ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 180/2022

16 Ottobre 2022

La spesa delle famiglie italiane per la cultura

Annalisa Cicerchia e Andrea Cutillo esaminano l’andamento della spesa delle famiglie italiane per attività culturali. L’impatto negativo della crisi pandemica su questa spesa è stato molto rilevante; tuttavia, gli autori documentano che questa spesa è caratterizzata da tempo da una forte marginalità, infatti neanche nel periodo di massima espansione ha raggiunto il 3 per cento della spesa totale per consumi. Cicerchia e Cutillo mostrano anche l’influenza del titolo di studio e dell’attività economica svolta su questa spesa.

La spesa delle famiglie italiane per le attività culturali è molto bassa e ciò non dipende dalle vicende degli ultimi due anni collegati alla pandemia. Il fenomeno è di ben più lunga durata e la crisi recente lo ha soltanto aggravato. Un volume recentemente pubblicato dall’Istat (“Tempo libero e partecipazione culturale: tra vecchie e nuove pratiche”) ci permette di conoscere livelli, composizioni e tendenze delle pratiche, dei consumi e della spesa delle famiglie italiane per le attività culturali e l’impatto della crisi pandemica. Qui presentiamo alcuni dei suoi risultati più rilevanti sulla spesa.

Crisi pandemica e spese culturali. I settori culturali e creativi, in particolare quelli fruiti in spazi chiusi, come musei, teatri, cinema, biblioteche, ecc., hanno pesantemente risentito, ovunque nel mondo, della pandemia. L’Unesco stima che tra il 2019 e il 2020 il fatturato del settore nell’Ue-27 più il Regno Unito sia diminuito di oltre il 30% (quasi 200 miliardi di euro).

La casa è diventata il centro pressoché esclusivo del consumo culturale e si è intensificata la domanda di contenuti culturali e creativi in modalità digitale, spesso offerti con accesso gratuito o in versioni a costi più bassi rispetto a quelle convenzionali (per esempio, i libri o i film on demand). Molti musei hanno proposto visite virtuali gratuite e senza limiti di orario, rendendo disponibili contenuti e attività digitali. Ciò ha anche permesso di raggiungere segmenti di utenti che non visitavano i musei fisici per le più diverse ragioni. Oggi ci si interroga su come consolidare queste nuove forme di partecipazione una volta tornati alla configurazione in presenza o in mixed mode.

La spesa delle famiglie ha, naturalmente, risentito di queste modifiche nell’offerta, ma anche dell’impatto che la pandemia e le misure per contrastarne gli effetti hanno avuto sul reddito disponibile e le stesse possibilità di spesa. Come è noto, le misure adottate hanno contenuto la caduta del reddito disponibile ben al di sotto di quella del Pil (-2,8 % contro -8,9 %, nel 2020). Tuttavia, per le limitazioni agli acquisti e alla vita sociale e per il mutamento dei comportamenti, la spesa per consumi è caduta molto più del reddito, dando luogo a un aumento senza precedenti della propensione al risparmio. Le limitazioni agli acquisti hanno, naturalmente, riguardato i beni e servizi ritenuti maggiormente a rischio di favorire la diffusione del COVID-19 oltre che non strettamente essenziali; tra di essi anche le attività ricreative e culturali. 

La diseguale riduzione della spesa per consumi. Dall’indagine sulle spese delle famiglie risulta che la spesa corrente media mensile familiare nel 2020 è diminuita del 9% rispetto al 2019, un dato impressionante, come conferma il confronto con l’intero biennio di crisi 2012-2013, quando il calo complessivo fu del 6,4%. Ridotta del 9%, la spesa familiare ha raggiunto un livello (2.328 euro) che la riporta indietro di 20 anni. 

La riduzione dei consumi non è stata, naturalmente, omogenea tra le varie categorie di beni e servizi. Rispetto al 2019, rimangono sostanzialmente invariate spese difficilmente comprimibili, come quele per gli alimentari e per l’abitazione, mentre, com’era prevedibile, le misure di contenimento hanno portato alle diminuzioni più drastiche nei servizi ricettivi e di ristorazione (-38,9%) e nella Ricreazione, spettacoli e cultura (-26,4) seguiti da Trasporti (-24,6) e Abbigliamento e calzature (-23,3 per cento).

Un aspetto della riduzione dei consumi culturali merita una sottolineatura: il collegamento con l’attività scolastica (praticamente sospesa) attraverso visite a musei e a siti, partecipazione a spettacoli e concerti, ecc. Questa attività, che rappresenta una quota rilevante degli introiti di molte istituzioni e organizzazioni culturali, oltre che una fondamentale esperienza formativa per gli studenti, è venuta meno per la pressoché totale soppressione della didattica in presenza.

Per il 2021, si stima una marcata ripresa della spesa media mensile delle famiglie residenti (+4,7% rispetto al 2020), che raggiungerà i 2.437 euro in valori correnti. I capitoli di spesa in maggiore espansione sono, in prevalenza, quelli che più si erano contratti nel 2020: l’aumento più elevato si ha per il capitolo Servizi ricettivi e di ristorazione (+26,5%, dopo il crollo del 38,9% nel 2020); seguono Abbigliamento e calzature (+13,8%; il calo era stato del 23,3% nel 2020) e Trasporti (+10,8%, contro -24,6% nel 2020). 

Cresce invece solo del 5,9% (99 euro mensili) la spesa per Ricreazione, Spettacoli e cultura, dopo il calo del 26,4% nel 2020. Per conseguenza, essa resta molto lontana dai livelli del 2019 (-22,7%), ed è anzi la più lontana da quei livelli, assieme alla spesa per Servizi ricettivi e di ristorazione (-22%). La spiegazione sta probabilmente nell’estensione al 2021, anche se in forma contenuta, delle limitazioni alla socialità. 

In una prospettiva di lungo periodo, occorre considerare che le risorse tradizionalmente destinate dalle famiglie ai consumi culturali erano già molto scarse, oltre che tendenzialmente calanti, e la crisi rischia di peggiorare la situazione. 

La spesa delle famiglie per Ricreazioni, spettacoli e cultura nel lungo periodo. La spesa media per il capitolo Ricreazione, spettacoli e cultura in valori correnti dal 1997 è in continuo calo. Dai 148 euro mensili iniziali, si è arrivati a un massimo di 161 euro nel 2000, per poi progressivamente scendere al minimo di 121 euro nel 2013. Dopo una fase di stabilità (127 euro nel 2019), si è avuto il crollo del 2020: 93 euro. Comunque, anche escludendo l’anomalo 2020, la spesa è scesa in poco più di 20 anni del 14%; nello stesso periodo la spesa media totale è cresciuta del 17,1%. 

Ancora peggiore è la situazione considerando la spesa media delle famiglie a prezzi costanti. Tenendo i prezzi fermi all’anno di inizio della serie storica, il 1997, il calo di quella spesa al 2019, quindi in poco più di un ventennio, risulta del 29,5%. Va però osservato che a prezzi costanti anche la spesa media totale si è ridotta, ma meno: 19,6%. 

In conseguenza di questi andamenti, si è ridotta la quota di spesa totale destinata a questo capitolo: dal 6,8% del 1997 è scesa al 4,9% del 2011, ed è rimasta stabile a questo livello (nel 2019 era al 5%) prima del crollo del 2020 che l’ha portata al 4,0%. 

Il livello e la composizione della spesa sono ovviamente molto influenzati dalla condizione economica delle famiglie. Come logico, la spesa totale, così come quella per i singoli capitoli, è più alta se la situazione economica della famiglia è migliore. Tuttavia, ci sono capitoli il cui peso è maggiore quando la situazione economica è generalmente peggiore (ad esempio, alimentari e abitazione), e capitoli il cui peso (non soltanto il livello) è maggiore quando la situazione economica è maggiore. È questo il caso dei servizi ricettivi e di ristorazione e delle attività di ricreazione, spettacoli e cultura.

Il ruolo del titolo di studio e della professione. Riferendoci al 2019, dato il carattere anomalo del 2020, osserviamo il ruolo del titolo di studio. Nelle famiglie in cui la persona di riferimento (Pr) ha al massimo la licenza elementare la spesa media dedicata al capitolo Ricreazione, spettacoli e cultura nel 2019 è pari a 45 euro. Sale a 101 euro se la Pr ha un titolo di secondaria inferiore, a 158 se la Pr ha un titolo di studio di secondaria superiore, e a 222 euro se la Pr è almeno laureata. Anche la quota sulla spesa totale risente del titolo di studio: si passa dal 2,7% nelle famiglie con il titolo più basso al 6,2 in quelle con il titolo più alto. 

In relazione alle professioni, sono gli imprenditori e i liberi professionisti a spendere di più per il capitolo (236 euro mensili), seguiti da dirigenti e impiegati (211 euro al mese); tuttavia la quota di spesa di questi ultimi è maggiore: 6,4% contro 6,0%. Per le famiglie in cui la Pr è in cerca di occupazione o inattiva, ma non ritirata dal lavoro, i dati sono inferiori: rispettivamente, 74 e 65 euro per la spesa mensile; 4,0% e 3,6 % per le quote sulla spesa totale.

La spesa culturale in senso stretto. È di interesse concentrare l’attenzione su quella che può essere considerata la spesa per beni e servizi culturali in senso stretto. Alla stima di tale spesa si può giungere eliminando dal capitolo di spesa Servizi ricreativi e culturali le spese per servizi ricreativi e sportivi, e qualche altra voce che difficilmente può riferirsi a spesa culturale.

In termini assoluti, nel periodo tra il 2013 e il 2019, le famiglie hanno destinato all’acquisto di beni e servizi culturali in senso stretto tra i 64 (nel 2013) e i 72 (nel 2016) euro al mese, a fronte di una spesa per il capitolo Servizi ricreativi e culturali tra i 121 (nel 2013 e 2014) e i 130 (nel 2016 e nel 2017) euro al mese. Nel 2020, contestualmente al calo generalizzato della spesa totale, la spesa per cultura scende a 48 euro al mese e quella dell’intero capitolo a 93 euro.

Rapportando i consumi culturali alla spesa complessiva delle famiglie emerge, più che una brusca frenata, una permanente marginalità della spesa per cultura in senso stretto, con valori che nemmeno nel periodo di massima espansione hanno raggiunto il 3% della spesa totale, con oscillazioni di pochi decimi nel corso degli anni, passando da un massimo del 2,9% nel 2016 al 2,7 % nel 2019, e al 2,1 per cento del 2020.

Se si ordinano i consumi in base alla regione di residenza della persona di riferimento della famiglia, al suo livello di istruzione e alla sua condizione professionale, le variazioni rispetto al valore percentuale medio nazionale di una spesa per beni e servizi culturali – che pesa nel 2020 per il 2,1% sulla spesa complessiva delle famiglie – sono significative. Al livello territoriale, solo il Nord-est mostra un piccolo vantaggio (tre decimi in più). Il Mezzogiorno e le Isole si collocano al di sotto della media, rispettivamente dell’1,7 e dell’1,6 per cento. Alcuni casi meritano di essere segnalati: la contrazione più importante si è avuta nella Provincia autonoma di Bolzano, dove la quota di spesa per beni e servizi culturali sulla spesa totale è scesa dal 4,5% del 2013 al 3,2% del 2019 ed è poi crollata all’1,9% nel 2020. La Basilicata ha perduto in un anno più di quanto avesse guadagnato con la titolarità di Matera quale Capitale europea della cultura: dall’1,8 % nel 2013 e dall’1,7% del 2018 si era passati, nel 2019, anche grazie all’ingente investimento europeo e nazionale su produzione e consumo culturale, al 2,3%; ma nel 2020 si è avuto un balzo all’indietro: 1,3%. 

Per le famiglie di dirigenti, quadri, impiegati, l’incidenza della spesa per cultura è scesa dal 3,7% nel 2019 al 2,8% nel 2020. Le famiglie di operai esprimono una spesa per cultura (1,9% della spesa totale) inferiore alla media. Tra le famiglie di imprenditori e liberi professionisti, l’incidenza è del 2,9% (-0,8 punti percentuali rispetto al 2019, più o meno la stessa riduzione dell’intero capitolo di spesa.

Tra i pensionati si registra un crollo all’1,5%, ma anche per loro la riduzione è inferiore rispetto al taglio delle loro spese per ricreazione. Tengono, sebbene con livelli modesti, le spese delle famiglie la cui persona di riferimento è in cerca di occupazione, che passano dal 2% del 2019 all’1,9%. del 2020, e che hanno, invece, sacrificato di più la spesa per svaghi.

Nonostante il mandato Costituzionale alla promozione della cultura, in Italia è purtroppo ormai consolidata l’assenza di politiche coordinate a sostegno della domanda di beni e di servizi culturali. Questa domanda viene lasciata quasi esclusivamente all’iniziativa delle famiglie, sostenute, se e dove possibile, dalla scuola. Tale vuoto di politiche è alla base della modesta entità della spesa culturale, e dei livelli, altrettanto modesti, della pratica della lettura e delle arti, e della frequentazione di luoghi del patrimonio e dello spettacolo. Sono forme gravi di esclusione sociale, che aggravano le disuguaglianze, contribuiscono a isolare i più anziani, e impoveriscono il patrimonio di esperienze, conoscenze e life skill dei più giovani. Anche per questo i dati che abbiamo esaminato dovrebbero occupare un posto ben visibile su uno o più tavoli del governo. 


 [AC1]https://www.istat.it/it/archivio/274580

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