ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 191/2023

15 Aprile 2023

Le prospettive di crescita della Cina e le probabili conseguenze per gli equilibri globali 

Lisa Magnani partendo dalle previsioni sulla crescita della Cina nei prossimi anni sostiene che sotto molti aspetti sarà rilevante non soltanto il suo ritmo ma anche la combinazione delle sue caratteristiche che appaiono diverse da quelle del passato. Magnani attira l’attenzione sulle crescenti spese militari, sull’impegno nella ricerca e sviluppo e le conseguenze per le innovazioni e le tecnologie, sulla decrescente importanza delle esportazioni e sulle possibili conseguenze per problemi globali come il cambiamento climatico e gli equilibri geo-politici.

Vi sono pochi dubbi sul fatto che la Cina sarà la protagonista di una “onda lunga” di non piccola importanza per gli equilibri globali dei prossimi decenni. Quello che accadrà dipende certamente dal suo tasso di crescita delle cui prospettive si discute molto dopo che il 2022 ha fatto registrare il peggior risultato dagli anni ’70 (‘solo’ il 3 percento) con l’eccezione dell’anno pandemico 2020. E, come fanno ad esempio D.H. Rosen e S. Lu in un recentissimo articolo si teme che l’eventuale rallentamento della crescita cinese, incidendo sulla sua efficienza energetica, possa riflettersi negativamente anche su uno dei maggiori problemi globali, il cambiamento climatico. Ma oltre che sul ritmo di crescita della Cina sembra opportuno prestare attenzione alle probabili caratteristiche di quel processo di crescita perché esse potranno avere rilevanti implicazioni per il contrasto al cambiamento climatico e altre questioni cruciali come i rapporti con gli Stati Uniti e i più generali assestamenti geopolitici. E’ quanto si cercherà di fare brevemente in queste note. 

Ma iniziamo dalle prospettive di crescita. Cerdeiro e Jain-Chandra, economisti del Fondo Monetario Internazionale, in un Rapporto pubblicato nel Febbraio 2023, sostengono che le prospettive di crescita della Cina sono discretamente buone, già a cominciare dal 2023. Infatti (si veda la Fig. 1) si prevedono tassi di crescita del 5,2 percento nel 2023 (contro il 3 percento del 2022) e tra il 3 e il 4 percento negli anni successivi. La crescita cinese potrebbe fare da traino a quella mondiale. 

Figura 1: Tassi di crescita annuali del PIL reale cinese, effettivi e proiezioni del Fondo Monetario Interazionale

Naturalmente, queste previsioni sono esposte al rischio di essere smentite da possibili eventi negativi: pandemie dovute a varianti del virus, l’accentuarsi del declino demografico che potrà ridurre la popolazione rispetto agli 1,4 miliardi di persone attuali con la prospettiva di una futura dissoluzione di quel surplus di lavoratori che in passato è stato così important per la crescita cinese e le traiettorie che seguirà la ristrutturazione economica a livello mondiale.   

Ma, come si è detto, rilevanti saranno anche le caratteristiche della crescita cinese. Esiminiamo le più rilevanti tra quelle che sembrano profilarsi con sufficiente sicurezza. 

La prima riguarda la spesa militare. In un rapporto della Federal Reserve Bank di St. Louis del gennaio 2023, Bandyopadhyay e Grittayaphong esaminano i trend relativi all’incidenza della spesa militare sul PIL nei cinque paesi in cui quella spesa è più alta confrontandoli quelli del paese leader e cioè gli Stati Uniti. I cinque paesei sono:  India, Cina, Russia, Gran Bretagna e Arabia Saudita. Come illustra la Fig. 2, India e Cina dominano la corsa agli armamenti: la spesa militare cinese, sebbene sia ancora circa un terzo di quella statunitense, è cresciuta sensibilmente soprattutto nell’ultimo decennio, mentre la spesa militare dell’India è passata dal 3,1% nel 1992 al 9,6% di quella statunitense nel 2021. E’ di rilievo il fatto che negli altri paesi la spesa militare sia rimasta stabile come percentuale di quella degli USA. Tutto ciò non sarà privo di conseguenze per i rapporti gli Stati Uniti e per gli equilibri geopolitici. 

Figura 2: Spesa militare come percentuale di quella degli USA.

Fonte: Elaborazioni di Bandyopadhyay e Grittayaphong su dati dello Stockholm International Peace Research Institute 

La seconda caratteristica riguarda il ruolo di leader della Cina nell’ambito dell’innovazione e della tecnologia. 

Come sottolinea Paola Subacchi, andando oltre il dato aggregato del PIL si possono individuare i settori di punta della prospettata crescita cinese. Tra questi, meritano una menzione le nuovissime tecnologie nel settore delle telecomunicazioni e l’innovazione dominata da intelligenza artificiale e automazione che caratterizzano in particolare il settore finanziario, quello della difesa e quello delle esplorazioni extra-terrestri. Più in generale sembrano esservi pochi dubbi sul fatto che, in armonia con la strategia del ‘Made in China 2025’ annunciata nel 2015, la Cina riuscirà a essere autosufficiente per almeno il 70 percento della produzione in non meno di 10 settori tecnologicamente avanzati. 

Il ruolo trainante di questi nuovi settori conduce alla terza importante caratteristica della crescita cinese. La quota del PIL destinata dalla Cina alla Ricerca e Sviluppo è aumentata notevolmente negli scorsi decenni: dal misero 0,7 percento del 1991 è passata ad un rispettabile 2,1 percento nel 2017 (la media dell’area OCSE è intorno al 2,4). In termini assoluti, la spesa cinese in ricerca e sviluppo è seconda solo a quella statunitense. Di conseguenza, come ha di recente evidenziato il World Intellectual Property Right Centre basandosi sul Global Innovation Index, la Cina ora è una delle economie dominanti per capacità innovativa tra i paesi a reddito medio -alto.

Tutto ciò invita a riflettere sulla tesi secondo cui la democrazia come normalmente intesa in Occidente è necessaria per realizzare strutture e sistemi di governance in grado di facilitare il cambiamento tecnologico e l’innovazione. Ma qui interessa di più mettere in luce un altro aspetto. 

Grazie anche a questi investimenti in ricerca di base e ricerca applicata, come ha ben illustrato Gary Gereffi (Global Value Chains and Development: Redefining the Contours of 21st Century Capitalism, Cambridge University Press, 2018) la Cina è orientata ad abbandonare il suo tradizionale modello di competitività basato sul basso costo del lavoro. Infatti, le imprese cinesi, spesso organizzate in complessi distretti industriali – come quello di Wenzhou, nella provincia dello Zhejiang, in passato nota per la manifattura di scarpe a basso costo e ora tra i distretti specializzati nella produzione di pannelli solari – si muovono animate da ambiziosi processi di upgrading verso fasi della produzione (come ricerca e sviluppo, logistica e marketing) a più alto valore nella divisione del lavoro internazionale all’interno delle catene di produzione globali. 

Ritornando al tema della transizione ecologica, l’importanza di quest’ultima per la Cina è elevatissima, infatti in sua assenza i costi in termini di caduta del PIL sarebbero enormi (dallo 0,5 al 2,3 percento secondo la Banca Mondiale); ciò contribuisce a spiegare perché già da diversi anni, la Cina è leader nello sviluppo di energia pulita e da tempo ha cominciato ad allentare la sua dipendenza dal carbone, una delle maggiori cause del cambiamento climatico. Peraltro, secondo il recente rapporto della Banca Mondiale Country Climate and Development Report (CCDR) for China  i cambiamenti in atto in Cina in termini di energia, industria, trasporti, urbanizzazione e sviluppo urbano, sono necessari per permettere alla Cina stessa di rispettare i suoi impegni internazionali sul cambiamento climatico entro il 2060. 

La transizione cinese è importante a livello globale perché può favorire la diffusione delle nuove tecnologie adatte a contrastare il cambiamento climatico. Da questo punto di vista sono però degne di attenzione, come spiega Subacchi, le difficoltà di cooperazione tecnologica tra Cine e Usa ed in particolare quelle tra i ricercatori dei due paesi. Peraltro gli ostacoli ai trasferimenti delle tecnologie a livello internazionale, derivanti dalla lotta egemonica tra i due paesi, rischiano di frenare la transizione energetica e ecologica dei paesi a reddito medio che necessitano proprio della diffusione di tecnologie pulite. 

Possono essere quindi di grande importanza le conseguenze della crescita cinese sui rapporti con gli Stati Uniti e, più in generale, sugli equilibri geo-politici, già turbati dalla guerra tra Russia e Ucraina, che ha acuito una frammentazione in atto da diversi anni (i rapporti Cina-USA hanno iniziato a peggiorare già dal 2016). 

Come spesso sottolineato, i termini della gara all’egemonia oscillano tra forza e consenso — in linea con l’interpretazione del concetto di gramsciana memoria. Di fatto, i piani egemonici di Cina e USA non si articoleranno soltanto nell’ambito militare, quello della forza, anche perché quei piani dovranno bilanciare la difficile co-gestione dell’ordine mondiale, con la crescente partecipazione e mediazione di nazioni emergenti come il Brasile e l’India, che sempre più appaiono muoversi sul piano internazionale coscienti del loro peso e dei loro interessi nazionali. Rilevante è, naturalmente, anche l’ambito economico e in particolare per un aspetto messo in rilievo, tra gli altri, da Michael Spence, nel marzo 2023. Si tratta dell’attuale tendenza al consolidamento, con la crescita, del controllo sugli enormi mercati interni cinesi con conseguente riduzione del peso delle esportazioni sulla domanda totale di beni e servizi cinesi. Come ha sottolineato Michael Pettis nel 2022. la gestione dell’economia in Cina si basa su controlli diretti della domanda aggregata, con una netta predilezione per le voci della domanda interna, inclusa quella militare, che sostengono le infrastrutture, la logistica e gli incrementi della produttività. Peraltro, è improbabile che la spesa per consumi dia un impulso alla crescita e la causa principale è l’aumento del debito delle famiglie nell’ultimo decennio per il modo diseguale in cui si sono distribuiti di ‘dividendi’ della crescita. La compensazione verrà, almeno in parte dalla spesa militare. 

Come sottolinea Spence, il 14esimo piano economico della Cina (per il periodo 2021-2025), la tipologia dello sviluppo del suo mercato interno e la riduzione della dipendenza dalla domanda internazionale, hanno anche implicazioni nonstrettamente economiche. Infatti,  la condivisione dei proventi della crescita cinese con gli stati amici sarà sempre più una questione geo-politica, sapientemente calibrata dalla governance cinese e dal suo intelligente mixaggio di soft power e potere economico-militare. Un esempio di questa visione strategica complessiva è la Belt and Road Initiative (BRI) che, annunciata nel 2013, già coinvolge – secondo un rapporto del febbraio 2023 del Council on Foreign Relations – 147 paesi (circa due terzi della popolazione mondiale e il 40% del PIL globale). L’immagine sottostante permette di individuare i paesi di più recente coinvolgimento nella BRI

Sources: Green Finance and Development Center; Green Belt and Road Initiative Center; Belt and Road Portal.

Secondo Spence, c’è il rischio che la ripresa economica sia combinata con strategie volte a dirigere gli effetti di “esternalità” della crescita cinese verso paesi amici, una sorta di creazione di beni-club in chiave geo-politica. Il che dà più di un’idea di quali possano essere i piani cinesi per un nuovo equilibrio internazionale; ma invita anche a riflettere sul ruolo che molti paesi, all’interno dell’Unione Europea ma non solo, possono avere per la costruzione di assetti multi-laterali in grado di contrastare la temuta polarizzazione tra Cina e Stati Uniti. 

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