ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 205/2023

18 Dicembre 2023

Paolo Carnazza, Attilio Pasetto,

Il Censimento sulle imprese 2023: luci e ombre del sistema produttivo italiano

Paolo Carnazza e Attilio Pasetto analizzano i primi risultati del Censimento 2023 sulle imprese con 3 e più addetti presentati recentemente dall’Istat, che permettono di valutare la struttura dell’industria e dei servizi del nostro Paese. I dati, aggiornati al 2021-2022, sono confrontabili con le precedenti rilevazioni, in particolare con quella del 2018. Emergono luci e ombre del nostro sistema produttivo, la cui evoluzione verso modelli più consoni a un Paese avanzato sembra procedere a piccoli passi e con qualche contraddizione.

Recentemente l’Istat ha presentato i primi risultati del Censimento 2023 sulle imprese con 3 e più addetti, che permette di valutare la struttura dell’industria e dei servizi del nostro Paese. I dati sono aggiornati al 2021-2022 e sono confrontabili con le precedenti rilevazioni, in particolare con quella del 2018, permettendo così di valutare dal punto di vista strutturale l’impatto del Covid sulle imprese italiane. Ne emerge un quadro in chiaro-scuro del nostro sistema produttivo, la cui evoluzione verso modelli più consoni a un Paese avanzato procede a piccoli passi e con qualche contraddizione.

Tra il 2018 e il 2021 le imprese italiane diminuiscono dell’1,2% (-12mila), mentre aumentano sia gli addetti (+3,8% pari a 480mila unità) sia il valore aggiunto (+11,6%). Rispetto al 2011 il numero delle imprese cala del 2,5% mentre l’occupazione aumenta del 5,1%. Al 2021 si contano oltre un milione di imprese con almeno 3 addetti, che impiegano quasi 13,2 milioni di persone.

Il sistema italiano mostra nel tempo una lenta tendenza alla diminuzione del peso delle imprese più piccole e all’aumento di quello delle unità di media e soprattutto grande dimensione, avvicinandosi in questo ai modelli dei Paesi più avanzati, dai quali rimaniamo comunque distanti se pensiamo che la dimensione media delle nostre imprese è circa un terzo di quelle tedesche. Nel 2011 le microimprese (3-9 addetti) pesavano per il 79,9% come numero e per il 30,5% come occupazione; nel 2021 il loro peso scende rispettivamente al 78,9% e al 28,1%. 

Le piccole imprese (10-49 addetti) registrano tra il 2011 e il 2021 un leggero aumento (3mila unità), ma diminuisce il loro peso occupazionale, che scende dal 26,4% al 25,7%. 

Per contro aumenta, modestamente, il peso occupazionale delle medie imprese (50-249 addetti) dal 16% del 2011 al 16,9% del 2021, e, più nettamente, quello delle grandi imprese (250 e più addetti), che passa dal 27% del 2011 al 29,3% del 2021. In particolar modo, le imprese con 500 e più addetti nel 2021 arrivano ad impiegare il 23,2% degli occupati con un aumento di 5,9 punti percentuali in più rispetto al 2018. 

Sotto il profilo settoriale, negli anni 2018-2021, s’interrompe la tendenza storica dei servizi a crescere a scapito dell’industria. Infatti, nel 2021 il peso dell’industria sale al 36,6% (+6 punti percentuali rispetto al 2018), mentre quello dei servizi scende al 63,4% (dal 64% di tre anni prima). E’ evidente che questo apparente cambio di direzione è dovuto alla pandemia, che ha colpito duramente soprattutto certi settori dei servizi, come le attività artistiche, di intrattenimento e divertimento nonché il turismo e i servizi di alloggio e ristorazione. I dati relativi al 2022, che è stato un anno di crescita, saranno probabilmente diversi.

Un’altra evidenza importante, attribuibile ai bonus edilizi concessi dal Governo per contrastare gli effetti del Covid, riguarda le costruzioni la cui quota sull’occupazione è cresciuta dal 6,8% del 2018 al 7,8% del 2021. 

Per contro continua la lenta diminuzione dell’industria manifatturiera che, in termini di addetti, passa nel triennio dal 26,9% al 26,5%. All’interno dell’industria il quadro non è però omogeneo. L’occupazione cade in misura rilevante (ra il 4 e il 7,6%,) nei settori del Made in Italy (tessile-abbigliamento, mobili, legno), mentre aumenta nella fabbricazione di prodotti in metallo (+13,9%), e in altri comparti legati alla produzione di macchinari. Anche in questo caso si tratta di lente trasformazioni, che avvicinano l’Italia agli altri Paesi avanzati. Il problema è però che i punti di forza del Made in Italy vengono progressivamente erosi dalle nazioni emergenti.

Dal punto di vista della struttura proprietaria, domina ancora il Modello di capitalismo familiare. Quasi l’81% delle imprese nel 2022 è controllato da persone fisiche o famiglie contro il 75,2% del 2018, e la percentuale è maggiore nelle imprese più piccole nonché nei settori del Made in Italy, delle costruzioni, del commercio e degli alloggi e ristorazione. Anche la gestione dell’impresa è nella maggior parte dei casi affidata all’imprenditore stesso o a un membro della famiglia proprietaria. Soltanto l’1,4% delle imprese si affida a una gestione manageriale. 

La difesa della posizione competitiva rimane di gran lunga il principale obiettivo strategico delle imprese (88,3%). Seguono: l’ampliamento dell’attività in Italia (66,3%) o della gamma di prodotti e servizi offerti (65,5%), gli investimenti in nuove tecnologie (52%) e l’aumento delle attività estere (22%). 

La difesa della competitività poggia in primo luogo sulla qualità del prodotto o del servizio (73,4% delle unità con almeno 10 addetti), seguita dalla professionalità e competenza del personale (47,6%), mentre la concorrenza di prezzo viene soltanto al terzo posto, segnalata soprattutto dalle piccole imprese (33,4%). Tra gli ostacoli alla competitività le imprese continuano a segnalare ai primi posti gli oneri amministrativi e burocratici e la carenza di risorse finanziarie, ma con percentuali in calo rispetto al 2018. Cresce invece la difficoltà a trovare personale, specialmente se qualificato.

Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, nel biennio 2021-2022 il 51% delle imprese ha acquisito risorse umane. La percentuale aumenta al crescere della dimensione, passando dal 45% delle microimprese al 90% delle grandi. Il settore con la quota più alta di imprese che hanno assunto (62,6%) è quello delle costruzioni. 

Tra i fattori che hanno ostacolato l’acquisizione di nuovo personale, le imprese di minore dimensione lamentano principalmente gli elevati oneri fiscali e contributivi nonché l’incertezza sulla sostenibilità futura dei costi del personale, quelle di dimensione media e soprattutto grande, la difficoltà a reperire personale con adeguate competenze tecniche. 

Un dato rilevante è la diminuzione della quota di imprese che hanno relazioni produttive stabili con altre aziende o istituzioni: dal 52% del 2018 al 40% del 2022. Le costruzioni (71%) e l’industria (60%) presentano percentuali molto più alte rispetto ai servizi (33%). Il Covid ha probabilmente influito su queste tendenze, con effetti di trascinamento anche negli anni immediatamente successivi. 

Interessanti indicazioni offre l’analisi delle varie attività di innovazione realizzate dalle imprese nel biennio 2021-2022 (Tabella 1). Elevata rimane ancora la quota percentuale di imprese che ha dichiarato di non avere svolto alcuna attività innovativa (62,4%) ed è modesta la percentuale di imprese che hanno acquisito macchinari e attrezzature innovativi (14,6%) o che hanno investito in formazione sulle innovazioni adottate (11,1%) e dichiarato di avere svolto attività di ricerca al proprio interno (8,6%). A livello settoriale, sono migliori le performance delle imprese operanti nell’industria in senso stretto, mentre permangono i “noti” divari strutturali sia a livello dimensionale che territoriale. 

Tabella 1: Attività innovative svolte dalle imprese nel biennio 2021-2022 (valori percentuali)

 

Fonte: Istat, Censimento permanente sulle imprese, 2023

Il quadro diventa ancora più sfavorevole confrontando questi risultati con quelli del 2018; in particolar modo, diminuisce del 2% la quota di imprese che hanno svolto almeno un’attività innovativa. Tranne il marketing per nuovi beni o servizi (+9%), tutte le altre attività innovative subiscono una flessione, in particolare la progettazione tecnica e il design (-23,5%) e l’acquisto sia di hardware (-23%) che di software (-19%), seguiti dall’acquisizione di licenze e brevetti (-12,5%). Più contenuta la diminuzione delle attività innovative rappresentate dalla formazione per l’innovazione (-6%) e dall’acquisizione di macchinari (-3%). La pandemia ha sicuramente influito sulla riduzione dell’attività innovativa, ma fino a che punto?

Queste evidenze sono, almeno parzialmente, controbilanciate dalla prosecuzione dei processi di trasformazione digitale ed automazione. L’utilizzo di soluzioni cloud, ovvero in remoto, passa dal 18% del 2018 al 40,8% nel 2022 per le imprese con almeno 10 addetti e raggiunge il 26,5% nelle unità con 3-10 addetti. Tra i servizi cloud il peso maggiore è quello dei servizi di comunicazione e i software per ufficio e gestionali in remoto nonché l’housing di database e archivio file. 

Anche il quadro dell’internazionalizzazione è in chiaro-scuro. Complessivamente la quota di imprese con più di 10 addetti che al 2022 ha delocalizzato all’estero è in calo, fermandosi al 2,1% contro il 2,8% del 2018. Per la maggior parte di queste imprese (63%) la delocalizzazione è avvenuta in forma leggera, ossia attraverso accordi o contratti. Il restante 37% ha decentrato attraverso investimenti esteri diretti, che sono in aumento di 2 punti percentuali rispetto al 2018 e di 12 p.p. rispetto al 2011. Questo attesterebbe la volontà delle imprese che si internazionalizzano di un radicamento più forte nei mercati esteri. Ma si tratta anche di capire perché si delocalizza. Se la motivazione prevalente è la riduzione del costo del lavoro siamo in presenza di strategie difensive, che tagliano posti di lavoro in Italia; il contrario si verifica quando la motivazione principale è l’accesso a nuovi mercati, che possono poi condurre a un ampliamento dell’attività dell’impresa e dell’occupazione. I risultati della rilevazione evidenziano come il contenimento del costo del lavoro continui ad essere la motivazione prevalente con quasi il 45% dei casi, mentre l’accesso a nuovi mercati raccoglie il 22% delle risposte. 

Molto interessanti sono infine i risultati riguardanti la finanza, in cui emergono, da un lato, la crescita dell’autofinanziamento e, dall’altro, la diminuzione del finanziamento bancario. I due fenomeni hanno tratto un significativo impulso dalla crisi finanziaria del 2007-2008, che ha avuto come conseguenza il rafforzamento della patrimonializzazione e la riduzione dei rischi da parte delle banche. A ciò si è aggiunta negli ultimi due anni la politica di aumento dei tassi d’interesse da parte della Bce. L’autofinanziamento è così passato dal 60,4% nel 2011 all’80,3% nel 2022. Il finanziamento bancario in parallelo è notevolmente calato: quello a medio-lungo termine è passato dal 42,2% nel 2011 al 28,2% nel 2022; quello a breve dal 36% nel 2011 all’11,5% nel 2022. 

L’utilizzo delle fonti interne di finanziamento ha trovato solo parziale riscontro nell’aumento di capitale proprio (2,7%), in crescita rispetto al 2011 (2,2%), ma in calo sul 2018 (3,7%), mentre alla flessione dei finanziamenti bancari hanno fatto parzialmente da contrappeso gli incentivi agevolati (3,5% nel 2022 dall’1,7% del 2018) e i finanziamenti pubblici (2% nel 2022 dallo 0,8% del 2018) come risposta delle politiche governative alla pandemia.

In conclusione, la fotografia scattata dall’Istat al 2022 coglie il sistema produttivo italiano in una fase di cambiamento dopo una pandemia che ha lasciato parecchie cicatrici. Alcuni cambiamenti strutturali, benché molto lenti, appaiono delineati. Tra questi la tendenza a una dimensione media superiore, anche se ancora molto modesta e l’abbandono anche parziale di qualche roccaforte del Made in Italy (ad esempio relativamente al comparto del tessile – abbigliamento). Altri cambiamenti strutturali, come il ruolo crescente dei servizi, sembrano interrompersi, ma sono probabilmente attribuibili agli effetti del Covid.

Accanto alle modifiche strutturali permane qualche dato “immutabile”, come la struttura decisamente familiare del capitalismo italiano. Questo, a lungo andare, può impattare sulla crescita del sistema. Si tratta quindi di una questione da affrontare sia dal lato della capacità imprenditoriale – dov’è finita la famosa inventiva dell’imprenditore italiano? – sia da quello delle risorse finanziarie.

E’ questo sicuramente un aspetto da approfondire. Così come è da approfondire l’apparente arretramento dell’innovazione tecnologica, mettendolo in relazione, da un lato, con la difficoltà di reperire personale adeguato alle esigenze aziendali e, dall’altro, con la diminuzione della propensione delle imprese ad avere relazioni produttive stabili con altre aziende o istituzioni, che possono rappresentare un veicolo dell’innovazione, come nel caso dei distretti industriali.

Anche in tema di internazionalizzazione un nuovo modello, più stabile e più radicato in profondità, ancora stenta ad emergere.

Lo scenario delineato dall’Istat non è in grado di farci comprendere se i recenti mutamenti abbiano natura temporanea o permanente né ci permette di assumere una posizione netta riguardo a due opposte visioni sul futuro dell’economia italiana. La prima che si sofferma su una serie di nodi strutturali della nostra economia tra cui la stagnazione della produttività del lavoro, il nanismo del sistema produttivo, la scarsa propensione all’innovazione (Guarascio D. e altri, The Euro Area’s Achilles Heel: Reassensing Italy’s Long decline in the context of European Integration and Globalisation, wiiw Research Report 470, July 2023). La seconda visione che, invece, tende ad “esaltare” alcuni fattori di forza strutturale della nostra economia attribuibili prevalentemente all’eccezionale performance delle esportazioni che hanno permesso al sistema manifatturiero di posizionarsi “su profili di elevata competitività, innovazione e differenziazione” (Fortis M., Italia leader nella crescita dell’export extra Ue, Il Sole 24 Ore, 23 agosto 2023).

Una risposta più esauriente a questo dibattito, più che trentennale, può essere, almeno parzialmente, trovata approfondendo la preziosa e ricca miniera di informazioni fornita dal Censimento Istat sulle imprese, mettendo in maggiore relazione i vari indicatori tra di loro e disaggregando ulteriormente anche attraverso l’utilizzo di micro – dati. Ma questo sarà il compito per ulteriori ricerche.

Schede e storico autori