ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 193/2023

14 Maggio 2023

L’Assegno unico universale per figli: un primo bilancio e uno sguardo alle prospettive

Emmanuele Pavolini ricorda che cade, in queste settimane, il primo anniversario dell’Assegno Unico Universale (AUU) per figli e propone un primo bilancio di questo istituto. Pavolini illustra i risultati positivi conseguiti ma anche alcune criticità come il basso tasso di take up tra le fasce a reddito medio-alto, per il quale offre una spiegazione. Guardando al futuro Pavolini indica alcune direzioni di marcia e come procedere verso l’espansione dell’AUU senza generare effetti collaterali negativi.

In queste settimane l’Assegno Unico Universale per figli (AUU) ha compiuto il primo anno di vita. E’ una occasione sia per tracciare un primissimo bilancio del suo funzionamento e della sua implementazione sia per iniziare a riflettere, più in generale, sulla sua collocazione all’interno delle politiche di sostegno delle famiglie con figli. Tale riflessione appare quanto mai necessaria dato che (finalmente) negli ultimi anni si sono accesi i riflettori sulla crisi demografica del nostro paese e, più in generale, sulla difficoltà a formare famiglie in Italia.

AUU: l’implementazione. L’implementazione dell’AUU ha rappresentato una sfida non indifferente per il sistema italiano di welfare. La misura aveva molteplici obiettivi, il primo dei quali era razionalizzare un insieme frammentato di interventi categoriali e sostituirlo con una misura unica ed appunto universale, cioè offerta in base ad un principio di bisogno (subordinato solo in parte al reddito della famiglia, ma non legato ad altre condizioni, come ad esempio il tipo di occupazione – indipendente o alle dipendenze). L’obiettivo non era solo deframmentare, ma anche semplificare l’accesso e potenziare le misure di sostegno alle famiglie con figli.

Il passaggio normativo è stato complicato, ma la sua prima implementazione sarebbe potuta essere anche più complicata, e per due ordini di ragioni. Da un lato, c’era il problema di far confluire i beneficiari di molte “vecchie” misure sulla nuova in poco tempo. Dall’altro, come la letteratura scientifica internazionale sottolinea, spesso nel caso di misure di trasferimento monetario i tassi di “take up” (cioè la percentuale di beneficiari effettivi rispetto a quelli che teoricamente hanno diritto a quelle misure) tendono ad essere differenziati per caratteristiche dei potenziali beneficiari e ad essere più bassi per i gruppi socio-economicamente più svantaggiati.

Un recente convegno organizzato dall’INPS a cui si è già riferita Maria De Paola sul Menabòoffre un quadro incoraggiante rispetto ad entrambe le potenziali criticità appena indicate.

Primo, il sistema costa attualmente circa 16,5 miliardi di euro all’anno e copre circa 9,3 milioni di minori e quasi 6 milioni di famiglie. L’importo medio per famiglia è di 238 euro al mese. Il 52% dei nuclei beneficiari ha un figlio unico (per un importo medio mensile pari a 146 euro). Il 40% dei nuclei beneficiari ha due figli (per un importo medio mensile pari a 313 euro). Nel complesso, l’AUU è proporzionalmente tanto più generoso quanti più sono i figli presenti nel nucleo familiare.

Circa la metà (49%) delle famiglie beneficiarie ha un ISEE sotto i 16.215 euro, che è la cifra che permette di ottenere il massimo importo in termini di assegno base (rispetto a quest’ultimo, sono previste infatti anche maggiorazioni al ricorrere di varie condizioni quali, ad esempio, un elevato numero di figli, la presenza di figli disabili, etc.).

Secondo, dopo un anno il tasso di take up complessivo si attesta attorno all’88% (al 90% se si considerano solo i figli minorenni) ed è andato crescendo nel corso dei mesi. L’AUU è stato percepito come una misura particolarmente importante dalle famiglie con figli/e piccoli/e. Infatti, tale tasso raggiunge il 95% fra i bambini di meno di tre anni, mentre si attesta attorno all’87% fra i diciassettenni. 

Inoltre, il tasso di take up appare più alto per le famiglie a reddito medio-basso e basso e, a livello territoriale, nel Mezzogiorno. Nelle province in cui è maggiore l’incidenza di cittadini stranieri, il tasso di take up è più basso; si può, quindi, ipotizzare che le famiglie di immigrati incontrino maggiori difficoltà ad accedere alla misura.

Il basso take up tra gli immigrati e tra i percettori di redditi alti o medio-alti segnalano problemi che gettano un’ombra sui numerosi successi della misura. Ma come spiegare gli uni e gli altri? 

Una serie di scelte istituzionali (in sede di definizione della normativa sull’AUU) e operative (in sede di implementazione da parte dell’INPS) contribuisce a rispondere a questa domanda. 

Un primo elemento fondamentale è rappresentato dalla scelta istituzionale-operativa di erogare automaticamente l’importo dell’AUU a tutte le famiglie titolari di reddito di cittadinanza. Si è trattato di circa 357 mila nuclei familiari, che hanno ricevuto in media un’integrazione dell’assegno mensile per il Reddito di Cittadinanza (RdC) di circa 168 euro.

Mentre tutti gli altri nuclei familiari hanno dovuto attivarsi e fare domanda tramite il sito web dell’INPS, nel caso dei percettori del RdC ciò non è stato richiesto, con la conseguenza di mettere in carico all’INPS l’onere di collegare le due misure per renderle immediatamente erogabili. Proprio la possibilità per i più deboli di ricevere l’AUU senza dover presentare domande può dar conto del fatto che il loro tasso di take up non sia stato più basso. 

Occorre però distinguere tra i deboli di cittadinanza italiana e i deboli immigrati. Per questi ultimi il problema potrebbe, almeno parzialmente, esserci, e la causa potrebbe risiedere nei criteri di funzionamento e di accesso non all’AUU, ma al RdC. Come è noto (si vedano anche le conclusioni della Relazione del Comitato Scientifico sull’RdC – la cosiddetta “Commissione Saraceno”), uno dei principali limiti della normativa sul RdC nel contrastare la povertà (in generale e minorile in particolare) consiste proprio nel vincolo dei 10 anni di residenza in Italia per poter accedere alle prestazioni del RdC – che ha anche ridotto in misura non trascurabile il numero dei potenziali beneficiari fra gli stranieri.

È quindi plausibile pensare che i vincoli posti all’accesso degli immigrati al RdC abbiano avuto un effetto indiretto su loro tassi di take up dell’AAU.

L’altra questione critica riguarda il minore tasso di take up da parte dei percettori di redditi medio-alti ed alti, che configura un problema rovesciato, almeno in parte, rispetto ai timori iniziali sulla difficoltà di accesso delle fasce più deboli. Una possibile spiegazione è legata alla generosità della misura. Come ha sottolineato Arachi nell’intervento al convegno INPS già citato, l’importo dell’AUU è di circa 50 euro mensili per le famiglie con redditi medio-alti, quindi basso rispetto al costo sostenuto dalle famiglie per un figlio, che è stimato in circa 645 euro mensili per i nuclei non poveri, e in circa 193 euro per quelli poveri. Per le famiglie a basso reddito l’importo massimo (175 euro) sostanzialmente è in linea con il loro costo per figlio mentre, nel caso di famiglie più abbienti, è inferiore all’8% del costo medio mensile stimato.

AUU: dove andare in futuro? Malgrado i suoi numerosi successi (la creazione finalmente di uno strumento universale ed unico, l’alto tasso di take up soprattutto fra le fasce più a rischio, l’aumento della spesa che dovrebbe incrementare ulteriormente nei prossimi anni) l’AUU presenta ancora alcune criticità.

La prima è legata, come si è visto, all’accesso della popolazione immigrata, soprattutto di quella in maggiore difficoltà. Per superarla sarà necessario un attento lavoro soprattutto rispetto al funzionamento della nuova misura di sostegno del reddito introdotta dall’attuale governo in sostituzione del RdC.

La seconda criticità, legata al minore tasso di take up fra le fasce medio-ricche della popolazione, richiede molta riflessione. Sicuramente, dato il suo importo attuale, l’AUU incide poco sui costi sostenuti da queste famiglie per i propri figli. Tuttavia, la soluzione apparentemente più ovvia – cioè l’aumento (necessariamente massiccio se lo si vuole rendere efficace) delle risorse da destinare tramite l’AUU a queste famiglie – va valutata con cautela, alla luce anche del fatto che questa misura già assorbe oltre 16 miliardi e, in prospettiva, dovrebbe raggiungere i 18 miliardi (come previsto dalla Relazione tecnica alla Legge che ha istituito l’AUU). 

Premesso che l’Italia spende per ogni minorenne relativamente meno degli altri paesi del Centro-Nord Europa, e che quindi è assolutamente necessario aumentare il livello complessivo di spesa nelle politiche a favore delle famiglie con figli (come si è iniziato a fare con l’AUU), il vero tema è come impiegare un eventuale ed auspicabile incremento delle risorse a disposizione.

Gli studi comparati più rigorosi sull’effetto che le politiche familiari hanno su occupazione femminile e natalità ci dicono che, da un lato, è importante avere un robusto sistema di trasferimenti monetari alle famiglie (come l’AUU), dall’altro, occorre un mix integrato di interventi; non solo trasferimenti, ma anche servizi educativi – nidi –, congedi parentali e sostegno abitativo. Inoltre, questa letteratura afferma che, se i trasferimenti hanno effetti positivi, essi sono comunque moderati, mentre sono soprattutto una forte e diffusa dotazione di servizi all’infanzia, combinati con maggiori diritti in termini di congedo parentale, e un più facile accesso alla casa ad avere un effetto più robusto sull’occupazione dei genitori e la natalità (si veda l’interessante rassegna della letteratura sugli effetti delle politiche familiari sulla natalità di J. Bergsvik, A. Fauske e R.K. Hart,. “Can Policies Stall the Fertility Fall? A Systematic Review of the (Quasi-) Experimental Literature”, Population and Development Review, 2021).

In conclusione, gli effetti positivi (sperati) da un espansione ulteriore della spesa in trasferimenti monetari (AAU) vanno ponderati rispetto al rischio di “spiazzamento” della spesa pubblica in servizi educativi alla prima infanzia, congedi parentali ed altri interventi strutturali (come quelli che favoriscono l’accesso all’abitazione). Se l’aumento del’AUU comportasse, come in un gioco a somma zero, il congelamento di aumenti di spesa, quanto mai necessari, nel campo dei servizi, dei congedi e del sostegno abitativo , da un lato, potrebbero non aversi gli effetti positivi sperati su natalità e occupazione femminile e, dall’altro, si perderebbe un’altra occasione per dotarsi di un sistema di servizi alla prima infanzia più adeguato ed in linea con quelli prevalenti in gran parte dell’Europa occidentale (rischio, questo, quanto mai attuale date le difficoltà del Piano Nidi all’interno del PNRR).

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