ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 208/2024

30 Gennaio 2024

Concordato preventivo biennale. Addendum

Ruggero Paladini interviene nuovamente sulla pseudo-riforma fiscale del governo con un breve addendum allo scopo di illustrare le modifiche all’impostazione del concordato biennale preventivo, introdotte dopo la pubblicazione del suo precedente articolo. Paladini sostiene che il previsto accordo tra governo e commissione finanze solleva non poche perplessità e viene in mente un noto personaggio politico della prima repubblica il quale diceva che a pensar male si commette peccato ma spesso si indovina.

Era appena uscita, scorso numero dei Menabò, la seconda parte del mio articolo sulla riforma fiscale del governo, dove si ricordava che del decreto sul tema del concordato biennale non si avevano ancora notizie (a differenza di tutti gli altri); quando la Commissione Finanze del Senato (relatore Fausto Orsomarso, FdI) ha avanzato due proposte, all’apparenza due bei siluri, all’impostazione del concordato preparata dal vice-ministro Maurizio Leo. La prima riguarda l’estensione a tutti i contribuenti IVA del concordato biennale, e non solo a quelli che hanno (almeno) un indice 8 dell’ISA; la seconda limita ad un incremento non maggiore del 10% (rispetto al dichiarato precedente) la somma che può essere proposta dall’Agenzia delle Entrate.

              E’ evidente che con queste proposte la natura della provvedimento cambia notevolmente, e diviene effettivamente un condono preventivo, che premia in misura maggiore chi ha evaso di più, al punto da far venire il dubbio di aver fatto la cosa giusta, proprio a quei contribuenti che hanno ottenuto il punteggio di 8 quale indicatore di un livello di evasione più basso (anche se, probabilmente, non nullo). Ma del resto è di pochi giorni fa una dichiarazione di Salvini secondo il quale l’Agenzia delle Entrate vessa i cittadini.

            A quanto pare il governo sia pronto ad inchinarsi alla volontà del Parlamento, al punto da far venire il sospetto di un accordo preventivo, del tipo: noi non possiamo per bon ton, ma se volete estendere a tutti il concordato, fate pure. Le notizia d’agenzia raccontano che il Consiglio dei Ministri ha varato il decreto sul concordato, accettando l’estensione a tutti gli interessati l’accesso alla proposta, indipendentemente dall’indice ISA. Invece, poiché la Commissione aveva esagerato, ha fatto cadere lo scandaloso limite del 10%, che avrebbe favorito chi ha evaso in maggior misura. Per cui, almeno in teoria, quei contribuenti che hanno un indice ISA più basso dovrebbero ricevere una ipotesi di reddito da parte dell’Agenzia, che presenta un incremento di imposta più alto; pertanto i contribuenti con ISA pari (o superiore) ad 8 dovrebbero avere gli incrementi minori, in quanto si può ragionevolmente presumere abbiano una minore evasione.    

            Giustificando l’estensione erga omnes del concordato preventivo, Leo ha dichiarato che “il problema è legato al numero dei controlli per chi ha un punteggio inferiore all’8: siccome non ne vengono fatti tanti, o li portiamo tutti più su o rischiamo che continuino a non dichiarare”. Va ricordato che nel primo articolo della legge delega si parla de “la piena utilizzazione dei dati che affluiscono al sistema informativo dell’anagrafe tributaria, il potenziamento dell’analisi del rischio, il ricorso alle tecnologie digitali e alle soluzioni di intelligenza artificiale”; adesso apprendiamo che si tratta di un futuro lontano, e che al momento, invece di scatenare la potenza di ChatGPT, si riesce a controllare appena un 5% dei soggetti più proni all’evasione.

            In realtà la possibilità di acquisire una conoscenza molto vicina al vero dei redditi degli operatori economici non è così lontana nel tempo; l’ultima relazione sull’evasione del MEF segnala una diminuzione tra il 2019 e il 2020; la fatturazione elettronica e la paura del Covid –che ha accentuato gli scambi tracciabili – avrebbero determinato una riduzione di circa 13 miliardi, anche se l’evasione degli autonomi rimane sul livello di trenta miliardi. Il problema è la volontà politica di questa destra ad usare gli strumenti che potenzialmente ci sono; e a rinforzare quantitativamente e qualitativamente l’Agenzia delle Entrate.

            Nella versione che dovrebbe uscire col decreto il numero di contribuenti potenzialmente interessati si è triplicato; si aggiungono le partite IVA con indice inferiore ad 8 nonché i quasi due milioni di autonomi che optano per il sistema forfettario. Questi ultimi sono quelli con un volume d’affari non superiore ad 85.000 euro, ai quali il concordato verrebbe proposto, in via sperimentale, per un solo anno. Sia detto per inciso, quel limite ha fatto sparire contribuenti con volume d’affari di poco superiore al limite, con un certo aumento di evasione a quel livello. Sarà ben difficile che l’Agenzia possa proporre il concordato con l’esame di ogni singolo contribuente; i tempi non lo consentono, per cui è più probabile che vengono applicati dei metodi standardizzati.

Rimane da vedere quale sarà l’adesione alla proposta di concordato dei contribuenti. La cosa più logica è che aderiscano quelli per i quali l’imposta da versare sia il linea con quella che hanno già versato. Aumentare in modo sensibile l’imposta da versare nel biennio 2024-2025 a fronte della sicurezza di non essere soggetti a controlli può non valere la pena, visto che le prospettive economiche non si presentano rosee.

La Relazione Tecnica a novembre stimava in 1,8 miliardi le maggiori entrate, mentre ora si mantiene prudente e preferisce attendere e vedere. Venti anni fa anche il governo di allora aveva fatto un tentativo di concordato preventivo, dal quale Tremonti si aspettava buoni risultati, ed era stato un flop. L’idea di ottenere nuove entrate per una futura manovra sull’Irpef, con la legge di bilancio 2025, è destinata a rimanere un pio desiderio.

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