ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 205/2023

18 Dicembre 2023

Evasione (ed elusione) fiscale internazionale: dimensione del fenomeno e misure di contrasto

Mikhail Maslennikov presenta le principali evidenze empiriche contenute nel Global Tax Evasion Report pubblicato a fine ottobre dall’Osservatorio Fiscale Europeo diretto da Gabriel Zucman. Maslennikov illustra quella che considera una fotografia in chiaroscuro dell’azione di contrasto ai fenomeni di abuso fiscale in ambito internazionale nell’ultimo decennio e commenta le soluzioni avanzate nel Rapporto allo scopo di riconciliare la globalizzazione con una maggiore giustizia fiscale.

Lo scorso 13 novembre è stata presentata a Roma la prima edizione del Global Tax Evasion Report pubblicato dall’Osservatorio Fiscale Europeo, di cui ha già dato conto su questa rivista Francesca Subioli. Questa nota si pone l’obiettivo di offrire ulteriori valutazioni su quanto è emerso dal rapporto e dalla discussione che ne ha accompagnato la presentazione. 

Come ha illustrato Subioli, il rapporto presenta stime aggiornate sulla dimensione e sulle recenti tendenze dell’evasione fiscale degli individui e dell’elusione fiscale societaria in ambito internazionale. Investiga altresì l’efficacia di alcune tra le più significative riforme internazionali dell’ultimo decennio nel contrastare tali fenomeni di abuso. 

D’accordo con Gabriel Zucman, responsabile della pubblicazione, si possono riassumere le principali evidenze empiriche del rapporto rievocando il famoso film di Sergio Leone, “Il buono, il brutto, il cattivo”. Un riferimento cinematografico volto, rispettivamente, a celebrare con riserva la fine del segreto bancario internazionale, a criticare alcune scelte nel disegno dell’imposta minima globale per le grandi multinazionali e a riaccendere il riflettore su una questione – il livello esiguo del prelievo a carico di individui più facoltosi in rapporto alla loro capacità contributiva – che stenta ad ottenere la dovuta attenzione da parte dei policymaker. 

Esaminiamo le tre macro-questioni in maggior dettaglio. 

La ricchezza finanziaria offshore e l’evasione fiscale internazionale delle persone fisiche
. Stimare l’ammontare della ricchezza finanziaria individuale detenuta offshore e districarsi tra i motivi, alcuni più che legittimi, che portano le persone a detenere asset fuori dal Paese della propria residenza fiscale, è stato a lungo considerato un esercizio arduo. A partire dai primi anni 2010 la disponibilità di nuove informazioni statistiche – come quelle pubblicate dalla banca centrale svizzera o le statistiche bancarie su base locale diffuse dalla Banca dei Regolamenti Internazionali – e una nuova metodologia di stima (cfr. G. Zucman (2015), The Hidden Wealth of Nations: The Scourge of Tax Havens, University of Chicago Press), incardinata sull’analisi delle anomalie tra attività e passività in essere che le banche con operatività internazionale contabilizzano nei confronti di controparti residenti in più di 200 paesi, hanno permesso di fare progressi nella quantificazione dello stock della ricchezza finanziaria offshore

Secondo l’analisi del Global Tax Evasion Report tale ammontare si è attestato a 12.000 miliardi di dollari – l’equivalente del 12% del PIL mondiale – a fine 2022, mostrando un’evoluzione negli ultimi 20 anni in linea con quella del PIL globale e fluttuazioni su base annua che riflettono l’andamento dei mercati finanziari. 

Quale sia la frazione di ricchezza finanziaria offshore che oggi sfugge a obblighi di tassazione rappresenta un’altra domanda cui i ricercatori dell’Osservatorio hanno cercato di dare risposta nel rapporto. Per lungo tempo gran parte degli asset finanziari detenuti offshore è rimasta ignota alle autorità fiscali dei paesi di residenza dei loro titolari. L’implementazione, a partire dal 2016-17, dello scambio automatico di informazioni bancarie tra Paesi (Common Reporting Standard o CRS) ha però permesso di ridurre drasticamente il grado di opacità sui rapporti finanziari transfrontalieri. Un’analisi pionieristica sui micro dati CRS trasmessi all’Agenzia delle Entrate danese dalle autorità fiscali di altri Paesi e il loro matching con dati fiscali di fonte amministrativa, ha permesso all’Osservatorio di rilevare come circa il 30% della ricchezza finanziaria offshore dei residenti danesi non fosse oggetto di comunicazione da parte delle istituzioni finanziarie straniere nell’ambito del CRS.

Generalizzando prudenzialmente il finding al mondo intero ed assumendo, sulla base di stime pregresse, che circa il 90% della ricchezza non dichiarata sfugga ad obblighi fiscali (imposte di tipo patrimoniale o sui redditi da capitale o su redditi diversi di natura finanziaria), l’Osservatorio propone una stima prudenziale – circa il 27% – dello stock aggregato di ricchezza offshore non assoggettata oggi a tassazione. 

La riduzione di circa 2/3 rispetto all’epoca pre-CRS dell’ammontare della ricchezza finanziaria offshore che sfugge al prelievo fiscale è un successo da celebrare come sono da apprezzare gli sforzi di cooperazione fiscale internazionale, riconducibili all’introduzione di uno standard a lungo ritenuto utopistico, come il CRS, che ha svolto il ruolo di vero e proprio gamechanger. Allo stesso tempo non si possono disconoscere alcune limitazioni del CRS che necessiterebbero di essere prese in seria considerazione da parte dei governi per rendere l’istituto più robusto come, inter alia, l’attuale esclusione dall’obbligo di reporting di rapporti finanziari stipulati con istituzioni finanziarie comunicanti attraverso società bancarie di comodo (shell banks), la scappatoie per i non residenti con doppia cittadinanza, l’inadeguatezza in molti Paesi delle sanzioni per la mancata comunicazione di informazioni da parte delle istituzioni finanziarie obbligate e la mancata applicazione del CRS ai beni immobili dei non residenti. 
 
L’elusione fiscale societaria e le critiche al disegno della global minimum taxFacendo leva sulle statistiche relative alle attività delle affiliate estere e sulle informazioni contenute nei country-by-country reports dei grandi colossi multinazionali il rapporto quantifica in 1.000 miliardi di dollari l’ammontare dei profitti societari trasferiti nel 2022 dalle giurisdizioni a medio-alta tassazione d’impresa verso i paradisi fiscali societari. Si tratta di una cifra equivalente a circa il 35% di tutti gli utili realizzati dai gruppi multinazionali fuori dal paese di residenza delle relative società capogruppo cui è associata una perdita erariale, su scala globale, pari al 10% del gettito complessivo delle imposte sul reddito delle società. 

Pur in assenza di simulazioni controfattuali, l’Osservatorio stima come marginale l’attenuazione del fenomeno BEPS (trasferimento degli utili ed erosione delle basi imponibili) nel periodo successivo all’implementazione delle Azioni del progetto BEPS dell’OCSE o dell’entrata in vigore del Tax Jobs and Cuts Act negli Stati Uniti. 

Il rapporto si focalizza quindi sui prospettati impatti dell’introduzione della global minimux tax (GMT) per le grandi multinazionali – una delle due direttici del processo di riforma della fiscalità internazionale d’impresa, condotto sotto l’egida dell’OCSE ed avallato nel 2021 da oltre 140 Paesi. 

L’idea che sottende la GMT – ovvero l’assoggettamento a un livello di tassazione minima effettiva degli utili dei grandi gruppi multinazionali in ciascun Paese in cui operano – è senz’altro apprezzabile. A destare preoccupazione sono tuttavia la sua effettiva capacità di porre un freno all’agguerrita concorrenza tra i Paesi in materia di fisco societario nonché le ridotte ambizioni sotto il profilo del potenziale gettito addizionale che sarebbe in grado di generare. 

I principali rilievi critici riguardano il modesto livello dell’aliquota (15%), le deduzioni dalla base imponibile della GMT – il 5%, a regime, del valore contabile delle immobilizzazioni materiali e del costo del personale – e il trattamento dei crediti d’imposta ai fini del calcolo dell’aliquota fiscale effettiva (AFE) versata dalle società di un gruppo multinazionale su base giurisdizionale data dal rapporto tra le imposte rilevanti rettificate e il profitto contabile rettificato. Appaiono, invece, eccessive le preoccupazioni espresse nel rapporto sulla temporanea (fino al 2026) esclusione dalla tassazione minima suppletiva di gruppi con società capo-gruppo localizzate in Paesi con un’aliquota statutaria dell’imposta sul reddito delle società di almeno il 20%, come gli Stati Uniti. La tassazione minima suppletiva è un meccanismo di backstop che si attiva nei casi in cui un Paese non introduca un’imposta minima domestica o decida di non assoggettare ad imposta minima integrativa le società estere sotto-tassate delle grandi multinazionali residenti. 
 
Particolarmente rilevante, nel disegno della GMT, è il trattamento dei crediti d’imposta. La prevista distinzione categoriale dei crediti d’imposta tra i c.d. crediti qualificati rimborsabili (assimilabili a trasferimenti di contributi dallo Stato al contribuente ovvero liquidi, liberamente spendibili o incondizionatamente rimborsabili) e quelli non rimborsabili (i.e. i benefici fiscali non cash equivalent) ha alla base una motivazione condivisibile: assicurare un trattamento fiscalmente neutro alle diverse fattispecie agevolative per le imprese. Tuttavia, l’effetto dei primi (che aumentano il profitto contabile al denominatore della formula) sulla riduzione dell’AFE è meno marcato di quello dei secondi (che riducono il numeratore della formula). Ciò potrebbe portare molti Paesi – costretti comunque a un ripensamento complessivo degli incentivi fiscali alle imprese che rischiano, nel caso dei gruppi soggetti alla GMT, di perdere la propria funzione – a competere sulle agevolazioni e a ridisegnarle come crediti d’imposta che riducono meno l’AFE giurisdizionale. Si tratta di una prospettiva realistica – simili intendimenti sono all’ordine del giorno in Irlanda, Svizzera, Paesi Bassi e alle Bermuda – e deplorabile, pur riconoscendo che andrebbe prestata attenzione alle esternalità positive associate a taluni incentivi fiscali come quelli per la transizione verde.

Rimandando ad analisi future valutazioni su questi trade-off – alcune delle quali sono state proposte dal rappresentante della Banca d’Italia al convegno – si ricorda che l’Osservatorio stima che le deduzioni per lo svolgimento di attività economica sostanziale (con la penalizzazione implicita delle attività digitali) e la categorizzazione dei crediti d’imposta sopramenzionata – considerate assieme alla sopracitata sospensione provvisoria del meccanismo di backstop – riducano di quasi la metà il potenziale gettito globale addizionale della GMT nel primo anno di applicazione dell’imposta.

Tax the rich. Un accordo come quello raggiunto dai governi sull’imposizione minima delle grandi multinazionali, appare necessario per fare avanzamenti in materia di tassazione patrimoniale. L’auspicio espresso da tempo da molte organizzazioni impegnate sul fronte della giustizia fiscale è stato “accolto” nella parte conclusiva del rapporto e si è concretizzato nella proposta di un’imposta minima del 2% sul valore dei patrimoni dei miliardari globali (appena 3000 individui) in grado di generare entrate per 250 miliardi di dollari l’anno. Particolarmente importante qui è il parallelismo con la filosofia della GMT, in particolare, la previsione di un “riscossore di ultima istanza” per un simile tributo. Altrettanto rilevante è l’attenzione rivolta ai meccanismi in grado di garantire l’effettività dell’imposizione attraverso la previsione del proseguimento di tassazione, per un certo numero di anni, dei soggetti passivi, residenti di lungo corso in un Paese, che optassero per un ‘espatrio fiscale’ in seguito all’introduzione unilaterale da parte di un Paese (in assenza dell’auspicato accordo globale) di un’imposta minima sulle grandi fortune. 

In conclusione, il rapporto offre un’importante opportunità per valutare gli avanzamenti (in chiaroscuro) della comunità internazionale nel contrasto agli abusi fiscali transnazionali e di formulare proposte meritevoli di attenzione per rafforzare la lotta ai fenomeni evasivi ed elusivi e per aumentare il contributo fiscale di chi – individui più facoltosi e imprese più floride – ha avuto negli ultimi decenni ampie opportunità per ridurre il proprio carico fiscale. Con l’obiettivo conclamato di rafforzare la sostenibilità dei sistemi impositivi e riconciliare la globalizzazione con una maggiore giustizia fiscale. 

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