ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 191/2023

15 Aprile 2023

Riscoprire Richard Kahn. Pensiero e attualità di un economista keynesiano di Cambridge.

Paolo Paesani ricorda Richard F. Kahn, esponente di punta della scuola keynesiana di Cambridge, traendo spunto da un volume di recente pubblicazione. Paesani richiama alcuni aspetti importanti del contributo di Kahn, sul piano analitico e metodologico, e ne illustra l’attualità anche rispetto alla possibilità d’inquadrarli nell’ambito della costruzione di un nuovo approccio classico-keynesiano allo studio dei problemi economici.

Richard Ferdinand Kahn, nato a Londra nel 1905, morto a Cambridge nel 1989, è stato un importante economista britannico, un protagonista del pensiero economico del Novecento, meno noto di altri ma non per questo meno interessante. La recente pubblicazione di una raccolta dei suoi scritti (R.F. Kahn, Collected Economic Essays, a cura di M.C. Marcuzzo e P. Paesani, Palgrave Mcmillan, 2022) offre l’occasione per riaccendere l’attenzione su Kahn e sull’originalità dei suoi contributi. 

Richard Kahn è stato prima di tutto un discepolo di Keynes, come recita il titolo della lunga, bella intervista concessa a Cristina Marcuzzo nel 1987 (R.F. Kahn, Un discepolo di Keynes, 1988, Garzanti) e tradotta di recente in inglese. Il sodalizio, intellettuale e personale, tra Keynes e Kahn inizia nel 1927 quando Keynes segue Kahn come tutor a Cambridge (l’altro tutor è Gerald Shove, economista marshalliano di Cambridge) e prosegue ininterrottamente per i diciannove anni successivi, fino alla morte di Keynes. Sono gli anni della elezione di Kahn a Fellow del King’s College nel 1929 (con una tesi sull’Economia del breve periodo), dell’articolo del 1931 sul moltiplicatore, dell’esordio come insegnante all’Università di Cambridge, del Cambridge Circus, il gruppo di giovani economisti che seguono e incoraggiano Keynes nella gestazione della Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta

Venuto a mancare il suo mentore, Kahn acquisisce progressivamente una sua propria autorità intellettuale nel solco del Keynesismo della scuola di Cambridge. Come ha ricordato Luigi Pasinetti, in un saggio in memoria di Kahn, c’è stato un momento, fra gli anni Cinquanta e i Sessanta, in cui “come Chairman della Facoltà di Economia, Professorial Fellow e Fellow Elector del King’s college, organizzatore del cosiddetto ‘Seminario segreto’, sembrava che tutto il processo di formazione del pensiero economico di Cambridge ruotasse intorno a lui”. A questo impegno, Kahn unisce una presenza costante nel dibattito di politica economica, in Gran Bretagna e all’estero, come testimone di fronte alla Commissione Radcliffe nel 1958, come componente a vita della Camera dei Lord a partire dal 1965, come consulente della FAO negli anni Cinquanta e membro di commissioni economiche internazionali all’OECD e all’UNCTAD. 

Sul piano analitico, l’elemento da cui partire per cogliere il cuore del contributo originale di Kahn, è l’attenzione costante da lui dedicata allo studio del processo di determinazione dei prezzi e dei salari. Sul primo versante, Kahn distingue tra prezzi delle attività finanziarie e prezzi dei beni manifatturieri. Nel primo caso, i prezzi riflettono una forte componente soggettiva, di natura speculativa, legata alla differente percezione dei rischi da parte delle varie tipologie di operatori sui mercati organizzati dei titoli, dei cambi e delle materie prime. Nel caso dei beni manifatturieri, invece, i prezzi si determinano a partire dai costi di produzione, influenzati – a loro volta – delle condizioni di offerta e domanda, dal grado di utilizzo della capacità produttiva, dalla possibile presenza di strozzature a livello settoriale e, soprattutto, dall’andamento dei salari monetari. 

Kahn ribadisce come il salario monetario, nella duplice funzione di elemento dei costi e base del reddito e della capacità di spesa dei lavoratori, sia l’architrave su cui si reggono i prezzi, i redditi e tutte le variabili monetarie, ad esclusione dell’offerta di moneta. Da qui la necessità di fondare una teoria keynesiana dell’inflazione sull’analisi del processo di formazione dei salari rispetto a quello della produttività del lavoro. 

Kahn è chiarissimo nell’evidenziare la natura politica del processo di formazione dei salari, risultato dell’interazione conflittuale fra datori di lavoro e i sindacati. Analizzando questa interazione in Gran Bretagna, Kahn formula la teoria della spirale ‘salari-salari’ come causa primaria dell’inflazione. Si tratta dell’ipotesi che, in un mercato frammentato, domini la concorrenza tra vari sindacati di categoria impegnati a preservare il potere d’acquisto dei salari per i propri iscritti con l’effetto di produrre quella spirale. Di quei sindacati Kahn riconosceva la forza e li considerava eredi di una tradizione gloriosa ma troppo spesso poco lungimiranti nell’avanzare rivendicazioni impossibili. 

Un mercato del lavoro disfunzionale soprattutto se messo a confronto con i mercati del lavoro tedesco e scandinavo, che Kahn giudica positivamente, per la loro capacità di favorire un’interazione tra sindacati e imprese più razionale e costruttiva. 

Da questa diagnosi emerge la conclusione che per ridurre l’inflazione britannica si deve partire dalla riforma delle istituzioni nel mercato del lavoro e dalla razionalizzazione dei processi negoziali, spostando l’attenzione dal salario (come unico obiettivo dei sindacati) alle complessive condizioni del lavoro. Mancando un’azione in questa direzione, il compito di ridurre l’inflazione ricadrà sulle spalle del Tesoro e della Banca centrale, obbligate ad adottare un mix restrittivo tra politica fiscale e politica monetaria, con ricadute negative sull’occupazione, gli investimenti, la crescita della produttività e gli standard materiali di vita. 

Pur nelle evidenti differenze tra gli anni Settanta e oggi, da molti punti di vista (indebolimento dei sindacati, frammentazione delle catene di produzione a livello globale, importanza crescente delle tecnologie digitali), non si possono non cogliere echi delle idee di Kahn nel dibattito recente di politica economica, sui rischi d’inflazione salariale, causate da tensioni sul mercato del lavoro, negli Stati Uniti , in Europa e a livello globale, e sulla necessità di spegnere quelle tensioni con una politica monetaria restrittiva. Kahn si è battuto tutta la vita contro l’idea che l’inflazione vada ridotta aumentando la disoccupazione, non perché questo non sia possibile (lo è, se la restrizione monetaria non vacilla) ma perché è ingiusto e perché esistono alternative migliori, dalla riforma dei processi negoziali con l’obiettivo di ridurre la conflittualità sindacale all’adozione di politiche dei redditi che rendano possibile determinare in maniera coordinata e cooperativa salari, margini di profitti e tariffe pubbliche con l’obiettivo di tenere l’inflazione sotto controllo. Ugualmente importante, per Kahn, è analizzare le condizioni di domanda e offerta per le materie prime e i beni essenziali così da prevenire con strumenti ad hoc strozzature e colli di bottiglia capaci d’innescare rialzi a catena dei costi e dei prezzi anche in assenza di condizioni di pieno impiego a livello aggregato.

Dallo studio delle cause dei processi inflazionistici emerge un secondo elemento analitico importante, che caratterizza il contributo scientifico di Kahn: l’attenzione rivolta alle asimmetrie tra soggetti economici e ai rapporti di potere che di quelle asimmetrie sono la conseguenza. Questo tema compare sia nei saggi di taglio microeconomico, che Kahn dedica alla teoria del duopolio, sia in quelli riguardanti l’economia internazionale. 

Analizzando la parziale attuazione (negli anni Cinquanta) e la riforma (negli anni Settanta) delle regole di Bretton Woods, Kahn insiste sulla necessità di trovare un compromesso accettabile tra liberalizzazione degli scambi commerciali e valutari, equilibrio nei conti con l’estero e mantenimento di uno spazio di autonomia per la politica economica nei diversi paesi. È parte di questa riflessione la consapevolezza che paesi diversi, partendo da gradi di sviluppo diversi, non possono essere trattati allo stesso modo, in nome di un generico richiamo alle virtù del libero scambio e ai vantaggi economici comparati. Anche in questo caso, pur tenendo conto di tutte le differenze del caso, non si può non notare una consonanza tra le idee di Kahn e alcune regole internazionali come le Special and differential treatment provisions che l’Organizzazione Mondiale del Commercio applica ai paesi meno sviluppati. 

Sul piano metodologico, l’approccio di Kahn allo studio dei problemi economici combina un’impostazione logico-deduttiva, per la quale le conclusioni derivano da date premesse e regole, con una forte attenzione per la realtà che lo spinge a rifuggire dall’economia matematica ma anche dall’idea che i dati parlino da sé. Questo approccio si combina con una l’attenzione costante a ricostruire, passo dopo passo, le circostanze che possono spiegare un determinato fenomeno economico. Molta della nota avversione di Kahn nei confronti della Teoria quantitativa della moneta, dell’idea che l’inflazione sia sempre e comunque determinata da un aumento eccessivo della massa monetaria, viene da qui, dalla convinzione che la teoria quantitativa non spieghi davvero perché all’aumento dell’offerta di moneta debba seguire un pari aumento dei prezzi. 

Leggendo i suoi scritti, emerge forte il sospetto che il metodo scelto da Kahn per presentare le sue idee non abbia favorito la loro diffusione all’interno di una disciplina sempre più orientata alla matematizzazione e all’analisi empirica. L’assenza di equazioni, che Kahn non temeva, data la sua formazione iniziale di fisico e matematico, non toglie nulla alla densità e alla profondità dei suoi scritti, obbligando anzi il lettore a un sovrappiù di attenzione. 

Al metodo appreso sui banchi dell’Università di Cambridge, da Keynes e Shove, Kahn si è mantenuto fedele per tutta la vita. Questa fedeltà, elemento cruciale per comprendere il senso generale dei suoi contributi, è solida e lucida al tempo stesso. Kahn ammira Keynes e il suo brillante intelletto ma questo non gli impedisce di criticare alcune delle sue scelte analitiche. Kahn esprime dubbi sulla definizione di disoccupazione involontaria adottata nella Teoria Generale e sulla scelta di Keynes di semplificare l’analisi della domanda di moneta speculativa limitandosi a considerare l’alternativa tra detenere moneta e titoli a tasso fisso, lasciando le azioni (e un’analisi più completa delle scelte di portafoglio) in secondo piano. 

Evidenziare questi elementi è importante per identificare con maggior precisione il contributo di Kahn, pensatore profondo e originale, e la possibilità di legare questo contributo allo sviluppo dell’approccio classico-keynesiano di cui si è parlato di recente sul Menabò. Attenzione verso la realtà (e non solo razionalità astratta) come punto di partenza della teoria economica; coerenza interna e non solo rigore formale come basi della logica economica; attenzione alla differenza tra causalità e interdipendenza nell’analisi dei fenomeni economici; disequilibrio e instabilità come condizioni normali dell’economia industriale, oltre che un forte impegno sociale sono elementi caratteristici del contributo di Kahn. E sono gli stessi del programma che Luigi Pasinetti ha proposto fino alla fine, tenendo viva l’attenzione su Keynes e i Keynesiani di Cambridge.

Questa consonanza di idee non stupisce, visto il forte legame personale e professionale fra Kahn e Pasinetti durato per oltre quarant’anni. Questo legame rientra in una rete più vasta di connessioni tra Kahn e studiosi italiani. Ricordiamo Marco Dardi, autore di alcuni saggi molto importanti su Kahn e curatore della traduzione italiana della sua tesi di Fellowship; Marcello de Cecco (del quale Kahn è stato tutor a Cambridge negli anni Sessanta); Beniamino Andreatta, Giacomo Becattini e tanti altri, per non parlare dei legami tra Kahn e Piero Sraffa. La testimonianza principale di questi legami è l’ultimo libro pubblicato da Kahn nel 1984, The Making of Keynes’s General Theory, che raccoglie il testo, rielaborato, di una serie di lezioni tenute da Kahn all’Università Bocconi, con il patrocinio della Banca Commerciale Italiana, nell’ambito delle Lezioni di Economia intitolate a Raffaele Mattioli.

Il fatto che, nonostante tutto questo, non esista ancora una biografia intellettuale completa di Richard Kahn è indice di una natura ‘elusiva’, per usare l’aggettivo scelto da Paul Samuelson per ricordare proprio Kahn, di una volontà di rimanere in secondo piano rispetto a figure più ‘ingombranti’: Keynes e altri esponenti della scuola keynesiana di Cambridge come Joan Robinson – un altro legame fondamentale nella vita personale e professionale di Kahn – e Nicholas Kaldor. Anche per questo è importante riportare oggi l’attenzione su Richard Kahn e sul suo contributo scientifico. 

 

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