La “condizionalità all’occupazione di giovani e donne” è un dispositivo basato su ‘quote obbligatorie’ avente lo scopo di assicurare che i progetti finanziati dal PNRR contribuiscano in modo diretto all’incremento dell’occupazione di giovani e donne. La disciplina attuativa del dispositivo evidenzia, tuttavia, alcuni elementi che potrebbero, sin dalla fase di avvio, inficiarne l’efficacia.
Siamo in presenza di un dispositivo che vincola gli operatori economici aggiudicatari di bandi di fondi Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) e Pnc (Piano nazionale degli investimenti complementari) a destinare ai giovani under-36 e alle donne senza limiti di età almeno il 30 per cento dell’occupazione aggiuntiva creata in esecuzione del contratto per le attività essenziali ad esso connesse. La previsione è inserita alla pagina 36 del PNRR ed è disciplinata dall’art 47 del decreto legge n. 77/2021 e dalle “Linee guida per favorire la pari opportunità di genere e generazionale, nonché l’inclusione lavorativa delle persone con disabilità nei contratti pubblici finanziati con le risorse del PNRR e del PNC”, contenute nel DM 7.12.2021.
L’ammissibilità tecnico giuridica della quota è fondata sulla sua natura di “azione positiva”, ossia di dispositivo derogatorio rispetto alle dinamiche ordinarie, orientato alla correzione di alcuni squilibri nella vita economica e sociale che si caratterizzano per almeno tre fattori: rilevanza per la collettività, significatività e persistenza nel tempo. Tre requisiti propri dello squilibrio generazionale e di genere nei tassi di occupazione che presentano, in Italia, carattere ormai strutturale. Criticità irrisolte e risultate “impermeabili” ai ripetuti tentativi di contrasto basati su politiche “ordinarie” tra cui, ad esempio, le misure di decontribuzione a favore delle imprese sulle nuove assunzioni (si veda V. Cardinali “Il ruolo degli incentivi all’occupazione nel 2021: lavoro a termine, part time, fragilità contrattuale” Inapp policy brief n. 28, giugno 2022)
Il PNRR prevede la trasversalità del principio di parità di genere e generazionale – e quindi l’impegno a garantire che ogni Missione possa contribuire al miglioramento della quantità e qualità dell’occupazione di giovani e donne – ma tale declaratoria non è sufficiente a garantire che la più grande operazione di afflusso finanziario in ottica di investimento mai stata disponibile nel nostro Paese possa avere un chiaro impatto sulla correzione di tali tendenze. La riflessione maturata nel gruppo di lavoro “Occupazione femminile e disparità salariali”, istituito con Decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali il 29 marzo 2021 n.63, ha quindi condotto alla elaborazione del dispositivo di condizionalità, come strumento aggiuntivo all’impianto delle priorità trasversali presenti nel PNRR, con la finalità di garantire un incremento di occupazione giovanile e femminile aggiuntiva, non “auspicato” (come probabile effetto indiretto dell’applicazione di politiche generaliste) ma “programmato” e prevedibile, sin dall’avvio dell’esecuzione dei progetti (cfr. AA.VV. Linee per un piano di piena e buona occupazione femminile (e generale) di L. Pennacchi, D. Archibugi, G. Brunelli, V. Cardinali, L. Cavatorta, V. Gualtieri, D. Guarascio, E. Reviglio, A. Simonazzi con la collaborazione di M. Cisternino, S. Fagiani, P. Galeone, F. Lauria, M. Mazzonis).
La condizionalità, complice la cogenza dell’adempimento, avrebbe potuto, grazie alla sua natura derogatoria, esercitare un doppio ruolo: creare nuove opportunità di accesso al lavoro per giovani e donne che, ordinariamente, il mercato non avrebbe da solo attivato o rese equamente accessibili; cincidere sulla rimozione di stereotipi di genere e generazionali che inceppano il meccanismo di incontro tra domanda ed offerta di lavoro – soprattutto femminile. Una funzione particolarmente importante in Italia, stante la prevalenza dei canali informali nella ricerca di lavoro (vedi F. Bergamante, E. Mandrone e M. Marocco “I canali di ingresso nel mondo del lavoro” Inapp policy brief n. 29 – giugno 2022) ) che tende a favorire la cooptazione in ambiti professionali affini, spesso poco ‘women friendly’. Meccanismi che solitamente non favoriscono la redistribuzione delle opportunità di accesso, come invece uno strumento di politica pubblica, quale la condizionalità, può e deve fare.
La declinazione operativa del dispositivo di condizionalità, tuttavia, presenta alcuni elementi che potrebbero inficiare l’efficacia dello strumento e, in quanto tali, meritano attenzione – nello specifico, sia lo spirito con cui il dispositivo, di per sé innovativo e derogatorio, è stato disciplinato nella fase di attuazione del PNRR, sia i criteri scelti per l’ammissibilità alle deroghe (per una disamina di dettaglio v. V. Cardinali PNRR., “La clausola di condizionalità all’occupazione dei giovani e donne: azione positiva o azione mancata?”, Inapp Working Paper n.92, settembre 2022)
Seppur il dispositivo di quota sia obbligatorio e vincolante per tutti gli operatori economici aggiudicatari di bandi per i fondi Pnrr e Pnc sin dalla fase di presentazione dell’offerta, la misura per essere operativa, deve essere inserita e disciplinata dalle stazioni appaltanti all’interno dei bandi di gara, secondo le disposizioni previste dalle Linee guida del DM 7.12.22. Emerge quindi sin dalla definizione dell’impianto, il ruolo chiave del public procurement nel raggiungimento di un obiettivo di rilevanza nazionale; ciò vuol dire che viene lasciato un ampio margine di discrezionalità nella scelta e nella modalità di applicazione della misura a un sistema fortemente eterogeno per dimensioni, localizzazione territoriale e capacità di implementazione delle varie amministrazioni. Le Stazioni appaltanti, infatti, hanno facoltà di deroga totale (completa inapplicabilità della condizionalità) o parziale (con abbassamento della quota del 30%), con obbligo di motivazione prima o contestualmente all’avvio dei bandi, qualora “l’oggetto del contratto, la tipologia o la natura del progetto o altri elementi puntualmente indicati dalla stazione appaltante (come ad esempio il tipo di procedura, il mercato di riferimento, l’entità dell’importo del contratto, ecc.) rendono la clausola impossibile o contrastante con gli obiettivi di universalità e socialità, efficienza, economicità e qualità del servizio, nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche”.
La genericità dei paramenti di deroga, da un lato, lascia ampio margine di disapplicazione e, dall’altro, contrasta con la natura derogatoria della quota, che, in ipotesi di violazione dei suddetti principi generali, sembrerebbe addirittura poter esercitare una funzione contraria agli obiettivi per cui è sorta.
Nel caso specifico della deroga parziale, inoltre, i parametri che consentono l’abbassamento della quota del 30% sono difformi tra giovani e donne. Mentre per i giovani la stazione appaltante può definire la riduzione della quota più congrua, specificatamente nei casi di disallineamento tra esperienza richiesta ed età anagrafica, per l’occupazione femminile, invece, motivazione specifica della deroga è un’incidenza del tasso di occupazione femminile nel settore di riferimento del progetto (Ateco 2 Digit) inferiore al 25% della media nazionale.
Questo criterio di deroga presenta due aspetti da considerare: la scelta del parametro soglia settoriale e la scelta del tasso di occupazione totale come indicatore di riferimento. Il parametro di “sbarramento settoriale” appare da subito in contrasto con la natura derogatoria della quota: se infatti sono le soglie di partecipazione di uomini e donne “a mercato vigente” a legittimare la deroga, allora l’azione positiva non potrà far altro che operare nei settori in cui le donne sono già presenti e non potrà invece esercitare la sua funzione di assicurare più opportunità proprio laddove ve ne sarebbe maggior bisogno, ossia nei settori in cui la presenza femminile è ridotta. Il livello di occupazione femminile nei diversi settori, infatti, è il risultato di un complesso di fattori – tra cui proprio la scarsa presenza di opportunità accessibili e la persistenza di dinamiche di reclutamento stereotipate che invece l’azione positiva potrebbe contrastare. Ad esempio: se nelle costruzioni le donne sono poche non è perché non ci sono ingegnere edili ma perché in quell’ambito gli uomini sono da sempre in maggioranza, l’ambiente di lavoro e la cooptazione risentono di quel consolidato e opera lo stereotipo organizzativo che “il cantiere non sia luogo da donne”. Tale situazione, in un mercato del lavoro a prevalente intermediazione formale e di cooptazione settoriale, non concorre ad una redistribuzione di chance in partenza. La quota, invece, potrebbe offrire a molte donne delle opportunità che a “regole ordinarie” probabilmente nemmeno le raggiungerebbero.
Secondo aspetto: il tasso di occupazione totale non è indicatore adeguato alla finalità dell’azione positiva perché nasconde i profili professionali e le mansioni. Tornando all’esempio delle costruzioni. Il tasso di occupazione totale ci dice che le donne occupate nel settore sono poche – e tale fatto indurrebbe ad una estrema riduzione della quota di condizionalità. La realtà è che le donne sono scarsamente presenti nel profilo più numeroso nel settore (manovale), mentre sono più presenti nelle alte professionalità, comprese le funzioni direttive di cantiere, ma la deroga alla condizionalità nel settore computata sul totale di tutti i profili, impedirebbe di fornire loro delle opportunità di emersione e crescita, perché in base al dato medio del settore le donne sono poche.
In sintesi, la condizionalità rappresenta un dispositivo innovativo, inserito in un calendario attuativo del PNRR sicuramente stringente, ma si tratta di un’innovazione non colta nelle sue potenzialità: l’approccio “adempimentale”, (chiaramente esplicitato ai punti 1 e 6 delle Linee guida) il timore dell’onere applicativo presunto e la sostanziale diffidenza rispetto al meccanismo di quota hanno indotto a disciplinare la misura al pari di un dispositivo ordinario, senza tenere in adeguata considerazione la sua natura di azione positiva, per definizione derogatoria e di inversione delle dinamiche ordinarie di reclutamento nel mercato del lavoro di giovani e donne. La previsione di margini di deroga particolarmente ampi ha praticamente svuotato e reso superabile il suo carattere di obbligatorietà, rimasto tale sulla carta, sancendo la sua inefficacia come strumento correttivo di criticità strutturali e rischiando di ridurlo ad una mera “buona prassi” in contesti particolarmente sensibili. Questa esperienza, quindi, non potrà suscitare un dibattito circa l’ “efficacia” della misura rispetto al volume occupazionale prodotto, ma potrà essere certo l’occasione per avere chiaro quali siano le condizioni – e precondizioni – per un reale funzionamento del dispositivo, anche in futuro, che ne rispetti la natura derogatoria e sperimentale.