ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 199/2023

14 Settembre 2023

Filomena Pietrovito, Alberto Pozzolo, Giuliano Resce, Antonio Scialà

Che relazione c’è tra decentramento fiscale e redistribuzione del reddito?

Filomena Pietrovito, Alberto Pozzolo, Giuliano Resce e Antonio Scialà esplorano la relazione tra decentramento fiscale e redistribuzione del reddito all'interno delle regioni dei paesi dell'OCSE. I loro risultati indicano che un maggiore decentramento fiscale e un'alta autonomia fiscale delle regioni sono associati a una minore redistribuzione del reddito all'interno delle regioni stesse. La spesa pubblica decentrata può invece contribuire alla redistribuzione del reddito, ma solo se le risorse a livello locale sono sufficienti.

Negli ultimi decenni un numero crescente di Paesi ha adottato politiche di decentramento fiscale, assegnando ai governi locali crescenti poteri decisionali in materia di spese e di entrate. La logica alla base di tali politiche risale ai lavori seminali di Tiebout e Oates, secondo i quali il trasferimento di poteri e responsabilità ai livelli inferiori di governo consente una migliore corrispondenza tra le preferenze dei cittadini e le politiche pubbliche, e quindi un miglioramento del benessere sociale. Tuttavia, negli stessi anni in cui il decentramento fiscale ha preso sempre più piede, la disuguaglianza di reddito tra i paesi è diminuita, ma quella all’interno dei paesi è aumentata in maniera rilevante.

Decentramento e redistribuzione in letteratura. In un nostro recente lavoro ci chiediamo se esiste una relazione tra decentramento fiscale e redistribuzione del reddito, intesa come riduzione delle differenze nella distribuzione del reddito di mercato (il reddito al lordo delle imposte e dei trasferimenti). A questo scopo, abbiamo condotto un’analisi empirica utilizzando dati a livello regionale sulla disuguaglianza e sul livello di decentramento fiscale relativi a 183 regioni di 14 paesi OCSE.

Da un punto di vista teorico, la letteratura sugli effetti del decentramento sulla disuguaglianza fornisce risposte contrastanti. Le posizioni che si sono delineate possono essere classificate nei due filoni principali delle teorie del federalismo fiscale: quello di prima generazione e quello di seconda generazione

Secondo le teorie di prima generazione, collegate principalmente ai lavori di Tiebout e Oates, trasferire il potere decisionale ai livelli sub-centrali di governo riduce la disuguaglianza di reddito all’interno delle regioni. Infatti, se il governo agisce come un agente benevolo che affronta preferenze eterogenee e ha l’obiettivo di aumentare il benessere dei residenti, in una struttura decentrata esso può sfruttare i suoi vantaggi informativi e la sua flessibilità per disegnare politiche e per fornire beni e servizi pubblici migliori, mirati alle esigenze e alle preferenze dei cittadini locali. Generalmente, questa letteratura concentra l’attenzione sull’efficienza complessiva piuttosto che sulle diseguaglianze interne alle regioni. Tuttavia, in presenza di mobilità, i contribuenti a basso reddito preferiranno spostarsi verso regioni con generose politiche di ridistribuzione locale e i contribuenti ad alto reddito preferiranno invece allontanarsi da tali regioni, generando una riduzione della disuguaglianza interna e un aumento della disuguaglianza tra regioni. In altre parole, il meccanismo del “voto con i piedi” porta a un equilibrio in cui gli individui tenderanno a raggrupparsi in comunità omogenee che massimizza le preferenze individuali e riduce al minimo la differenziazione interna.

Le teorie di seconda generazione del federalismo fiscale, invece, adottano un’ottica basata sulla Public Choice, che parte dall’assunzione che i funzionari governativi agiscano in base al proprio interesse, cercando di massimizzare il proprio beneficio personale. Secondo questa prospettiva, il decentramento delle responsabilità finanziarie consente di frenare possibili eccessi di spesa del settore pubblico, limitando l’espansione eccessiva dello stato e favorendo la competizione nel settore privato. Questa letteratura si concentra sulla capacità del decentramento di favorire maggiore trasparenza e accountability, favorendo una riduzione della presenza dello stato in termini di rent seeking, anche se rimane pur vero che uno stato dimensioni più contenute sia in termini di spesa sia in termini di entrate, ha comunque meno strumenti per combattere la disuguaglianza

Bardhan e Mookherjee (2000), infine, applicano al decentramento fiscale l’analisi proposta in un contesto centralizzato da Helpman e Grossman (1996), mostrando che i decisori politici a livello locale, essendo più vicini ai gruppi di interesse presenti nel proprio territorio, sono maggiormente esposti alla loro influenza e di conseguenza tendono a realizzare politiche fiscali che favoriscono coloro che vi afferiscono, aumentando così le disuguaglianze a livello locale.

L’analisi. Prendendo come riferimento il quadro teorico descritto sopra, il nostro studio sviluppa un’analisi empirica della relazione tra decentramento fiscale e redistribuzione del reddito all’interno di ciascuna regione, utilizzando una cross-section di 183 regioni (Territorial level 2, nella classificazione OCSE) per un campione di 14 paesi OCSE, per la gran parte riferita all’anno 2013. Pur prendendo in considerazione sia il decentramento fiscale dal lato delle entrate sia quello dal lato della spesa, lo studio si focalizza principalmente sulla prima dimensione, poiché le politiche di tassazione hanno un impatto maggiore sul reddito disponibile delle famiglie rispetto alle politiche locali basate sulla spesa, che spesso riguardano invece la fornitura di servizi. A questo riguardo, oltre ad analizzare in generale la relazione tra decentramento fiscale e redistribuzione del reddito all’interno delle regioni, lo studio – attraverso una disaggregazione dei tributi locali per grandi tipologie di imposta – verifica anche se il decentramento del potere impositivo di alcune imposte possa giocare un ruolo più incisivo rispetto ad altre.

Il decentramento del potere impositivo complessivo delle regioni è misurato sia attraverso una misura istituzionale di autonomia fiscale (Regional Authority Index) sia attraverso una misura quantitativa del peso delle entrate proprie dei governi locali sulle entrate complessive dello stato. L’impatto delle imposte decentrate viene anche disaggregato tra imposte sul reddito delle persone fisiche, sul reddito societario, sulla proprietà, e indirette.

Risultati. I risultati mostrano che una più elevata autonomia fiscale e un più alto grado di decentramento delle entrate sono associati a una minore redistribuzione del reddito all’interno delle regioni (Figure 1 e 2). 

Figura 1: Autonomia fiscale e redistribuzione del reddito

Figura 2: Tassazione locale e redistribuzione del reddito

Tale evidenza persiste utilizzando diverse misure di decentramento e diverse misure di redistribuzione del reddito. L’impatto è inoltre circa doppio per le regioni caratterizzate da un livello iniziale di disuguaglianza al di sopra della mediana rispetto a quelle al di sotto della mediana. 

L’associazione negativa tra decentramento e redistribuzione viene confermata anche dopo aver considerato la struttura specifica delle entrate fiscali decentrate. In particolare, il decentramento delle imposte sul reddito delle persone fisiche, le imposte indirette e quelle sulla proprietà sono associate a una minore redistribuzione, mentre un maggiore decentramento delle imposte sulle imprese è associato ad una maggiore redistribuzione del reddito. Una variazione interquartile nella quota locale della tassazione sul reddito delle persone fisiche – dal valore al 25° percentile (meno dell’1 per cento) a quello al 75° percentile (quasi il 15%) – è associata a una riduzione di 3,2 punti percentuali dell’indice di Gini. Nel caso della tassazione societaria, l’impatto è di segno opposto: una variazione interquartile (dallo 0 al 3,4%) comporta un incremento dell’indice di Gini di 2,1 punti percentuali. La tassazione indiretta e la tassazione sulla proprietà sono associate a cali comparabili dell’indice di Gini: rispettivamente 1,8 punti percentuali (in seguito a una variazione interquartile dall’1,4 al 6,9%) e 1,6 punti percentuali (con una variazione dallo 0 al 5,6%). Poiché le imposte locali sul reddito delle persone fisiche rappresentano una più quota elevata del gettito da tributi decentrati delle ragioni, tali imposte hanno un ruolo quantitativamente più rilevante. Ciò suggerisce che, se si vuole tutelare il ruolo redistributivo del settore pubblico, le imposte che influiscono direttamente sul reddito delle famiglie vengano gestite a livello centrale; al contrario, le imposte che non hanno un impatto diretto sul reddito possono essere decentrate. 

Un ulteriore risultato dell’analisi è che la spesa pubblica locale può contribuire alla redistribuzione del reddito unicamente se vi sono sufficienti risorse a livello locale.

Le politiche pubbliche. Dal punto di vista delle politiche, il nostro lavoro suggerisce che la materia del decentramento fiscale deve essere affrontata con cautela, soprattutto per le imposte che influenzano direttamente il reddito disponibile. La relazione positiva tra decentramento della spesa e redistribuzione del reddito può essere parzialmente spiegata dalle argomentazioni introdotte dalle teorie di prima generazione: il trasferimento di poteri e responsabilità ai livelli inferiori di governo consente una migliore corrispondenza tra bisogni dei cittadini e politiche pubbliche. Tale processo, insieme alla mobilità degli individui, potrebbe portare a un equilibrio nel quale i contribuenti tenderanno a raggrupparsi in comunità omogenee dove vengono ridotte al minimo le differenziazioni. Ulteriori interpretazioni possono essere trovate nella letteratura che esamina il rapporto tra decentramento e politiche di coesione. Su questo tema è stato dimostrato che la regionalizzazione dei fondi tende a ridurre gli investimenti in infrastrutture e in attività produttive e ad aumentare le spese fiscali a sostegno dei consumi e del reddito. Sebbene le politiche incentrate sulla creazione di infrastrutture fisiche vitali e di grandi impianti industriali possano avere un grande potenziale per promuovere la convergenza, essi sono in effetti meno efficaci dei sussidi fiscali nel favorire la redistribuzione del reddito. È stato infatti dimostrato che i fondi di coesione, anche quando contribuiscono a ridurre le disuguaglianze tra gli stati membri, non riducono le disuguaglianze regionali interne. Sempre la letteratura sui fondi di coesione mostra che di fatto quando le regioni escono dai programmi di investimento, la disuguaglianza interna si riduce rispetto a un gruppo di controllo.

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