuzioni delle retribuzioni lorde orarie per gli occupati a tempo pieno. Il salario minimo riguarderebbe maggiormente i giovani, le donne e chi ha un livello basso di istruzione

Un salario minimo, pertanto, ridurrebbe il gender pay gap in quanto sono prevalentemente le donne ad avere retribuzioni basse e, contemporaneamente, sosterrebbe la partecipazione poiché aumenta la convenienza a lavorare: retribuzioni modeste fanno propendere l’analisi costi-benefici familiare (costi sostenuti rispetto a retribuzione ricevuta) a  non far lavorare il partner che guadagna meno.

Figura 1: Decili delle retribuzioni lorde orarie per occupati a tempo pieno, controlli, €/h

Elaborazione dell’autore su dati Inapp Plus 2021 

Le persone con retribuzioni più basse hanno propensioni al consumo maggiori: un aumento dei loro salari si tradurrà in maggiori consumi, facendo crescere gettito fiscale e domanda aggregata.

Il salario minimo innalzerebbe il plateau della contrattazione tra le parti sociali su livelli europei e favorirebbe la riconversione produttiva verso beni e servizi a maggior valore aggiunto.

Il salario minimo aiuterebbe i penultimi: i lavoratori privi del sostegno del sindacato, quelli esposti alle peggiori condizioni di lavoro o che lavorano in ambienti pericolosi. Purtroppo, non servirebbe agli ultimi: quelli che lavorano in nero, in ambienti permeati dalla criminalità, in cui le norme sono disattese e non c’è considerazione per la dignità umana. A loro servono i carabinieri. 

Che farà la società civile? Abbraccerà questa proposta, ne sosterrà i costi senza ipocrisie? Ancora una volta è chiamata a scegliere tra “burro o cannoni”, “pace o condizionatori accesi”, tra “giustizia sociale o prezzi bassi”, tra “equità o sfruttamento”. E, visti i precedenti, non c’è da stare sereni.

Emerge, pertanto, come il Legislatore non sia stato capace di coniugare la richiesta di flessibilità delle imprese con quella di stabilità dei lavoratori, ovvero da un lato di rettificare la domanda di lavoro rispetto al ciclo economico e dall’altro di allineare verso l’alto produttività e salari. 

Il salario minimo, pertanto, non è che il primo passo verso una generale inversione di tendenza, una più ampia azione di bonifica… è sempre più evidente la necessità di una moratoria complessiva sull’occupazione per riallinearla al set valoriale costituzionale. Va ripensata l’organizzazione del lavoro alla luce della transizione tecnologica, vanno riaffermati i diritti dei lavoratori – dalla sicurezza al rispetto dei termini contrattuali – e il lavoro nero dev’essere una opzione non più disponibile. 

Infatti, la bassa qualità dei contratti, i servizi di cura rari e cari, l’insicurezza lavorativa, gli orari antisociali, i bassi salari, il diffuso lavoro nero … concorrono a scoraggiare la partecipazione: in un certo senso si è assistito a una progressiva femminilizzazione del mercato del lavoro.

Quello che manca è un lavoro “proporzionale e sufficiente” a un progetto di vita: parafrasando la Cassazione, un lavoro costituzionale. A pensarci bene, il salario minimo serve a tutti.

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