ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 199/2023

14 Settembre 2023

Mantenere il Sistema Terra entro limiti sicuri e giusti (prima parte) 

Gian Paolo Rossini, in un articolo diviso in due parti, sintetizza l’analisi di J. Rockström e altri sui limiti del pianeta. Nella prima parte - dedicata alle proposte del 2009 e al loro riesame del 2015 – Rossini spiega che la stabilità biofisica del pianeta, perturbata dalle attività umane, è necessaria per il benessere umano, ma ne vanno comprese le condizioni. Per individuare i processi biofisici autoregolativi della Terra occorre definire i parametri che li determinano e indicare per ciascuno i limiti dello spazio operativo sicuro per l’umanità.

Lo spazio operativo sicuro per l’umanità nel Sistema Terra

Il riconoscimento che la soddisfazione delle necessità nel presente non vada a compromettere la possibilità delle generazioni future di dare soddisfazione alle loro proprie necessità (Brundtland G., Our Common Future, 1987) è ampio, ma la realizzazione di condizioni di vita coerenti con questo obiettivo rimane un’impresa. In una fase in cui la pressione delle attività antropiche ha fortemente modificato il Sistema Terra, va compreso quali siano i parametri biofisici da cui dipende la sostenibilità delle scelte e la loro dimensione.

Il tema è stato affrontato da molti studiosi e alcuni contributi danno indicazioni robuste per sondare scelte operative in chiave biofisica. Il riferimento è allo spazio operativo sicuro per l’umanità nel pianeta Terra, che viene esaminato in due lavori fondanti pubblicati nel 2009. Il primo (Rockström et al., in Ecology and Society, 2009 – nel prosieguo indicato dalla sigla R1) ha un impianto analitico, il secondo (Rockström et al., in Nature, 2009) sintetizza il precedente in termini prospettici.

Queste note affronteranno il tema dei limiti proposti per mantenere la stabilità del pianeta Terra, nel percorso elaborativo di Rockström et al. e il testo verrà diviso in due parti. In questa prima parte sarà delineato l’approccio del 2009 e il suo aggiornamento successivo, mentre la seconda parte esaminerà il percorso che ha portato alla recente proposta di limiti sicuri e giusti per il Sistema Terra, discutendo in modo essenziale contenuti e implicazioni di questa scelta.

L’approccio usato in R1 mira all’individuazione di limiti operativi del pianeta (Planetary Boundaries, PB) e si fonda sul riconoscimento che le condizioni esistenti sulla Terra negli ultimi 11700 anni, durante l’Olocene, sono state caratterizzate da bassa variabilità. Le attività umane hanno però modificato la situazione in anni recenti, ponendo il sistema in una nuova epoca geologica, l’Antropocene (Crutzen, in Nature, 2002), iniziato negli anni ‘50 del secolo scorso.

Tali premesse reggono due punti essenziali della elaborazione sui PB. Il primo è l’esame dei parametri fondamentali che determinano le dinamiche biofisiche del Sistema Terra, valutando per ciascuno di questi la modifica dell’intervallo dei valori attuali, rispetto a quello esistente prima dell’entrata nell’Antropocene. Il secondo è l’impostazione avversa al rischio (risk-averse) della elaborazione, che indica, per i valori dei parametri, soglie oltre le quali essi raggiungerebbero dimensioni in grado di indurre alterazioni irreversibili della funzionalità degli ecosistemi sulla Terra, in particolar modo del “sistema accoppiato uomo-ambiente”.

Il concetto di soglia in R1 si fonda sull’importanza dei punti di culmine (tipping points), intesi come valori critici di variabili biofisiche di sottosistemi, che, una volta superati, determinano la transizione improvvisa del sistema in un diverso stato. Altre tipologie di cambiamento sono prese in considerazione in R1, ma quelle con soglie e punti culmine sono considerate le più rischiose. L’assunzione del principio di precauzione è una scelta chiave per la individuazione dei PB. I limiti dello spazio operativo sicuro per l’umanità nel pianeta Terra, per i parametri proposti in R1, sono così associati a valori inferiori a quelli che vengono ritenuti vicini a soglie di possibile transizione a stati diversi da quelli esistenti nell’Olocene.

Nove PB sono proposti in R1, riferiti a processi biofisici che caratterizzano la capacità autoregolativa della Terra.

I cambiamenti climatici costituiscono il processo dal quale si sviluppa l’elaborazione complessiva. Può essere utile esaminare con qualche dettaglio il metodo impiegato nella stima del suo limite, in quanto delinea l’impianto seguito per l’individuazione degli altri otto. Come è da attendersi, le conoscenze scientifiche acquisite su questo processo, inclusi i rapporti di valutazione del Gruppo di Lavoro Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (IPCC) sono la base per arrivare a proporre un limite.

L’elaborazione parte dal riconoscimento della stabilità, ovvero bassa variabilità, della temperatura durante l’Olocene. Le temperature sulla Terra sono l’esito degli scambi di energia fra il pianeta e lo spazio che lo circonda, in un processo determinato dalle concentrazioni di gas a effetto serra (GHG) presenti in atmosfera. Il biossido di carbonio (CO2) è uno di questi ed è utilizzato come riferimento, pur esistendo altri GHG (metano, protossido d’azoto e altri ancora) coinvolti nel processo. Il riconoscimento che i livelli di CO2 in atmosfera hanno raggiunto le 350 parti per milione (ppm) verso la fine del secolo scorso, dopo essere rimasti al di sotto di questo valore nell’ultimo milione di anni, diventa un dato dirimente sull’avvenuta uscita del pianeta Terra dalle condizioni di stabilità esistenti nell’Olocene, e motiva la proposta di quel limite per i cambiamenti climatici.

La perdita di biodiversità è il secondo processo per il quale R1 propone un limite. La sua importanza discende dal riconoscimento che la funzionalità degli ecosistemi, da cui dipende anche la sopravvivenza umana, è determinata dalle specie presenti, sia per la loro abbondanza che per le loro diverse funzioni, nel contesto in cui vivono, da cui derivano servizi ecosistemici.

Il forte incremento del tasso di estinzione delle specie in conseguenza delle attività umane è estesamente analizzato nei documenti della Piattaforma Intergovernativa sulla Biodiversità e i Servizi Ecosistemici (IPBES), in particolare nel rapporto di valutazione globale del 2019. L’estinzione nel corso di un anno di 10 specie per ogni milione di quelle esistenti è così il limite proposto in R1, ma esso era già superato nel 2009.

Questi due processi sono a fondamento dell’analisi complessiva, in quanto gli altri sette proposti in R1 hanno propri ruoli perturbativi del Sistema Terra, potendo anche peggiorare il quadro climatico e della biodiversità.

Il cambiamento d’uso del suolo è uno dei sette processi restanti. L’estensione dell’agricoltura, prima causa della deforestazione, è il fattore maggiore di perturbazione, introducendo alterazioni estese e profonde negli ecosistemi. Questo causa diminuzioni della biodiversità e della capacità di sottrazione di CO2 e suo immagazzinamento nel suolo, peggiorando il bilancio globale di GHG, con i relativi effetti sul clima. Su queste basi, R1 propone che non più del 15% del terreno libero da ghiacci sia convertito per uso agricolo.

L’incremento demografico e le attività umane sono cause maggiori delle modifiche d’uso del suolo e R1 sottolinea che il superamento del limite può essere evitato con una migliore gestione delle superfici già disponibili.

Gli altri processi affrontati in R1 comprendono l’inquinamento chimico, i cicli biogeochimici di azoto e fosforo, l’acidificazione delle acque marine, la diminuzione dell’ozono stratosferico, la presenza di aerosol in atmosfera, e l’uso globale dell’acqua dolce, che per brevità non sono esaminati in queste note.

Sintetizzando, sono due sono i maggiori contributi delle analisi in R1:

  1. l’individuazione di parametri biofisici caratterizzanti processi essenziali per la stabilità della Terra, che sono stati alterati dalle attività umane e per i quali sono proposti limiti;
  2. la segnalazione che le scelte delle società devono tenere presente le caratteristiche dei processi biofisici che ne hanno consentito lo sviluppo nell’Olocene, per evitare di superare limiti che potrebbero comprometterne gli esiti, mantenendo “… la possibilità di scegliere una miriade di percorsi per il benessere e lo sviluppo umano”.

I limiti del pianeta proposti in R1 sono stati riesaminati nel 2015 (Steffen et al., in Science, 2015), un articolo qui indicato dalla sigla S. Due di questi sono di particolare importanza, e qui esaminati, rimandando a S per gli altri.

Il primo intervento di rilievo è a carico della biodiversità, rinominata “Integrità della biosfera”. Il processo viene articolato in due componenti, già discussi nel 2009: la diversità genetica delle specie esistenti e la diversità funzionale negli ecosistemi. L’importanza della diversità genetica discende dal suo ruolo nel processo coevolutivo delle specie rispetto ai cambiamenti del Sistema Terra, in quanto “La diversità genetica fornisce la capacità a lungo termine della biosfera di persistere e adattarsi a cambiamenti improvvisi e graduali.” La diversità funzionale è la manifestazione di quella genetica, e le proprietà degli organismi nel loro complesso, in associazione con i fattori abiotici dei diversi ecosistemi, determinano i contributi della natura alle popolazioni.

L’impianto a due componenti richiede l’indicazione di variabili distinte per definirne i limiti: il tasso di estinzione, per la diversità genetica, e un indice di integrità della biodiversità, per quella funzionale.

L’integrità della biosfera, nelle due componenti, cattura la stabilità della parte biotica del Sistema Terra, rappresenta meglio un PB e, per la sua portata, ha una rilevante conseguenza sull’impianto complessivo del quadro, che emergerà più avanti.

L’inquinamento chimico è un altro processo esaminato in S, rinominato “Introduzione di nuove entità”. Questa diversa definizione dell’area di cui si cerca un PB è più ampia, estendendo l’analisi dei componenti di origine antropica introdotti sul pianeta Terra oltre i singoli composti chimici. Le nuove entità in S comprendono, infatti, “forme di vita modificate [dalla specie umana] che hanno un potenziale per effetti geofisici e/o biologici indesiderati”.

Due sono i punti maggiori di questa rivisitazione. Il primo è legato alla difficoltà d’individuare un singolo PB per l’inquinamento chimico. Si riconosce infatti che il fenomeno coinvolge decine di migliaia di molecole diverse, e l’assenza di un’analisi aggregata e su scala globale impedisce di proporre una singola variabile di controllo, pur esistendo un quadro classificatorio per definire un composto chimico pericoloso per il Sistema Terra in una prospettiva di PB. L’inclusione di forme di vita d’origine antropica fra le nuove entità è il secondo punto, ma non è delineato quali caratteristiche abbiano le forme di vita modificate da porre fra le nuove entità, avendo “un potenziale per effetti geofisici e/o biologici indesiderati”, che rimangono quindi materia di interpretazione.

Queste rivisitazioni dei PB ripropongono l’esistenza di interazioni fra processi, già esaminata in R1, dove emergeva la possibilità che queste possano modificare i valori dei parametri rilevanti, alterando le condizioni esistenti. Le possibili interazioni non sono puntualmente esaminate in S, ma viene delineato il quadro di integrazione sistemica fra Cambiamenti climatici e Integrità della biosfera, cui si attribuisce un ruolo centrale nella stabilità del pianeta, in quanto modificabili da molteplici fattori. Su queste basi, si conclude che il superamento di PB in altri processi influenzi il benessere umano attraverso i loro effetti sui cambiamenti climatici e le alterazioni della biosfera, indicando una gerarchia dei processi su due livelli.

Aver meglio delineato l’insieme di interrelazioni fra processi responsabili della stabilità del pianeta consente così di spostarsi dallo spazio operativo sicuro per l’umanità, entrando nel Sistema Terra. Cosa che faremo nella seconda parte di queste note.

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