ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 179/2022

1 Ottobre 2022

Quale uguaglianza di opportunità? Una risposta non scontata

Elena Granaglia mette in discussione la diffusa concezione dell’uguaglianza di opportunità come livellamento delle condizioni di accesso al mercato grazie all’investimento in istruzione, al contrasto alla povertà dei minori e al sostegno alle responsabilità di cura. Secondo Granaglia tale concezione ha molti aspetti positivi, ma anche seri limiti, assenti in concezioni alternative, che illustra riprendendo quanto sostenuto nel suo recente libro "Uguaglianza di opportunità. Si, ma quale?" (Laterza).

In questi ultimi anni è andata diffondendosi nel nostro paese, anche a sinistra, una concezione di uguaglianza di opportunità dove la partecipazione nel mercato è l’opportunità centrale e l’istruzione/la formazione dai primi anni e per tutto il corso di vita, il contrasto alla povertà dei minori e il sostegno alla responsabilità di cura sono i mezzi principali per realizzarla. Una volta assicurati questi mezzi, i punti di partenza sarebbero livellati e le disuguaglianze successive dei redditi sarebbero nel complesso giustificate in quanto riflesso della libertà e/o del merito.

Questa concezione, che sintetizzo come uguaglianza di opportunità di partecipare alla pari nel mercato, presenta diversi aspetti attraenti. Le tante disuguaglianze di opportunità intergenerazionale e di genere esistenti nel nostro paese e la povertà minorile sono sotto gli occhi di tutti. Le trasformazioni indotte dalla digitalizzazione e dalla più complessiva economia della conoscenza nonché da una globalizzazione che favorisce l’esportazione dei lavori meno specializzati rendono oggi sempre più importante l’acquisizione di competenze e il complessivo investimento nel capitale umano. Negli ultimi decenni, è altresì aumentata la consapevolezza che il processo formativo inizi dai primi mesi di vita. Bene, dunque, essere pungolati a contrastare disuguaglianze radicate e a sottolineare il peso dell’istruzione e della formazione nel ciclo di vita.

Diverse sono, tuttavia, anche le criticità della concezione. Innanzitutto, trascura diverse opportunità che contano. Trascura le opportunità di mercato di avere una retribuzione e un lavoro decenti, che la mera partecipazione alla pari non garantisce. Trascura altresì le opportunità che nel mercato non possiamo acquistare, dalle opportunità di godere di beni pubblici e della protezione da rischi sociali per i quali non esistono assicurazioni private adeguate alle opportunità di perseguire pratiche non mercificate, centrate su valori intrinseci.

Presenta, inoltre, una visione degli ostacoli da rimuovere che è limitata anche se fossimo interessati alla sola partecipazione alla pari nel mercato. Accesso all’istruzione e misure di contrasto alla povertà dei minori appaiono, infatti, insufficienti a rompere l’influenza della famiglia di origine e del contesto sui destini dei figli. Ancora, nel mercato potrebbero operare discriminazioni implicite che premiano l’origine sociale e/o il genere.

Infine, la concezione è disattenta agli ostacoli che le disuguaglianze economiche e la stratificazione sociale, se elevate, potrebbero porre allo stesso livellamento ricercato. In breve, come scrisse Atkinson, “la disuguaglianza di esiti influenza direttamente la disuguaglianza di opportunità – della prossima generazione” (2015, p. 15). Un ostacolo consiste nell’indebolimento della disponibilità a redistribuire e un altro nell’accentuazione delle difficoltà del livellamento in presenza di un allungamento delle distanze fra chi più e chi meno ha.

Questi limiti dovrebbero spingere a esplorare concezioni alternative di uguaglianza di opportunità. Ciò che contraddistingue l’uguaglianza di opportunità è la distinzione fra un «prima», dove le disuguaglianze sono considerate inaccettabili e vanno livellate, e un «dopo», dove le disuguaglianze vanno accettate. Possiamo allora avere diverse concezioni di uguaglianza di opportunità a seconda di dove si pongano i confini fra «prima» e «dopo» e del modo in cui si configuri l’intervento nel «prima».

A margine sottolineo come l’implicazione non sia in alcun modo quella di giustificare qualsiasi disuguaglianza si verifichi nel «dopo». Anche le disuguaglianze possono essere molteplici e solo alcune essere accettabili. In questo senso, sbaglia chi pensa che una volta livellato il campo da gioco, gli esiti distributivi successivi debbano essere accettati. Al contrario, come ci poniamo la domanda su “quale uguaglianza” dovremmo anche porci la domanda su “quale disuguaglianza”. Il punto è che lo spazio dell’uguaglianza di opportunità è il «prima», mentre nel «dopo» cessano le istanze ugualizzatrici. Il che implica, fra l’altro, che l’uguaglianza di opportunità è solo una parte della giustizia sociale.

Nel libro che ho appena pubblicato Uguaglianza di opportunità. Si, ma quale? (Laterza, 2022), contrappongo quella che ho definito l’uguaglianza di opportunità come partecipazione alla pari nel mercato a due concezioni alternative. Una è la concezione di uguaglianza di opportunità come compensazione delle disuguaglianze dovute a circostanze, elaborata da John Roemer e presente in una parte importante della letteratura economica. L’altra è l’uguaglianza di capacità, elaborata da Amartya Sen e Martha Nussbaum.

Considerare l’uguaglianza di capacità come una concezione di uguaglianza di opportunità potrebbe stupire. Tipicamente, l’uguaglianza di opportunità è associata alla nozione di probabilità. La finalità è assicurare a tutti le stesse probabilità di raggiungere determinati obiettivi considerati desiderabili grazie al livellamento degli ostacoli ritenuti ingiustificabili. L’uguaglianza di capacità richiede, invece, di assicurare a tutti la possibilità, se lo desiderano, di raggiungere gli obiettivi ricercati. La distinzione fra «prima» e «dopo» come elemento caratterizzante dell’uguaglianza di opportunità segnala, tuttavia, la compatibilità fra uguaglianza di capacità e uguaglianza di opportunità. L’uguaglianza di capacità rappresenta il «prima». Una volta realizzata, le disuguaglianze possono dispiegarsi nel «dopo».

Il mio favore va all’uguaglianza di capacità. L’uguaglianza di opportunità come compensazione delle disuguaglianze dovute a circostanze allarga il novero delle opportunità, aspirando a includere nelle opportunità qualsiasi vantaggio cui la collettività attribuisca valore. Estende, inoltre, il livellamento a tutto ciò che deriva dal caso. Ancora, disvela l’inconsistenza di semplicistiche opposizioni fra uguaglianza di risultati e uguaglianza di opportunità, reclamando l’attenzione ai risultati all’interno del concetto stesso di opportunità. Al riguardo, elabora una nuova concezione ex post di uguaglianza di opportunità, proponendo un algoritmo oltremodo innovativo per distinguere fra caso e responsabilità.

Nonostante questi meriti, essa rimane, però, una visione competitiva/disuguale delle opportunità. Solo chi si sforza, alla fine, ne gode. Al contempo, non riesce a distinguere con precisione il caso dallo sforzo, dando luogo a un rischio strutturale di imputare alla responsabilità individuale esiti che sono casuali e viceversa. Certo distinguere fra caso e responsabilità è un dilemma che ci accompagna almeno da quando il sofista Gorgia si chiedeva se Elena fosse o non fosse responsabile della guerra di Troia. Ma, neppure l’ingegnoso algoritmo ci riesce. Suscita, inoltre, perplessità la non distinzione, sotto l’egida della compensazione, fra interventi di prevenzione degli svantaggi e interventi strettamente risarcitori. Risarcire è ovviamente meglio che non fare nulla di fronte agli svantaggi, ma, sotto un profilo di giustizia, appare discutibile mettere prevenzione e risarcimento sullo stesso piano. Infine, restano sottovalutati gli ostacoli che disuguaglianze economiche elevate e la più complessiva stratificazione sociale potrebbero porre alla disponibilità a redistribuire.

L’uguaglianza di capacità sopperisce a molti di questi limiti. Chiedendo di assicurare a tutti e tutte l’opportunità di accedere a una base/un «pavimento» di condizioni che le persone hanno ragione di apprezzare in quanto riflesso della comune uguaglianza morale e, con essa, della dignità umana, essa va oltre alla visione competitiva/disuguale delle opportunità. Detto in altri termini, l’obiettivo che ci prospetta non è livellare per rendere eticamente accettabile una gara che non potrà che sancire vincitori e vinti. È permettere di accedere a uno standard di vita che rappresenta per tutti e tutte il requisito per una vita civile. La metafora della gara e, con essa, la divisione fra vincenti e perdenti fuoriesce dai confini dell’uguaglianza di opportunità.

Le capacità a loro volta offrono una specificazione attraente delle opportunità, la quale presta contemporaneamente attenzione ai risultati, alla pluralità delle libertà e al valore del trattamento dignitoso. L’attenzione ai risultati lungi dall’essere motivata da istanze omogeneizzanti deriva dalla consapevolezza dell’eterogeneità individuale. Proprio perché siamo diversi, un livellamento che si fermasse ai mezzi sarebbe del tutto inadeguato, riflettendo un feticismo delle risorse, cieco alla pluralità di ostacoli che potrebbero limitare la trasformazione delle risorse nei risultati.

E non è tutto. L’uguaglianza di capacità offre anche un’individuazione attraente dei possibili ostacoli da contrastare. Sono le carenze individuali di risorse, siano esse reddito o servizi; le carenze di risorse nei luoghi in cui si vive e i rapporti di potere.  Va così oltre alla parzialità degli ostacoli considerati dall’uguaglianza di opportunità di partecipare alla pari nel mercato senza incorrere nelle ambiguità dell’allargamento contemplato dall’uguaglianza come compensazione delle disuguaglianze dovute a circostanze.

Queste caratteristiche danno luogo a un modello ricco, capace di coniugare paradigmi di politiche pubbliche solitamente considerati alternativi. Sono i paradigmi redistributivo, data l’importanza dei trasferimenti e, con essi, della tassazione; pre-distributivo, data l’attenzione ai rapporti di potere; rappresentativo, data l’attenzione alle libertà; e del riconoscimento, data l’attenzione al pari trattamento.

Certo, si può dissentire da questa valutazione. Non dobbiamo, però, trascurare le assonanze fra l’uguaglianza di capacità e l’art. 3 della nostra Costituzione. Il pieno sviluppo della persona umana è ciò cui mira l’uguaglianza di capacità e la partecipazione nella vita economica politica e sociale rivendicata dall’art. 3 ha a che fare con la libertà. Similmente, la rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale sembra riflettere la stessa attenzione al contesto e ai rapporti di potere che caratterizza l’uguaglianza di capacità. Investire sull’istruzione è certamente centrale, ma è solo un pezzo di quanto serve. Come diceva Goldthorpe (2012, trad. mia), «mentre l’espansione e la riforma dell’istruzione possono svolgere un ruolo, i loro effetti devono essere considerati secondari, se non dipendenti da processi più fondamentali, quali quelli che Marshall (1950), in un altro tempo, ma in modo ancora appropriato, chiama la “riduzione delle barriere di classe”».

In ogni caso, il libro dovrebbe almeno spingerci a non adagiarci su una visione di uguaglianza di opportunità come se fosse l’unica possibile. Le concezioni di uguaglianza di opportunità sono molteplici. Sceglierne una piuttosto che un’altra ha implicazioni molto diverse per le politiche sociali.

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