ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 198/2023

1 Agosto 2023

Francesco Vona, Giovanni Marin,

Mercato del lavoro e transizione energetica*

Francesco Vona e Giovanni Marin ci ricordano che la transizione energetica, che è il fulcro del Green Deal europeo e il principale strumento per raggiungere gli obiettivi di mitigazione del cambiamento climatico, ha e avrà un impatto dirompente su alcune industrie e, di conseguenza, sul mercato del lavoro. Con riferimento a questo problema gli autori discutono alcuni fatti stilizzati della relazione tra transizione energetica ed esiti nel mercato del lavoro, prestando particolare attenzione al ruolo delle competenze verdi.

Le trasformazioni strutturali degli ultimi decenni, in particolare la globalizzazione, la digitalizzazione e l’automazione, hanno cambiato profondamente i mercati del lavoro favorendo i lavoratori più qualificati rispetto a quelli meno qualificati oltre che i percettori dei redditi da capitale. Il forte aumento nelle diseguaglianze di reddito ha creato sacche di malessere e malcontento, concentrate nelle aree più esposte ai processi di deindustrializzazione che, in Europa come negli Stati Uniti, hanno ridato linfa a proposte politiche di estrema destra.

La cosiddetta transizione energetica, ossia verso un’economia a zero emissioni nette di gas serra, secondo molti è l’occasione storica per invertire queste tendenze. Il Green Deal Europeo mira a riconciliare la creazione di posti di lavoro ben pagati con la mitigazione dei cambiamenti climatici attraverso massicci investimenti pubblici in vari campi come la generazione di energia da fonti rinnovabili, le tecnologie di stoccaggio, l’efficientamento energetico e l’elettrificazione dei processi industriali. Il termine just transition è diventato centrale nel lessico politico in relazione alla transizione energetica. La Commissione Europea ha riservato il 5% dei fondi per la politica di coesione alle regioni che, a causa dell’alta concentrazione di attività industriali inquinanti, rischiano forti perdite occupazionali – il cosiddetto Just Transition Fund.

L’idea di combinare massicci investimenti pubblici in tecnologie a basse o zero emissioni con un Just Transition Fund nasce dalla consapevolezza che la transizione energetica richiederà da un lato – ed è la sua pars construens –  di creare nuovi posti di lavori in settori o attività verdi e dall’altro – la pars destruens – di distruggere posti di lavoro in attività inquinanti.

Competenze e professioni per la transizione. L’analisi economica fornisce strumenti robusti per studiare le transizioni tra professioni e settori. Sappiamo, ad esempio, che i costi associati al cambiamento sono tanto maggiori quanto meno simili sono le competenze richieste nelle professioni di origine (in declino) e di destinazione (in crescita). Inoltre, possono essere rilevanti gli ostacoli sociali e culturali alla formazione di giovani per le professioni in ascesa: si pensi al problema persistente di attrarre uomini e, soprattutto, donne di talento verso percorsi di studio STEM (Science, Technology, Engineering e Math).

Per applicare queste indicazioni alla transizione energetica occorre, preliminarmente, definire correttamente le professioni “verdi” e le professioni ‘inquinanti’, che (per semplicità e senza altra accezione) chiameremo “marroni”. La questione non è banale per due ragioni. Innanzi tutto, non è chiaro cosa si intenda per “verde”. Possono essere considerate professioni verdi quelle coinvolte in mansioni che riducono gli impatti ambientali dell’attività economica. Esempi classici sono le professioni nella filiera dell’energia eolica che, pur richiedendo acciaio (un prodotto ad alte emissioni di CO2), permettono di ridurre le emissioni del settore elettrico. Inoltre, mancano spesso dati sufficientemente granulari per studiare le dinamiche dei mercati del lavoro di professioni nuove.

Un’importante eccezione è rappresentata dall’Occupational Information Network (O*NET) degli Stati Uniti, la più importante base dati sul contenuto di competenze e sulle mansioni svolte in circa 1000 professioni. O*NET classifica alcune professioni come verdi e, per queste, identifica alcune specifiche mansioni verdi. In alcuni nostri lavori (Vona et al., 2018; Vona et al., 2019) mostriamo come l’informazione sulle mansioni permetta di identificare accuratamente in che misura una professione potrebbe contribuire a ridurre gli impatti ambientali di una certa attività o tecnologia. Una misura continua di esposizione a tecnologie verdi – la quota di mansioni verdi sul totale delle mansioni svolte – è coerente con il cosiddetto approccio delle mansioni già usato per studiare l’impatto delle tecnologie digitali sul mercato del lavoro. Di contro, per identificare le professioni più concentrate in settori inquinanti sono necessari dati dettagliati sulle emissioni settoriali e sulla distribuzione delle professioni in diverse industrie. Anche in questo caso, una misura continua di intensità di emissioni delle professioni permette un’analisi accurata delle dinamiche di aggiustamento alla transizione energetica.

Alcuni fatti stilizzati

1. In anni recenti, la quota totale dei lavoratori impiegati in professioni verdi è stata del 2-3% negli Stati Uniti ed è in linea con la quota di produzione industriale verde misurata in vari paesi industrializzati. Ovviamente questi sono dati storici, destinati a crescere con gli stimoli fiscali verdi in vari paesi. In una valutazione dello stimolo verde introdotto dall’amministrazione Obama nel 2009, la quota maggiore di occupazione viene creata nel settore delle costruzioni, delle riparazioni e della manutenzione di beni capitali ed edifici (Popp et al., 2021).

2. Le professioni verdi sono più intensive di competenze tecniche (legate a percorsi di formazione professionale) ed ingegneristico-scientifiche (spesso di tipo STEM) (Vona et al., 2018). La domanda di tali competenze tende inoltre ad aumentare in risposta a uno stimolo di policy per l’economia verde (Vona et al., 2018; Marin e Vona, 2019). Da notare che l’identificazione delle competenze verdi è possibile solo utilizzando il cosiddetto approccio delle mansioni e che questo è essenziale per guidare i programmi di istruzione e di formazione continua che dovranno supportare gli investimenti degli stimoli fiscali a venire. Popp et al. (2021) mostrano che l’efficacia di lungo-periodo di uno stimolo fiscale verde è del 40% maggiore nel terzo più alto delle regioni Americane in termini di quota di competenze verdi disponibili nella forza lavoro.

3. Poichè le professioni verdi e quelle intensive di emissioni sono diverse è molto importante usare due misure per capire l’impatto della transizione energetica sul mercato del lavoro. Una buona notizia è che le professioni marroni, come quelle verdi, richiedono, in media, alti livelli di competenze tecniche e STEM. Ciò renderà più agevole utilizzare un lavoratore marrone per un mestiere verde. Una cattiva notizia è che comunque le professioni verdi richiedono più formazione continua di quelle marroni, confermando che gli investimenti in formazione tecnica sono parte integrante delle politiche verdi.

4. Dalla distribuzione geografica dei lavori verdi e marroni dipendono in gran parte gli esiti del Just Transition Fund. Dato che le attività più inquinanti sono anche quelle generalmente più esposte alla concorrenza internazionale, il rischio di perdita di posti di lavoro è alto ma sarà probabilmente mitigato dalla nuova politica doganale per i prodotti intensivi di carbonio provenienti da paesi senza regolamentazione (Carbon Border Adjustment Mechanism). Un elemento di preoccupazione è legato al fatto che le attività più inquinanti, sono generalmente localizzate in aree a più basso reddito, mentre quelle verdi tendono a essere meno concentrate geograficamente e in aree a più alto reddito . In Europa, le produzioni di beni industriali verdi sono concentrate in paesi ad alto reddito come la Danimarca e la Germania, che quindi beneficeranno in misura maggiore dei sussidi a questi settori (Bontadini e Vona, 2023).

5. La capacità di creare opportunità di impiego in attività verdi e di attrarre i lavoratori con le competenze adeguate dipende dalla remunerazione e dalle condizioni di lavoro offerte. Nonostante la rapida crescita della domanda per prodotti e servizi verdi, anche grazie a generosi investimenti e sussidi pubblici, i salari pagati ai lavoratori in professioni verdi non risultano particolarmente elevati. In particolare, il premio salariale nelle professioni verdi è modesto rispetto ad occupazioni simili (Vona et al., 2019) e inferiore rispetto alle professioni marroni (Popp et al., 2021). Risulta anche che il premio salariale per i lavoratori STEM è molto più alto se sono impiegati in altre attività (es. nel settore finanziario, Marin e Vona, 2023). L’incapacità di attrarre talenti STEM in attività verdi può impedire di raggiungere gli obiettivi di azzeramento delle emissioni nette di gas serra.

Quali lezioni? Come si è visto in anni recenti, la transizione energetica non può che essere giusta: il movimento dei gilet gialli, ad esempio, nasce proprio in risposta all’incapacità del governo francese di considerare gli effetti distributivi delle politiche climatiche. Il successo delle politiche per una just transition è perciò cruciale per garantire l’accettabilità sociale delle politiche ambientali.

Inoltre, si rendono necessarie anche politiche complementari in grado di favorire l’offerta di fattori essenziali (competenze verdi) e il loro impiego in attività verdi che aumentano l’efficacia degli stimoli fiscali per accelerare la transizione energetica. Tra queste politiche complementari, l’offerta e il supporto pubblico di programmi di formazione professionale mirati a fornire competenze verdi possono contribuire sia a ridurre i costi della transizione verso nuove professioni dei lavoratori più duramente colpiti dalle politiche climatiche che, più in generale, contribuire a un aumento dell’offerta di (scarse) competenze verdi.

Infine, salari minimi e contrattazione collettiva possono aiutare a risolvere il problema del basso premio salariale per le professioni verdi, soprattutto nei settori dei rifiuti e delle costruzioni. Resta il problema, meno facile da risolvere, dell’ampia differenza tra i salari percepiti da un laureato STEM in finanza e nelle professioni verdi, che richiede una riflessione politica più articolata.


* Questo articolo esce in contemporanea su lavoce.info.

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