ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 205/2023

18 Dicembre 2023

Edoardo Di Porto, Paolo Naticchioni,

 Crisi energetica, inflazione e occupazione*

Edoardo Di Porto e Paolo Naticchioni affrontano, utilizzando dati INPS, la questione dell’influenza che il forte aumento dei costi dell’energia e più in generale dei prezzi, ha avuto sulla dinamica dei posti di lavoro, ricordando che è difficile determinarla ex ante. La loro conclusione è che l’effetto è stato modesto anche sulle imprese energivore e gasivore. Queste evidenze confermano che i dati amministrativi possano aiutare a fare chiarezza su fenomeni complessi che riguardano il mercato del lavoro.

Nella UE l’inflazione core è rimasta su livelli non preoccupanti per tutto il 2021, anche a fronte di una crescita considerevole dei prezzi dei prodotti energetici (C. Altomare e F. Giavazzi, “Designing fiscal policy at time of accelerating prices”, Voxeu.org, 28 Aprile 2023). L’invasione russa dell’Ucraina ha profondamente mutato questo scenario e l’inflazione alla fine del 2022 ha raggiunto il suo massimo negli ultimi 30 anni, superando gli 8 punti percentuali (per poi scendere al 3,6 a ottobre 2023). Analizzare, attraverso i dati amministrativi, quali sono gli effetti di tali aumenti sull’occupazione è domanda interessante poiché ex ante i risultati possibili sono ambigui. Infatti, anche se i prezzi sono molto aumentati, l’energia è un input di produzione che non occupa un ruolo primario nella struttura dei costi in tutti i settori ed è perciò possibile che gli effetti sull’occupazione siano settorialmente molto concentrati. A tale fine nell’ultimo rapporto annuale INPS 2023, si descrivono gli andamenti dei flussi di lavoratori tra il 2018 ed il 2022 sia per l’economia nel suo complesso che per alcuni settori caratterizzati da consumi di energia molto alti. Tali indicatori sono calcolati seguendo la letteratura empirica sul tema (si veda S.J. Davis e J. Haltiwanger, “Gross job creation, gross job destruction, and employment reallocation”, The Quarterly Journal of Economics, 1992 per i dettagli) come in alcuni lavori precedenti (qui e qui).

Come mostrato in Figura 1.A a partire dal secondo trimestre del 2021 e rispetto allo stesso trimestre del 2020, la quantità di posti di lavoro creati dalle nuove imprese e da quelle che si espandono, ha avuto un andamento crescente, con una battuta d’arresto nella seconda parte del 2022. Nel primo trimestre 2022 (e rispetto allo stesso trimestre 2021) la creazione di posti di lavoro ha superato il 15%, il valore più alto osservato a partire dal 2018. L’indicatore mostra una flessione relativa negli ultimi trimestri del 2022 (14% e 13,2%) rimanendo comunque ampiamente al di sopra dei livelli del 2020 e in linea con quelli osservati nel 2021.

Allo stesso tempo, l’indicatore di distruzione di posti di lavoro (la quantità di posti di lavoro che vengono distrutti dalle imprese che riducono l’occupazione anche quando interrompono l’attività), risulta in calo portandosi su livelli più bassi rispetto al 2018 (8% nel primo trimestre 2022 rispetto al primo trimestre del 2021), pur ritornando lievemente a crescere nella seconda parte del 2022 (9%). Alla fine del 2022 la combinazione di una minore crescita di posti di lavoro e il lieve incremento nella distruzione porta il cambio netto (i.e. dato dalla creazione di posti di lavoro meno la distruzione di posti di lavoro) al 4%, in linea con i valori antecedenti alla pandemia. L’economia continua quindi a creare posti di lavoro, anche se in misura più contenuta rispetto alla prima metà del 2022, conservando un cambio netto positivo, ciò indica che la crisi inflattiva ha avuto conseguenze modeste sulla domanda di lavoro complessiva. Un’ulteriore conferma di queste evidenze si trova nella Figura 1.B, in cui si mostrano gli stessi indicatori per le cosiddette imprese energivore e quelle gasivore. Si tratta di circa 4400 imprese (3700 energivore e circa 700 gasivore). Per queste aziende ad altissimo consumo energetico gli indicatori di flusso sono pressoché stabili lungo tutto il 2022 (nel secondo trimestre 2022 rispettivamente 4,8% e 2,5%).

Figura 1-Creazione-Distruzione e cambio netto di lavoro (sx) Totale Economia

(dx) Imprese Energivore e Gasivore

    A)                                         B)

La Figura 2 mostra, per il totale delle imprese, l’andamento del numero di ore di CIG ordinaria (CIGO) scorporando nel pannello B le ore dovute alla sola causale specificamente prevista per le imprese colpite dalle restrizioni commerciali imposte alla Russia o dalle difficoltà di reperimento di fonti energetiche (da ora in poi causale 25). Per quanto riguarda la CIGO, dopo il picco registrato nei primi mesi della pandemia (con oltre 250 milioni di ore di cassa), nel 2022 il numero medio mensile di ore è stato di 4 milioni. Il numero di ore concesse attraverso la causale 25 ha cominciato a crescere già a partire dalla seconda metà del 2021, coerentemente con l’aumento dei prezzi energetici, raggiungendo un massimo di 1,3 milioni, un utilizzo molto più limitato rispetto alla CIGO nel suo complesso che, nello stesso periodo, ha comunque mostrato una bassa operatività.

Figura 2-Andamento ore complessive di CIGO: (sx in alto) totale escludendo causale 25; (dx in alto) causale 25 Andamento ore di CIGO Imprese Energivore e Gasivore: (sx in basso) totale escludendo causale 25; (dx in basso) causale 25

    A)                                         B)

                          C)                                         D)

La fruizione di CIGO causale 25 tende a scemare nel 2022, suggerendo che le aspettative sulla crescita dei prezzi per le imprese colpite dalla crisi vengono verosimilmente aggiornate. Il 2022 sembra dunque un anno nella norma per la fruizione della CIGO (circa 12 milioni di ore nell’ultimo trimestre, un decimo circa di quelle utilizzate nell’ultimo trimestre 2020).

 Le Figure 2.C e 2.D mostrano gli stessi andamenti per le sole imprese energivore e gasivore, se ne evince un quadro simile a quello presentato in precedenza. La fruizione della causale 25 può aver contribuito alla esigua variabilità dei flussi del 2022 per questo tipo di aziende (Figura 1.B). Interessante notare, come il picco nella fruizione della causale 25 arrivi qualche mese in ritardo per le imprese energivore e gasivore rispetto al totale dell’economia. Ciò può essere spiegato dal fatto che queste sono aziende di grandi dimensioni e pertanto hanno verosimilmente una migliore capacità di assorbire shock nei prezzi degli input di produzione.

La visione che si ricava da queste evidenze descrittive è che l’aumento del costo dell’energia, e più in generale dei prezzi, abbia influenzato la dinamica dei posti di lavoro in maniera modesta.

Come già anticipato questi risultati non sono del tutto inattesi. A beneficio di una migliore comprensione degli stessi è bene inoltre sottolineare che i prezzi dell’energia sono solo parzialmente legati ad un aumento dei costi di produzione. Ad esempio, le bollette pagate per la fornitura dell’energia hanno spesso prezzi concordati che tendono a restare costanti fino al rinnovo dei contratti. Inoltre, il prezzo di un input produttivo come l’elettricità può modificare la quantità domandata degli altri input (ad es. il lavoro) solo se vi è un alto grado di sostituibilità (o complementarità) tra i fattori e questa relazione varia in maniera molto eterogenea tra i diversi settori dell’economia. Il grado di sostituibilità può essere, inoltre, limitato dai costi di licenziamento, che impediscono un rapido aggiustamento del fattore lavoro in risposta agli shock, soprattutto quando questi sono percepiti come temporanei. Le misure di sostegno alle imprese erogate nel periodo post pandemico potrebbero spiegare in parte la tenuta della creazione dei posti di lavoro.


* Questo articolo è pubblicato in contemporanea sul sito www.lavoce.info

** Le opinioni espresse e le conclusioni sono attribuibili esclusivamente agli autori e non impegnano in alcun modo la responsabilità dell’Istituto di appartenenza.

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