ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 191/2023

15 Aprile 2023

La rilevanza della sicurezza nazionale e il ritorno del protezionismo

Marco Lossani ci ricorda che la pandemia da COVID-19 e la guerra in Ucraina hanno messo in evidenza le fragilità delle Global Value Chains, consistenti anche dalle ricadute negative per la sicurezza nazionale di un’eccessiva frammentazione dei processi produttivi e illustra come la ricerca di una maggior auto-sufficienza ha spinto diversi paesi a varare provvedimenti protezionistici che hanno inflitto un nuovo colpo al modello di multilateralismo che ha dominato le relazioni internazionali per diversi decenni.

La fragilità delle GVCs e i rischi per la sicurezza nazionale. COVID-19 prima e guerra in Ucraina dopo hanno messo inesorabilmente in evidenza la sostanziale fragilità delle Global Value Chains (GVCs) (L. Metelli, M. Mancini, R. Geriniovics, V. Gnella, M.G. Attinasi, “Global Supply Chains Rattled by Winds of War”, Voxeu.org., 8 Giugno 2022). La continua ricerca di efficienza ottenuta mediante la crescente frammentazione delle fasi produttive unita alla sempre maggiore integrazione commerciale è andata a scapito della resilienza e della robustezza delle stesse catene produttive. La manifestazione di un evento avverso determina infatti una serie di effetti a catena che si ripercuotono lungo l’intera filiera globale determinando conseguenze che vanno dalla interruzione prolungata del ciclo produttivo alla mancata disponibilità di beni finali per i consumatori di diverse parti del mondo. Inoltre, la pandemia – al pari di ciò che era già avvenuto qualche anno prima con il terremoto in Giappone del 2011 – ha mostrato con assoluta chiarezza come siano fortemente esposte al rischio di shocks anche quelle GVCs che – sebbene geograficamente diversificate dal punto di vista delle aree di destinazione finale della produzione – siano geograficamente concentrate nella acquisizione di alcuni, particolari input. Una condizione di dipendenza estrema che può rapidamente degenerare nella formazione di veri e propri colli di bottiglia, capaci di produrre gli effetti a catena già menzionati e di mettere a rischio la sicurezza alimentare ed energetica di un paese oltre che l’approvvigionamento di materie prime e semi-lavorati strategici, con ricadute negative per la stessa sicurezza nazionale. La ricerca di una maggior auto-sufficienza in alcuni settori strategici diventa così la nuova parola d’ordine per molti paesi.

Le mosse di Biden: CHIPS e IRA. Nei primi giorni del mese di Agosto 2022, Biden promulga il CHIPS (Creating Helpful Incentives to Produce Semiconductors) and Science Act. L’obiettivo dichiarato è quello di rafforzare il manifatturiero americano e conseguentemente le GVCs che insistono su di esso favorendo lo sviluppo delle industrie considerate strategiche per la corsa tecnologica del XXI secolo, quali nanotecnologie, quantum computing, intelligenza artificiale, energia pulita, ma soprattutto semiconduttori. Benché i semiconduttori siano “nati” negli USA – anche grazie a una sostenuta domanda proveniente dal settore pubblico (e in particolare dal dipartimento della Difesa) – oggi la produzione USA di semiconduttori rappresenta poco più del 10% di quella mondiale (concentrata per oltre tre quarti nei paesi dell’Asia Orientale). Da qui lo sforzo dell’Amministrazione Biden di riconvogliare risorse verso un settore sempre più strategico, attraverso l’erogazione di adeguati sussidi e incentivi fiscali. 

Il CHIPS and Science Act stanzia quasi 280 mld. USD, di cui oltre 52 per sostenere la formazione di manodopera e la produzione di semiconduttori USA, e più di 200 per sostenere attività di R&D. Inoltre, fornisce crediti di imposta pari al 25% delle spese in conto capitale sostenute dalle imprese, sino a un totale di 24 mld.USD. Le decine di migliaia di nuovi posti di lavoro così generati dovrebbero riguardare soprattutto mansioni che fanno ampio uso di competenze STEM (Science, Technology, Engineering, Mathematics). In tal modo non solo si sosterrebbe lo sviluppo di settori strategici ma si garantirebbe la creazione di “posti di lavoro buoni”, caratterizzati da salari elevati. Per certi versi è ancora più interessante notare che il provvedimento contiene una sorta di condizionalità “geo-politica”. Le imprese che godono dei finanziamenti e/o delle agevolazioni previste dal CHIPS Act non potranno infatti delocalizzare attività produttive in Cina e in altri paesi considerati “non affidabili”. Una condizione che conferma una volta di più come la guerra commerciale inaugurata nel 2018 da Trump fosse in realtà una guerra tecnologica nei confronti di Pechino e non è mai cessata.

A distanza di pochi giorni, il 16 Agosto 2022, Biden firma l’Inflation Reduction Act (IRA). L’IRA prevede l’erogazione di sussidi e incentivi (per un totale di 370 mld. USD) con l’obiettivo di promuove la generazione e l’adozione di tecnologie pulite (clean technologies) – dai veicoli elettrici alle pompe di calore per giungere alle piastre a induzione – al fine di accelerare la transizione ecologica. Nello specifico il provvedimento contempla l’erogazione di sussidi erogati sotto forma di crediti di imposta riconosciuti alle attività produttive svolte sul territorio USA e/o che utilizzano input (materie prime o componenti) per lo più realizzati negli USA o eventualmente all’interno di una nazione che abbia sottoscritto un accordo di libero scambio con gli USA.

Ad esempio, la norma relativa all’acquisto di veicoli elettrici prevede l’erogazione di un sussidio condizionato al soddisfacimento di due requisiti: che le autovetture siano fabbricate negli USA; che le autovetture utilizzino componenti per lo più made in USA (tra cui le batterie che costituiscono almeno il 40% del costo di produzione di un’auto elettrica). Più precisamente, il provvedimento prevede che: a)le materie prime fondamentali usate per la fabbricazione della batteria debbano essere estratte almeno per il 40% negli USA (80% a partire dal 2026) o in un paese che ha sottoscritto un accordo di libero scambio con gli USA; b) i componenti della batteria devono essere stati assemblati almeno per il 50% (100% a partire dal 2029) all’interno di uno dei tre paesi del NAFTA.

Secondo le previsioni del Congressional Budget Office, l’implementazione di questa norma genererà un credito di imposta non inferiore a 7,5 mld. di dollari nei prossimi 10 anni. Ciò costituisce un forte incentivo ad acquistare veicoli “puliti” made in USA a scapito di importazioni – benché caratterizzate da un minore costo di produzione pre-sussidio – provenienti da aree come Cina ed Unione Europea. In termini più generali l’IRA si configura come uno strumento in grado di fornire un sostanziale vantaggio competitivo sia alle imprese che al territorio USA (in quanto area dove investire a prescindere dalla nazionalità dell’investitore), per sostenere lo sviluppo di tecnologie legate a fonti rinnovabili.

Le contromisure dell’Unione Europea. A distanza di pochi mesi, nel Febbraio 2023, l’Unione Europea elabora il Green Deal Industrial Plan (GDIP) un piano strategico green volto a raggiungere la neutralità climatica (net-zero emissions) entro il 2050, che costituisce una versione aggiornata dello European Green Deal del 2019. Anche il nuovo piano europeo – fondato su 4 pilastri: semplificazione normativa, accelerazione nei finanziamenti, formazione di adeguate competenze, sostegno alla costituzione di GVCs resilienti – prevede l’obiettivo della “sicurezza nazionale” attraverso la costituzione di catene di fornitura di materie prime opportunamente diversificate e gestite da fornitori affidabili. Inoltre, anche se il GDIP stanzia un ammontare di sussidi di entità simile a quella prevista da IRA, vi sono importanti differenze qualitative tra i due provvedimenti. I sussidi previsti da IRA sono di più semplice attuazione e sono meno dispersivi; ma soprattutto sono discriminatori nei confronti di produzioni straniere.

Non a caso, la Commissione Europea riconosce come il combinato disposto di CHIPS e IRA si ponga in aperta violazione di alcuni principi fondamentali alla base dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (come il divieto di erogare sussidi condizionati a un certo contenuto domestico di valore aggiunto) alterando il piano di gioco della competizione tra USA e resto del mondo, a favore dei primi. Come risposta alla minaccia di discriminazione, gli europei hanno considerato la possibilità di costituire un Fondo Strategico (European Sovereignty Fund). Il fondo – finanziato con emissione di nuovo debito da parte dei paesi dell’Unione – dovrebbe agire da coordinatore degli investimenti tra i diversi stati membri. Il combinato disposto di ampie risorse e di un’azione di investimento coordinata dall’alto dovrebbe presumibilmente garantire dei buoni risultati per il vecchio Continente, colmando in parte gli effetti discriminatori dovuti all’IRA.

Tuttavia, questa opzione sembra al momento essere stata messa da parte per lasciare spazio a dei più semplici aiuti di Stato erogati e gestiti dai singoli paesi sotto l’egida di un possibile EU Clean Tech Act. Il nuovo equilibrio tra USA e UE si configurerebbe quindi come il risultato di una guerra dei sussidi tra le due sponde dell’Atlantico. Alcuni commentatori (ad esempio L. Summers, “Global Economic Outlook. Is This the End of an Era?”, Davos, World Economic Forum, 20 Gennaio 2023) sostengono che in fin dei conti la guerra dei sussidi – diversamente da una guerra dei dazi – non sia un male. Dopo tutto incentiva investimenti utili a sostenere la transizione energetica, contribuendo a favorire processi innovativi in tutto il mondo. In realtà (G. Barba Navaretti, “Aiuti di Stato UE: Perché è Indispensabile Bilanciare il Mercato Unico”, La Repubblica, 12 Febbraio 2023), tale giudizio non sconta l’esistenza di un conflitto tutto interno alla Unione Europea che potrebbe fortemente condizionare il tentativo di mantenere un common level playing field non solo tra le due sponde dell’Atlantico, ma anche all’interno dell’Unione Europea. Non va infatti dimenticata la diversa posizione rispetto agli aiuti di stato/sussidi assunta dai paesi europei, nel tentativo di difendere la integrità (singleness) del mercato unico. Alcuni paesi – tipicamente quelli “virtuosi del Nord” – si oppongono a tale misura in quanto lesiva dei meccanismi concorrenziali. Altri paesi – tipicamente quelli “viziosi del Sud” – sono invece contrari a tale linea di intervento in quanto consentirebbe ai paesi con maggiore spazio fiscale (come la Germania, che si è opposta allo European Sovereignty Fund!) di intervenire di più a sostegno dei propri campioni nazionali. Il primo possibile risultato paradossale di questo conflitto è che i singoli paesi europei procedano in ordine sparso, cercando di bypassare le regole comunitarie in materia di mercato comune (un atteggiamento già visto all’opera all’indomani della crisi finanziaria del 2008) in attesa dello EU Clean Tech Act. Il mercato europeo ne uscirebbe così frammentato. Il secondo esito paradossale è che l’Unione Europea – pur essendo la più grande area esportatrice al mondo – non sarebbe in grado di capitalizzare questa sua posizione in materia di produzione ed esportazione di beni clean.

La conclusione del vertice tra Biden e Ursula von der Leyen, svoltosi lo scorso 10 Marzo, sembra al momento dissipare alcune di queste preoccupazioni. In quella sede i due leader hanno infatti sottoscritto il Clean Energy Incentives Dialogue, il cui obiettivo è il coordinamento dei rispettivi programmi di aiuti per favorire lo sviluppo delle rispettive industrie green. Seguendo la logica di Summers, il raggiungimento della “pace verde” tra le due sponde dell’Atlantico non sarebbe altro che una buona notizia in quanto faciliterebbe l’avvio della transizione energetica all’interno di due grandi mercati come UE e USA. D’altro canto, non andrebbe neppure dimenticato che ciò costituisce una ennesima linea di frattura all’interno del vecchio ordine internazionale fondato sul multilateralismo 

Conclusioni. Le crescenti preoccupazioni espresse su temi quali la sicurezza energetica ed alimentare e la resilienza e la robustezza delle GVC, hanno spinto l’Amministrazione Biden al varo di provvedimenti legislativi dal contenuto protezionistico, giustificati dal tentativo di preservare la sicurezza nazionale e di creare una condizione di isolamento tecnologico a danno della Cina. Tuttavia, il combinato disposto di questi provvedimenti non fa altro che infliggere un nuovo colpo al modello di multilateralismo che ha guidato con successo le relazioni internazionali per diversi decenni. Il rischio di una deriva protezionista è sempre più concreto. Occorre ripensare quanto prima al sistema di regole che guidano le relazioni internazionali (S.Aiyar, 

A. Ilyina , “Geo-economic Fragmentation and the World Economy”, Voxeu.org, 27 Mar 2023).

Schede e storico autori