ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 199/2023

14 Settembre 2023

Digitale, concorrenza dinamica e controllo delle concentrazioni*

Luigi Di Gaetano e Andrea Pezzoli si interrogano su cosa sta cambiando nel controllo delle concentrazioni, in genere, e nel settore digitale, in particolare. Le teorie antitrust tradizionali sono sufficienti? In che misura valgono in un mondo sempre più connesso, dinamico e basato sui dati? Come innovare garantendo certezza giuridica? Gli autori affrontano queste questioni e sottolineano che non possiamo ignorare gli effetti dei fenomeni in atto perché difficili da prevedere o quantificare e poi stupirci dell’irresistibile crescita del potere di mercato delle grandi piattaforme digitali.

Lezioni da Bob Dylan e Bruce Springsteen

I tempi stanno cambiando? Per lungo tempo e fino a qualche anno fa le concentrazioni verticali (ossia l’acquisizione di un’impresa che opera a monte o a valle della stessa filiera produttiva) e conglomerali (ossia l’acquisizione di un’impresa che opera su mercati distinti ma contigui) non sono state considerate fonte di particolari preoccupazioni di natura concorrenziale, anzi, nelle letture più sbrigative e ideologiche della Scuola di Chicago la tendenza era quella di consentire qualsiasi concentrazione non orizzontale (anche quelle di grandi imprese) presumendo che portassero più efficienza. Una diffusa percezione dell’inadeguatezza dell’intervento delle autorità antitrust ovvero di uno standard di prova eccessivamente alto richiesto dalle Corti, anche per le concentrazioni orizzontali, completano il quadro. Basti pensare che, dopo più di 6 anni dalla decisione di divieto della Commissione UE, non vi è ancora un giudizio definitivo in merito alla operazione CK Telecoms UK, caratterizzata da un significativo impatto orizzontale (ossia un’ampia sovrapposizione sullo stesso mercato). Eppure il Tribunale e la Corte UE non hanno ancora ritenuto soddisfatto lo standard di prova.

Negli anni più recenti, a seguito della prepotente crescita delle grandi piattaforme digitali, del più generale aumento della concentrazione e dei profitti, e a seguito delle riflessioni critiche in merito alla “timidezza” con la quale, soprattutto negli Stati Uniti, è stata applicata la disciplina antitrust nei confronti delle concentrazioni e degli abusi, sembra che qualcosa stia cambiando. Ma se andiamo a ritroso, già alla fine degli anni ‘70 venivano poste domande molto simili a quelle odierne, e proposte le medesime soluzioni (J. F. Brodley, Limiting Conglomerate Mergers: The Need for Legislation.” Ohio St. LJ 1979).

In questo mutato contesto hanno persino ritrovato vigore gli studi empirici che mettono in relazione l’aumento della concentrazione con l’aumento dei profitti, la riduzione della quota di prodotto interno lordo destinata al fattore lavoro e l’aumento delle disuguaglianze. Quasi un nostalgico ritorno (per certi aspetti benvenuto) all’approccio che guidava la dottrina antitrust prima dell’avvento della scuola di Chicago. Sul punto, le nuove linee guida sulle concentrazioni di Federal Trade Commission e Department of Justice – in consultazione pubblica – ridanno centralità all’aspetto strutturale affermando, come primo punto, che le autorità possono presumere che una concentrazione possa ridurre la concorrenza basandosi solo sulla struttura del mercato. 

Tuttavia, i processi di cambiamento, come sempre accade, incontrano le resistenze degli interessi costituiti, le perplessità e lo scetticismo della “saggezza convenzionale”. Ciò accade in modo ancor più accentuato per le concentrazioni, la cui valutazione è necessariamente prospettica e intrinsecamente di natura probabilistica. 

In questa prospettiva si avverte l’esigenza di una diversa postura nella valutazione delle concentrazioni non orizzontali e di nuove “teorie del danno” per cogliere appieno le nuove sfide digitali. Altrimenti si rischia che le decisioni più “coraggiose” (a volte troppo) siano sistematicamente annullate dalle Corti. Vengono in mente, in particolare, gli ostacoli che il nuovo approccio adottato dalla Federal Trade Commission di Lina Kahn sta sistematicamente incontrando con i giudici. La recente “bocciatura” della decisione Microsoft/Activision Blizzard, che la Federal Trade Commission avrebbe vietato, e i riflessi sull’analoga decisione della Competition and Market Authority (CMA, l’autorità del Regno Unito), anch’essa contraria all’operazione, offrono un esempio significativo di questo rischio. Anche per questo pare che la CMA stia tornando sui propri passi, autorizzando l’operazione con condizioni.

Le teorie del danno tradizionali sono ancora sufficienti? Difficile fornire numeri precisi sulle concentrazioni che negli ultimi anni sono state realizzate nel settore digitale. Parker e altri (2021) stimano che tra il 1987 e il 2020 i GAFAM (Google, Amazon, Apple, Facebook e Microsoft) avrebbero realizzato oltre 800 acquisizioni. Il 2021, poi, sarebbe stato l’anno in cui Amazon, Google e Microsoft hanno perfezionato il più alto numero di acquisizioni di sempre

La stragrande maggioranza di queste concentrazioni – circa il 97%, secondo J. Kwoca e T. Valletti (Scrambled Eggs and Paralysed Policy: Breaking up Consummated Mergers and Dominant Firms,SSRN, 2020) – non è stata valutata da nessuna autorità antitrust, in quanto “sottosoglia” e, pertanto, non soggetta a obblighi di notifica. E anche le operazioni esaminate dalle autorità antitrust sono state in larghissima parte autorizzate, al più con l’imposizione di rimedi.

A fronte dell’evidente incremento del potere di mercato delle grandi piattaforme appare pertanto legittimo chiedersi se la pressoché totale assenza di divieti sia frutto di un’effettiva assenza di restrizioni concorrenziali oppure se le lenti utilizzate per la valutazione (ossia le teorie del danno e l’onere della prova richiesto) richiedano quanto meno un aggiustamento.

Le tradizionali teorie del danno focalizzate sugli effetti orizzontali di una concentrazione (banalizzando, la somma delle quote di mercato e la pressione sui prezzi) poco si prestano a cogliere le specificità del settore digitale. In presenza di ampi ecosistemi caratterizzati da una molteplicità di servizi differenziati, la sovrapposizione e l’impatto sulla concorrenza effettiva possono interessare un segmento parziale dell’ecosistema e offuscare l’impatto di più lungo periodo sulla concorrenza potenziale. I modelli di business delle grandi piattaforme sono complessi, articolati su una interconnessione tra più gruppi di utenti (differenti e legati da effetti di rete) e su una concorrenza che non riguarda la sola dimensione di prezzo. Peraltro, alcune variabili competitive non sempre possono essere ricondotte a una lettura tradizionale centrata su prezzo, quantità, qualità: la stessa considerazione che la “privacy” sia una variabile di qualità (e che quindi i consumatori potrebbero scegliere un altro prodotto a seguito della riduzione della privacy) non trova conferma nelle evidenze empirico-sperimentali (D. Bergemann, A. Bonatti, T. Gan, The economics of social data, The RAND Journal of Economics, 2022).

Un esempio dei limiti di questo approccio è nella valutazione che ha condotto la Commissione Europea ad approvare la concentrazione Facebook/Whatsapp (2013). La Commissione si è preoccupata in particolare degli effetti orizzontali, per poi escluderli in ragione della possibilità di multihoming (ossia la presenza contemporanea su più social network), dei bassi switching cost (ossia i limitati costi legati allo spostamento su un’altra piattaforma) e delle differenze tra FacebookMessanger e Whatsapp. L’unione dei dati tra Facebook e Whatsapp era invece stata esclusa dalla stessa Facebook (poi sanzionata per aver dichiarato il falso) e comunque appariva improbabile alla Commissione in ragione del fatto che gli utenti avrebbero cambiato servizio in seguito ad una riduzione della privacy (intesa come qualità). I fatti ci hanno mostrato il contrario.

Il controfattuale, la concorrenza potenziale e l’orizzonte temporale più lungoUna maggiore sensibilità per gli effetti sulla concorrenza potenziale emerge in Facebook/Instagram (2012). L’Officeof Fair Trading (OFT, l’autorità del Regno Unito, oggi CMA) non si è limitata a valutare l’impatto sul mercato della condivisione delle foto, dove Instagram era già presente, ma l’analisi è stata estesa ai mercati dei servizi di social network e della pubblicità online (nel segmento del display advertising) dove in futuro avrebbe potuto aver luogo il confronto competitivo. Ciononostante, l’acquisizione è stata autorizzata sia dall’OFT che dalla FTC in ragione della presenza di altri operatori che si riteneva fossero in grado di disciplinare la nuova entità.

Di rilievo è la recente decisione della CMA su Facebook/Giphy (2022), vietata proprio per il timore che gli sforzi innovativi che Giphy aveva intrapreso nel mercato del display advertising potessero venir meno a seguito dell’acquisizione. Probabilmente agevolata dal fatto che Giphy aveva già iniziato a vendere i nuovi servizi negli Stati Uniti, l’autorità del Regno Unito ha potuto meglio valutare le implicazioni dinamiche della concentrazione basandosi su un controfattuale meno ancorato allo status quo. Ciononostante, la decisione resta controversa, non ultimo perché l’autorità austriaca, pur rinvenendo problemi di natura sia orizzontale che verticale, ha autorizzato l’operazione limitandosi a imporre rimedi.

Facebook/Giphy rappresenta comunque un esempio piuttosto chiaro di come nel digitale la distinzione tra concentrazioni orizzontali, verticali e conglomerali sia meno significativa che nei mercati tradizionali. In particolare, quando l’obiettivo dell’acquisizione è la raccolta di dati ovvero l’accesso ai progetti di R&S dell’impresa target, quella che nel breve periodo potrebbe classificarsi come una concentrazione conglomerale o verticale, in un orizzonte temporale più ampio, può far emergere i suoi effetti “orizzontali” sulla concorrenza potenziale. In tema di accesso ai dati, la Commissione Europea ha “letto” come non orizzontale l’acquisizione di Double Click da parte di Google (2008) e la concentrazione Facebook/WhatsApp (2013) mentre ha applicato una teoria del danno molto più simile a quella orizzontale sia a Microsoft/Linkedin (2016) che a Google/Fitbit (2020).

Quanto visto finora evidenzia come le teorie tradizionali possano essere utilizzate in modo più incisivo e flessibile, attribuendo maggiore attenzione alla concorrenza potenziale e all’impatto sui processi innovativi. Anche così, tuttavia, non sempre sono in grado di cogliere le relazioni tra i diversi lati dei mercati a più versanti e di catturare per intero l’incremento del potere di mercato, soprattutto quando la concentrazione interessa un ecosistema. L’impatto concorrenziale, non di rado, può risultare più significativo in mercati “lontani” da quelli direttamente interessati dalla concentrazione o, comunque, nei versanti che non vedono immediatamente coinvolti i consumatori (in genere quello della raccolta pubblicitaria online). In Google/Fibit, ad esempio, la Commissione Europea ha inizialmente esaminato gli effetti su ben undici mercati, per poi concentrarsi solo su tre.

In definitiva, fino ai casi più recenti, le autorità europee e del Regno Unito, rifacendosi a teorie del danno tradizionali, solo in parte hanno potuto valutare le implicazioni delle concentrazioni sugli ecosistemi nel loro insieme (V. Robertson, Merger Review in Digital and Technolgy Merkets: Insights from National Case Law, Rapporto per la Commissione Europea, 2022). 

Sebbene non abbia influenzato la decisione finale, qualcosa in questa direzione si può tuttavia cogliere nella valutazione della CMA di Microsoft/Activision Blizzard (2023) che, sebbene letta prevalentemente con lenti “verticali”, non si limita a esaminare l’impatto sul singolo mercato (il cloud gaming) ma estende l’analisi all’intero ecosistema multiprodotto di Microsoft. Un’analisi più consapevole dell’esistenza degli ecosistemi ma, in fondo, anche un revival dell’effetto portafoglio, già utilizzato in passato dalle autorità antitrust in settori tradizionali. Sarà interessante vedere, a tale proposito, a quali conclusioni giungerà la Commissione UE nel caso Booking/eTraveli, dove gli aspetti di natura orizzontale e conglomerale sembrano non essere pienamente distinguibili.

Vi è da ultimo la dicotomia tra efficienze di breve periodo e le restrizioni di lungo periodo, che nel digitale sembra ancor più rilevante in ragione delle economie di scopo e di rete. Una concentrazione può portare alla riduzione dei prezzi a breve, ma ad una monopolizzazione nel lungo periodo con possibili ricadute negative sulla concorrenza dinamica. In quest’ottica la decisione dell’OFT (2013) relativa all’acquisizione di Waze da parte di Google potrebbe solo in parte aver colto le prospettive dei mercati dei servizi di navigazione (Lear, Ex-post Assessment of Merger Control Decisions in Digital Markets, 2019).

L’analisi dinamica, la certezza giuridica e la difficoltà di aggiustarsi alle nuove sfide. Si, si può dire che “i tempi stanno cambiando”, che le autorità antitrust stanno quanto meno valutando il trade-off tra continuare ad applicare teorie consolidate (magari rimaneggiandole) ma non sempre adeguate e l’azzardo di nuove teorie più sofisticate, non sperimentate e magari “indigeste” alle Corti.

Più direttamente: per imporre un nuovo approccio ci vuole pazienza. Bisogna soddisfare il test di legalità, non dimenticare l’esigenza di certezza giuridica necessaria alle imprese e a convincere il giudice. Bisogna imparare a fare i conti con gli eventi più difficilmente prevedibili ma non per questo trascurabili. Non bisogna limitarsi a cercare le risposte dove le teorie tradizionali sono in grado di illuminare ma non necessariamente di far luce sulle nuove sfide. L’analisi ex post delle decisioni può contribuire al cambiamento che sembra essere necessario.

In questa prospettiva, peraltro, ancor più che i dati quantitativi può risultare particolarmente preziosa la documentazione interna alle imprese, in particolare quella relativa alle motivazioni strategiche dell’acquisizione. Eventualmente, e limitatamente alle imprese con elevato potere di mercato, appare ragionevole riflettere sull’inversione dell’onere della prova, a supporto della non dannosità della concentrazione (F. Lancieri e T. Valletti, Structuring a Structural Presumption for Merger Review, ProMarket, 2023). 

Più in generale, in presenza di condizioni nelle quali l’esperienza passata ha mostrato l’inadeguatezza delle teorie tradizionali, può essere opportuno riconsiderare i pesi da attribuire al rischio di falsi positivi (divieto di concentrazioni non dannose) e di falsi negativi (autorizzazione di concentrazioni non dannose). 

Saggiamente Frederic Jenny di fronte alla portata di queste sfide ci invita alla cautela (Competition Law and Digital Ecosystems: Learning to Walk before We Run”, Industrial and Corporate Change,2021). Potrebbe tuttavia essere giunto il momento di iniziare a sveltire il passo ovvero, muovendoci con un’acrobazia da Frederic Jenny a Bruce Springsteen, imparare a “danzare nel buio” (Dancing in the Dark, 1982).


* Le opinioni espresse dagli autori sono personali e non sono necessariamente attribuibili all’istituzione di appartenenza

Schede e storico autori