ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 204/2023

2 Dicembre 2023

Prospettive dell’istruzione superiore in Italia: Università telematiche e tradizionali a confronto.

Flaviana Palmisano dopo aver documentato la forte espansione, nell’ultimo decennio, degli iscritti alle università telematiche sostiene che le università tradizionali, per affrontare nel modo migliore le sfide del futuro, dovrebbero orientarsi verso la smart education, sviluppando e implementando metodi di insegnamento digitale con elevati standard di qualità. Al contempo, andrebbero preservati i benefici della didattica in presenza derivanti soprattutto dai rapporti degli studenti tra loro e con i docenti.

Il confronto tra l’incremento esponenziale delle immatricolazioni presso le università telematiche e l’andamento pressoché costante delle immatricolazioni nelle università tradizionali sta alimentando un ampio dibattito sulle prospettive dell’istruzione universitaria in Italia (Checchi 2023Gavosto 2023Miccoli 2023). Come riporta il Rapporto sul Sistema della Formazione Superiore e della Ricerca per l’anno 2023 realizzato dall’Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca (ANVUR), dal 2010/11 al 2021/22 le immatricolazioni al primo anno di corso sono aumentate del 444% nelle telematiche e dell’11,49% nelle tradizionali; in maniera simile il numero degli iscritti complessivi nello stesso periodo è aumentato del 419% per le telematiche e dello 0,1% per le tradizionali. 

Sembra, dunque, essersi messo in moto un processo di convergenza nelle dimensioni tra università tradizionali e telematiche, le quali crescono molto anche in termini di offerta formativa: il numero di corsi di studio proposti è aumentato del 113% nelle telematiche e del 10,18% nelle tradizionali. 

A queste dinamiche, sintetizzate nella Tabella 1, si affianca quella che caratterizza la distribuzione per fascia d’età degli iscritti: la maggiore percentuale di iscritti alle telematiche resta concentrata nella fascia di età “31 anni e oltre” in opposizione alle tradizionali dove prevale la fascia “fino a 23 anni”, ma la tendenza è verso una maggiore uniformità, infatti la quota di “over-31enni” nelle telematiche è scesa di 20 punti percentuali in un decennio. Quindi, l’istruzione universitaria telematica resta popolare tra gli studenti più anziani, ma la loro età media si sta abbassando. Soprattutto, la scelta di iscriversi in un ateneo telematico resta popolare tra coloro che hanno abbandonato i programmi tradizionali: il 45,2% degli iscritti è rappresentato da studenti precedentemente iscritti ad una università tradizionale, una quota in aumento di 4,5 punti percentuali rispetto allo scorso decennio.

Tabella 1: Confronto tra Università Tradizionali e Telematica, variazione di alcuni indicatori dall’a.a. 2011/2012 all’a.a.2020/21. 

Fonte: Rapporto ANVUR 2023

La tentazione di interpretare questi dati come una minaccia per l’università tradizionale è forte, ma il rischio è di estremizzare il dibattito e renderlo sterile. Questi dati andrebbero invece interpretati come un segnale di evoluzione del sistema dell’istruzione; dunque, come un asset informativo di estrema rilevanza per comprendere le ragioni e le dimensioni del cambiamento nel sistema universitario e per fare in modo che le università tradizionali mantengano il passo con il progresso sociale, culturale e tecnologico, in cui sono immerse le nuove generazioni.

Per indirizzare meglio gli operatori però occorre una riflessione più approfondita sul significato dei dati sopra indicati. 

Non vi è dubbio che le università telematiche diano la possibilità di conseguire una laurea anche a coloro che altrimenti non l’avrebbero; si pensi ai lavoratori, a coloro che hanno vincoli legati al luogo di residenza o di salute – come ci ha recentemente insegnato la pandemia – o ancora a coloro che hanno vincoli economici e non potrebbero sostenere il costo di trasposto per raggiungere la sede dell’università o il costo di vivere nelle sue vicinanze, che nelle grandi città ha raggiunto negli ultimi anni livelli proibitivi. Sebbene le tasse universitarie per gli iscritti agli atenei pubblici siano molto più basse rispetto a quelle dei loro omologhi online, il costo di cibo, viaggi e alloggio nelle grandi città rappresenta un ostacolo per molti studenti.

Certamente occorrerà ancora qualche anno e maggiori dati per comprendere in quale misura l’esplosione delle immatricolazioni nelle università telematiche sia dovuta agli elevati costi della vita, alla pandemia o, invece, sia il frutto di mutate preferenze degli immatricolati. Ad esempio, inchieste recenti denunciano una crescente disaffezione nei confronti degli studi universitari (European Commission 2022Wall Street Journal-NORC Poll 2023). Tra i giovani studenti diventa sempre più diffusa l’idea che la laurea non serva per trovare un impiego (o un impiego soddisfacente). Pertanto, essi potrebbero decidere di optare per l’alternativa che quanto meno gli consenta un risparmio di tempo, e l’università telematica rispetto alla tradizionale è caratterizzata da una maggiore probabilità di conseguire il titolo di laurea di I livello entro i tre anni (si veda la Tabella 1). Infatti, una quota crescente di studenti online mira a una promozione nel settore pubblico, dove conta molto il titolo e non il prestigio dell’istituzione che la concede. In alcuni casi entra anche in gioco lo stigma sociale che ruota attorno agli atenei telematici, rispetto ai quali esiste la percezione di una minore severità negli esami. Occorre sottolineare, però, che ad oggi non ci sono dati adeguati a provare o confutare questa percezione. Infine, la crescita delle telematiche potrebbe rappresentare la naturale conseguenza dell’espansione della digitalizzazione tra i giovani che rende i potenziali studenti più preparati ad accettare e affrontare un percorso didattico completamente telematico.

L’istruzione universitaria online, tuttavia, comporta anche alcuni rischi. In assenza dell’interazione integrata e personale tra il docente e lo studente, gli studenti “telematici” devono fare affidamento su un’elevata capacità di auto-apprendimento. Gli studi scientifici che si occupano di valutare gli esiti di questo meccanismo – che non siano meramente finalizzati alla valutazione dell’adozione di corsi online per far fronte alle emergenze della pandemia – sono ancora poco diffusi e utilizzano principalmente dati statunitensi. Essi dimostrano che la presenza di corsi online aumenta la probabilità di accesso all’istruzione terziaria, ma si tratta di un accesso associato a maggiori rischi, quali ad esempio peggiori risultati accademici nel breve periodo e peggiori risultati economici nel lungo periodo rispetto a studenti con simili caratteristiche che optano per corsi tradizionali (Bettinger et al. 2017Figlio et al. 2013McPherson and Bacow 2015).

Quali insegnamenti trarre allora da questi andamenti? Come ribadito prima, va riconosciuto il lodevole tentativo delle università telematiche di raggiungere gli studenti più svantaggiati concedendo loro delle reali opportunità educative. Questo tentativo dovrebbe essere (ri)preso in considerazione anche dagli atenei tradizionali, così come accadeva solo due anni fa, quando si consentiva anche agli studenti che non potevano spostarsi per restrizioni legate al COVID, e dunque per motivi che andavano oltre la loro volontà, di poter seguire regolarmente le lezioni. Al contempo andrebbero sviluppati metodi di insegnamento online più efficaci per limitarne i rischi – soprattutto quelli associati all’inclusione predatoria – e per rendere la qualità dell’insegnamento nelle due università meglio comparabile. Queste azioni consentirebbero all’università tradizionale di svolgere a pieno il suo ruolo di ascensore sociale.

C’è però uno step propedeutico da compiere: incentivare e accelerare la digitalizzazione del sistema universitario. Gli atenei tradizionali dovrebbero intervenire sull’offerta di istruzione universitaria generando un vero e proprio shock tecnologico che modifichi la funzione di produzione dell’istruzione. Andrebbero incrementate le competenze digitali del corpo docente attraverso opportuni corsi di formazione. Si dovrebbe poi rafforzare l’infrastruttura digitale delle università (anche investendo di più nel personale tecnico) che risulta carente soprattutto negli atenei statali. Infine, si dovrebbero prevedere incentivi per i docenti affinché utilizzino strumenti digitali nei propri corsi. Va infatti ricordato che gli accademici ricevono stipendi fissi e l’attività didattica non è fondamentale per la valutazione in fase di progressione di carriera. 

Si tratta di promuovere la cultura della digitalizzazione nell’accademia nella quale – come già successo per l’implementazione del 3+2 – continua a prevalere uno spirito di autoconservazione. Il corso di laurea interamente online fornito dal Politecnico di Milano e accreditato CampusOne dalla CRUI potrebbe rappresentare una best practice, un punto di partenza per avviare il cambiamento. Bisogna però evitare che questo processo di digitalizzazione annulli i benefici che derivano dal rapporto “in presenza” tra gli studenti. A tal proposito, la letteratura scientifica dimostra che: (i) frequentare corsi in presenza con compagni dotati di elevata perseveranza aumenta la probabilità di ottenere voti più alti agli esami; (i) esiste complementarità tra qualità dell’insegnamento e perseveranza dei pari (Golsteyn et al. 2021).

Per prepararsi al futuro, quindi, l’università dovrà accogliere concretamente i principi della smart education che potrebbe rivelarsi un antidoto per combattere la crescente disaffezione dei giovani rispetto all’istruzione universitaria e consentire all’Italia di recuperare posizioni nella classifica dei paesi europei per percentuale di popolazione con titolo universitario. Infine, va notato che la digitalizzazione potrebbe generare esternalità positive che nel lungo periodo contribuirebbero a loro volta al progresso sociale della nazione. Recenti studi provano, infatti, che la digitalizzazione, oltre ad avere un impatto diretto nell’economia, svolge un ruolo mitigatore nel rapporto negativo tra disuguaglianze economiche e fiducia nelle istituzioni, soprattutto nelle fasce più svantaggiate della popolazione (Palmisano e Sacchi 2021). 

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