ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 208/2024

30 Gennaio 2024

Politiche europee e nazionali per la transizione verde (seconda parte)

Tiziano Treu nella seconda parte del suo articolo sulle politiche nazionali ed europee necessarie per superare gli ostacoli che incontra il Green Deal sottolinea soprattutto la necessità che l’Unione Europea si impegni per spingere gli stati membri ad adottare le più idonee politiche sociali e i modelli di relazioni industriali che sono maggiormente in grado di spingere le parti sociali a tenere comportamenti che sono in grado di assicurare il raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità ambientale e sociale.

Nella prima parte di questo articolo, pubblicata sullo scorso numero del Menabò mi sono occupato degli ostacoli che il Green Deal europeo incontra nel mondo produttivo e in particolare nel mondo del lavoro. In questa seconda parte la riflessione è concentrata sul ruolo che l’UE dovrebbe svolgere per favorire l’adozione da parte degli stati membri delle politiche sociali, oltre che di modelli di relazioni industriali, conformi agli obiettivi di sostenibilità ambientale e sociale. 

Il necessario sostegno nelle relazioni collettive. La mancanza di una azione europea incisiva si avverte in modo particolarmente acuto nelle materie delle relazioni collettive di lavoro, come rilevano con preoccupazione i sindacati europei.

Il fatto che si tratti di materie ai margini (o al di fuori) delle competenze dell’Unione, non ha impedito alle autorità comunitarie di prendere in passato una serie di iniziative volte a riconoscere l’esercizio di significativi diritti dei sindacati, in materia di informazione e partecipazione nelle imprese nonché ad attivare il dialogo sociale, fino a riconoscere la possibilità di una contrattazione collettiva di rilevanza europea.

Su questa base si è sviluppata fra le parti sociali europee una attività negoziale autonoma in diverse materie attinenti ai rapporti individuali e collettivi di lavoro, che ha arricchito la regolazione sociale acquisita dall’Europa (cfr. M. Peruzzi, L’autonomia nel dialogo sociale europeo, Mulino, 2011). 

Senonché le trasformazioni recenti del contesto economico, tecnologico e politico globale hanno creato difficoltà crescenti all’azione sindacale, riducendone la capacità di incidere in via contrattuale nella regolazione delle condizioni di lavoro, fino al punto di profilare prospettive di vera e propria marginalizzazione dei sindacati o anche di riduzione della loro influenza ad alcuni settori forti della economia, con conseguente crescita di dualismi e diseguaglianze (J. Visser, Trade Unions in the balance, ILO, Working Paper, ACTRAV, 2019).

La ripresa di iniziative di sostegno da parte dell’UE nei confronti dei diritti sindacali, in particolare della contrattazione collettiva, appare necessaria per contrastare il rischio di grave indebolimento di questi istituti, costitutivi, fin dall’ origine, del modello sociale europeo. 

Questo sostegno è tanto più importante oggi per rendere effettiva ed efficace la partecipazione delle parti sociali, insieme alle organizzazioni della società civile, al perseguimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile prospettati dai piani europei.

Questa esigenza di partecipazione è riconosciuta con inusitata chiarezza dallo stesso regolamento europeo (2021/241) relativo alla implementazione dei piani nazionali di ripresa e di resilienza.

Il pieno coinvolgimento delle rappresentanze collettive dei lavoratori è necessario per il rinnovamento condiviso, e quindi duraturo, degli istituti tradizionali del diritto del lavoro e per rispondere alle esigenze delle transizioni ecologica e digitale. 

Come è stato già rilevato il diritto del lavoro deve rinnovarsi non solo per aspetti marginali, ma nello modo di affrontare questioni centrali quali la regolazione dei tempi e dei luoghi delle attività, il rapporto fra sicurezza del lavoro e ambiente, la valutazione delle prestazioni e delle professionalità, oltre le modalità di controllo delle tecnologie incidenti sulle attività umane, gli strumenti della formazione e delle politiche attive per una buona occupazione (Cfr. vari contributi in Labour Law and climate change, a cura di A. Perulli e T. Treu, W. Kluwer, 2023).

Le direttive europee per la sostenibilità ambientale delle attività di impresa. Una serie di iniziative dell’unione si sono dirette recentemente nei confronti delle (grandi) imprese per regolarne la governance e le attività in modo conforme alle esigenze e agli obiettivi della sostenibilità, in particolare della tutela dell’ambiente.

Si tratta della direttiva 2022/2464 (CSRD), che integrando una precedente direttiva (2014/95), impone alla grandi aziende l’obbligo di redigere una rendicontazione di sostenibilità e di divulgare informazioni sui temi ESG relativi all’impatto ambientale, i diritti umani e sociali e aspetti di governance (R. Rota, Implementazione della Corporate Sustainability Reporting Directive 2464/2022, Astrid, n.16/2023, Novembre 2023). 

A questa ha fatto seguito la proposta di direttiva cd. Due diligence (Corporate sustainability due diligenceCSDDD), che impegna le imprese europee a proteggere i diritti umani e dell’ambiente dall’impatto delle attività aziendali, lungo la intera catena del valore, generando quindi una influenza indiretta anche sui paesi extra europei ove le imprese operano attraverso le loro filiere (cfr. M. Libertini, Sulla proposta di Direttiva UE su “Dovere di diligenza e responsabilità delle imprese”, RDS, 2021). 

Per quanto riguarda le attività relative alla attuazione dei piani nazionali di ripresa va infine menzionato il regolamento cd. tassonomia (2020/852), ove si stabilisce che tutte queste attività rispettino il principio di non fare danno significativo (DNSH) agli obiettivi ambientali (C. De Vincenti, Green investements, Two possibleinterpretations of the DNSH, in Luiss Policy Brief 16/2022). 

È da rilevare che le regole europee relative alle attività delle imprese a differenza di quelle sopra menzionate, presentano i caratteri propri della direttiva e del regolamento.

Tale differenza riflette, qui come in altre occasioni, la diversa ampiezza delle competenze dell’UE nelle materie della regolazione della concorrenza e delle imprese rispetto a quelle (ridotte) in materia sociale e del lavoro. 

Si tratta di una sfasatura (decoupling) fra le competenze in queste due materie da tempo segnalata come uno dei limiti, e delle contraddizioni, della costruzione Europea, che inficia la organicità dei suoi ordinamenti e la sua capacità di dare un contributo efficace agli obiettivi di progresso economico e sociale individuati fin dalle sue origini.

Nel caso di specie la stessa effettività dei diritti sindacali pur menzionati nella direttiva due diligence risulta pregiudicata dalle condizioni di debolezza dei sindacati sopra ricordate, cui il diritto dell’unione non offre adeguato sostegno.

La responsabilità degli Stati nazionali per una giusta transizione: la questione delle risorse per le politiche sociali. Ho già ricordato che per sostenere la attuazione degli obiettivi di sostenibilità individuati dalla Unione, in particolare delle transizioni ecologica e digitale, i provvedimenti europei hanno messo a disposizione degli Stati membri ingenti risorse; oltretutto caratterizzate dalla novità di essere raccolte su base solidaristica in un fondo comune dedicato 

Una simile massa di risorse, se tradotta in investimenti ben finalizzati, costituisce un contributo senza precedenti dell’UE alle economie e alla occupazione dei paesi europei, che può imprimere una svolta decisiva nella direzione di uno sviluppo sostenibile.

Queste risorse sono dirette in misura prevalente ad investimenti, per lo più in infrastrutture e alla attuazione di alcune riforme di sistema ritenute essenziali per il raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità: per quote limitate sono destinate a spese sociali, in particolare sotto il capitolo “inclusione e resilienza”. Per esprimere compiutamente la loro efficacia, tali interventi di riforma e di investimento hanno bisogno di essere integrati da appropriate risorse e innovazioni organizzative, anche perché queste spese hanno carattere durevole, mentre le risorse dei piani sono disponibili solo per un periodo limitato (2026). 

Per garantire un funzionamento all’altezza degli impegnativi target posti dai piani nazionali, saranno richiesti non solo interventi di ordinaria amministrazione e di gestione dell’esistente, ma anche qui iniziative nuove di adeguamento e potenziamento organizzativo, con investimenti nei servizi necessari a rendere funzionali le infrastrutture, e soprattutto con la messa a disposizione di risorse umane qualificate per le nuove mansioni richieste dall’economia verde e digitale.

Sono queste attività di accompagnamento e di servizio alle infrastrutture che le rendono effettivamente utili ai cittadini e che permettono di mantenere la promessa del Green New Deal di una transizione giusta al nuovo modello di sviluppo. Oltretutto queste attività sono le più importanti anche per sostenere una crescita durevole con buona occupazione.

La responsabilità per mettere in opera tutti questi interventi, e per rendere disponibili in modo durevole le risorse necessarie, fa capo agli Stati nazionali: in primis alle istituzioni pubbliche ma anche alle imprese e alle parti sociali. 

Sulla capacità delle strutture e delle comunità nazionali di adempiere a queste funzioni di grande complessità si gioca una partita altrettanto rilevante per il raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità, che nell’immediato richiede l’implementazione degli investimenti e delle riforme previsti dai piani di ripresa e resilienza.

La sfida è duplice: riguarda da una parte la disponibilità delle risorse necessarie a sostenere queste funzioni di servizio, a cominciare dalle spese per la assunzione e qualificazione del personale, dall’ altra la capacità di realizzare le innovazioni organizzative e funzionali essenziali per mettere le pubbliche amministrazioni ai vari livelli e le stesse imprese in grado di perseguire con successo gli obiettivi dello sviluppo sostenibile.

La questione delle risorse necessarie a svolgere tali funzioni presenta aspetti di criticità per molti Stati europei, in particolare per il nostro, che risente più di altri del peso del suo alto indebitamento. Già nella prima fase applicativa del PNRR si è manifestata la difficoltà di accompagnare alcuni investimenti del piano (dalla sanità e assistenza, ai servizi per l’infanzia, alla scuola) con adeguate dotazioni di spese di funzionamento e di personale. 

Inoltre il patto di stabilità e crescita appena siglato, pure provvisto di vincoli meno stretti di quello precedente, è destinato ad aumentare i limiti alle risorse disponibili agli Stati anche per questo tipo di spese.

Le responsabilità dell’Unione: più risorse e competenze europee per le politiche sociali. Non posso approfondire questi rilievi. Ma per tornare al tema centrale del mio discorso, gli argomenti fin qui svolti segnalano che se non si vuole compromettere il perseguimento degli obiettivi di sostenibilità ambientale e sociale posti dalla UE, gli Stati nazionali non possono esser lasciati soli nello svolgimento delle funzioni relative al buon funzionamento delle infrastrutture avviate con il NGEU, in particolare nelle attività di servizio e di welfare ai cittadini necessarie per una giusta transizione.

Per sostenere il processo di implementazione di tali obiettivi, le scelte dell’Unione devono mantenere la capacità di coesione e la visione lungimirante dimostrate nel 2020 con l’avvio del Green deal e con il NGEU.

Questo implica anzitutto la necessità di incrementare in modo strutturale le risorse del bilancio europeo, come auspicato, fra l’altro, dalle conclusioni della Conferenza per il futuro della Europa (Cofoe, Conference on the future of Europe, Council of the European Union, 5 march 2021, 6797/21; e relazione sul risultato finale 5 maggio 2022; v. anche il discorso di M. Draghi a Cambridge, Per un’Europa nel futuro, pubblicato su Il Foglio, 13 luglio 2023) , contro i tentativi anche recenti di ritornare alla dipendenza delle risorse della Unione dai contributi contingenti degli Stati membri.

Quanto alle strategie di policy, le analisi qui presentate confermano la urgenza, già rilevata da molti osservatori e protagonisti delle vicende europee (ad esempio nelle conclusioni della Cofoe, proposta n. 14), di rafforzare le competenze e la capacità di intervento dell’unione nelle politiche sociali e nei rapporti di lavoro individuali e collettivi.

Lo storico decoupling fra Europa economica ed Europa sociale ha ridotto di molto la capacità dell’UE di contribuire al benessere dei suoi cittadini, con la conseguenza che molti hanno perso fiducia nelle istituzioni comuni.

Ora le difficili sfide delle transizioni ecologica e digitale rendono più urgente che mai superare questa separazione.

Se non si collega la sostenibilità ambientale con quella sociale tramite politiche innovative di protezione dei soggetti più deboli , di contrasto alle diseguaglianze e di promozione delle capacità individuali e collettive, non solo sì tradiscono i principi scritti nelle nostre carte costituzionali, ma si rischia di rafforzare le resistenze al perseguimento della transizione ecologica e della sostenibilità, di alimentare lo scetticismo sulle possibilità dell’UE di contribuire al progresso comune, se non anche i sentimenti anti europei e sovranisti. 

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