ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 207/2024

14 Gennaio 2024

La pseudo-riforma fiscale (seconda parte)

Ruggero Paladini nella seconda parte del suo articolo sulla riforma fiscale del governo, si occupa del concordato preventivo biennale e dell’adempimento collaborativo. Con riferimento al primo sostiene che esso rappresenta un tentativo di diminuire l’elevato grado di evasione degli autonomi che difficilmente potrà avere successo. Sull’adempimento collaborativo ricorda che esso si rivolge alle grandi società secondo linee internazionali e ritiene che potrà funzionare solo se le capacità dell’Agenzia delle Entrate saranno potenziate a sufficienza.

Nella prima parte di questo articolo, pubblicata sullo scorso numero del Menabò ho esaminato la riforma fiscale del Governo alla luce delle modifiche riguardanti gli scaglioni dell’imposta. In questa seconda parte mi soffermo sul Concordato preventivo biennale e sull’adempimento collaborativo. 

Concordato preventivo biennale. La Nota di aggiornamento al documento di economia e finanza (NADEF) ormai da una dozzina di anni presenta la Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva; vengono fornite stime sui redditi effettivi e dichiarati, e calcolata la differenza, cioè il tax gap in valori assoluti e in percentuale. Per quanto riguarda l’IRPEF nel mondo del lavoro autonomo il tax gap, nel 2020, è stato del 65 per cento (più un 4,6 di dichiarato ma non versato, che pertanto non può definirsi evasione); nel caso delle società (IRES), per lo stesso anno, il gap è stato del 19,8 per cento, molto più contenuto. 

Il vasto mondo delle partite IVA, composto da milioni di piccoli contribuenti, commercianti, artigiani, imprenditori, ha occasione di evadere con vari metodi e lo fa volentieri. A monte delle imposte dirette l’evasione comincia dall’IVA, il cui tax gap è stimato sul 20 per cento (secondo la Commissione europea la percentuale è leggermente più alta, 23) ed è finalizzata a ridurre l’imponibile in sede IRPEF o l’imposta forfettaria al 15%. La legge di riforma introduce una novità: lo strumento del concordato preventivo biennale come modo per ridurre l’evasione ed ottenere quindi un maggior gettito – cosa che si prospetta assolutamente vitale per le future leggi di bilancio, che saranno sottoposte al nuovo patto di stabilità. 

Nelle linee guida della riforma si usano espressioni come “la piena utilizzazione dei dati”, “il potenziamento dell’analisi del rischio”, “il ricorso alle tecnologie digitali e alle soluzioni dell’intelligenza artificiale”. Si potrebbe definire un avvertimento al mondo del lavoro autonomo: “siamo in grado di calcolare esattamente il reddito che percepite, quindi vediamo di trovare un accordo”. 

Il metodo di approssimare i redditi d’impresa tramite parametri oggettivi veniva applicato già ai tempi dell’imposta di Ricchezza mobile che allora consisteva nel riunire gli uffici distrettuali delle imposte dirette allo scopo di esaminare i singoli settori produttivi. Nel 1993 nacquero gli Studi di settore che. con tecniche statistiche, individuavano le relazioni esistenti tra parametri oggettivi e dati contabili delle imprese, al fine di stimarne i ricavi. Ricavi di cui si valutano congruità e coerenza.

Nel corso del tempo si era sviluppata una tendenza da parte degli uffici dell’Agenzia dell’Entrata a considerare i valori calcolati immediatamente come reddito imponibile, con relativi contenziosi e tempi lunghi. Nel 2018 gli studi di settore sono stati sostituiti dagli Isa (Indici di affidabilità fiscale), la cui elaborazione è affidata alla società Sose (Soluzione per il sistema economico) che a gennaio 2024 viene incorporata in Sogei, la società in house del Ministero dell’Economia e delle Finanze. 

Individuati gruppi omogenei di imprese e studi professionali, viene calcolato un indice sintetico, da 1 a 10. Tale indice serve a individuare le imprese o studi che, avendo un indice pari almeno ad 8, possono usufruire di una serie di agevolazioni premiali (per venire esclusi dagli accertamenti basati sulle presunzioni semplici i contribuenti devono avere un indice di almeno 8,5).

Veniamo ora al concordato preventivo biennale. Come si evince dal nome e dai due aggettivi, si tratta di un accordo, tra il contribuente e l’Agenzia, che riguarda due anni – quello in corso e il successivo – dunque, nella prima applicazione il ‘24-‘25. Il concordato vale per i contribuenti cui si applicano gli Isa con un punteggio pari ad almeno 8. I soggetti non devono avere debiti tributari o contributivi, ovvero avere estinto quelli di importo complessivamente pari o superiore a 5.000 euro. L’Agenzia delle entrate entro il 15 marzo definisce il reddito imponibile per l’anno in corso e per quello successivo; entro il 30 giugno, previo contraddittorio con l’interessato, la proposta deve essere accettata. Per quest’anno i limiti sono spostati rispettivamente a fine aprile e al 30 luglio (chissà perché non 31); le associazioni dei commercialisti e l’Istituto nazionale dei tributaristi hanno chiesto di posticipare di 40 giorni le scadenze. 

Se il concordato va a buon fine l’imposta sarà calcolata sull’imponibile pre-determinato e non su quello effettivo (salvo casi eccezionali). Comunque, il contribuente deve svolgere gli ordinari obblighi contabili e dichiarativi previsti dalla normativa fiscale, che, quindi, rimangono in essere. L’Agenzia, da parte sua, non ha interesse a svolgere attività di controllo sui contribuenti concordanti, potendosi quindi dedicare a tutti gli altri, sia quelli esclusi(indice Isa sotto 8) che quelli che hanno rifiutato la proposta.

Quanti sono i soggetti Isa con un indice di almeno 8? I dati messi on line dalla Sose si riferiscono al 2018; le persone fisiche sono di poco superiori a 2 milioni e le società di persone 580.000. Le prime hanno un’affidabilità media di 7,08 e le seconde di 6,67. E’ presumibile quindi che i soggetti con affidabilità di (almeno) 8 siano un numero abbastanza alto, anche se, probabilmente, meno del 50%. Tuttavia, come si è visto in precedenza, il grado medio di evasione di tutti questi operatori è quasi due terzi. Ciò dipende dal fatto che anche alcuni dati strutturali, diversi dai ricavi, possono essere, in parte, ridotti rispetto al vero; ciò vale ad esempio per il numero di dipendenti; un’impresa che dichiari la metà del suo fatturato ricorrerà al lavoro nero. Anche gli acquisti di merci possono essere ridotti con operazioni compiute come consumatori finali, con l’Iva a carico dell’acquirente, e non come impresa. Ovviamente per i ricavi l’operazione di sotto-fatturazione si può fare in modo sistematico. In sostanza anche in questo gruppo di soggetti Isa l’evasione esiste, sebbene sia inferiore al 65% medio. 

Non è peraltro la prima volta che la destra tenta un approccio cooperativo col mondo del lavoro autonomo. Ovviamente, l’interessato si chiederà: quanto mi chiede l’Agenzia in più rispetto al mio attuale grado di compliance? Quale è il rischio che nel biennio le cifre pattuite risultino eccessive a causa di un andamento del reddito minore delle attese? Dal punto di vista dell’erario la scelta è tra chiedere poco in più ed avere maggiori adesioni – e, quindi, un piccolo incremento di gettito – o cercare un’effettiva riduzione del livello d’evasione, col rischio di avere poche adesioni e di nuovo poco gettito. Inoltre gli autonomi sanno, per confermata esperienza, che quelle forze politiche, le quali hanno dichiarato che l’evasione la fanno i grandi gruppi e che lo Stato non deve fare lo sceriffo di Nottingham, non mancheranno di proporre condoni, rottamazioni e così via.

Va detto che, a differenza dell’adempimento collaborativo (di cui si dirà tra breve) per il concordato preventivo biennale non vi è ancora il decreto definitivo; la commissione Finanze della Camera a dicembre ha deciso di rinviare a gennaio l’esame dell’atto del governo per acquisire le memorie scritte di tutte le categorie interessate, da Confindustria ai tributaristi.

Per concludere sul tema delle piccole partite Iva, qualche leggera noia l’ultima legge di bilancio l’ha già data agli autonomi che rimangono in IRPEF; nel 2024 non ci sarà più la flat tax incrementale al 15% che era stata introdotta in via sperimentale con la legge di bilancio dello scorso anno. 

Adempimento collaborativo. Con l’adempimento collaborativo passiamo dal mondo dell’evasione a quello dell’elusione, o abuso del diritto, che si verifica quando l’impresa usa norme di legge per raggiungere finalità diverse da quelle per le quali le norme erano state create. La complessità della normativa riguardante i bilanci e le difficoltà interpretative che sorgono sono tali che, da sempre, su particolari fattispecie, le interpretazioni delle società e dell’Agenzia delle entrate divergono; con conseguenti liti fiscali che si protraggono nel tempo, a beneficio degli studi dei tributaristi. 

Nel 2013 con il «Cooperative Compliance: a Framework – from enhanced relationship to cooperative compliance», l’OCSE ha previsto l’istituzione, per le grandi società, di un Tax Control Framework, cioè di un sistema di controllo del «rischio fiscale», inteso come il rischio di operare in violazione di norme tributarie. Con il Dl del 30-12-2023, n. 221, in attuazione della legge delega, vengono modificate alcune disposizioni contenute nel Dl n. 128 del 2015 (Disposizioni sulla certezza del diritto nei rapporti tra fisco e contribuente) che ha introdotto l’adempimento collaborativo.

Il provvedimento recente mira ad un ampio allargamento della platea di società ammesse, finora limitata a quelle con volume d’affari non inferiore al miliardo di euro. A decorrere dal 2024 il limite scende a 750 milioni di euro per arrivare, dal 2028, a 100 milioni. Inoltre, anche società che di per sé non avrebbero i requisiti dimensionali sono ammesse, se appartengono ad un gruppo di imprese di cui almeno una abbia i requisiti di ammissibilità. Inoltre, varie misure, tra cui l’ approfondimento del contraddittorio e il potenziamento degli effetti premiali sono volte a potenziare l’istituto.

Il numero delle società che verranno progressivamente coinvolte è destinato ad ampliarsi moltissimo; estendere e rafforzare l’adempimento collaborativo può essere un’idea utile, ma il compito risulta difficile. Si tratta cioè di verificare se l’amministrazione fiscale sia in grado di acquisire le risorse tecniche necessarie per gestire centinaia e non più decine di società, nonché di fare fronte alle professionalità di primo ordine di cui tali società si avvalgono.  

Tra le società di maggiori dimensioni vi sono le multinazionali cui saranno applicate le regole della Minimum Tax; con il Dl n. 209 del 27 dicembre 2023, viene recepita la direttiva n. 2022/Ue/2523, di cui mi sono già occupato sul MenabòIl viceministro Leo spera di ottenere due miliardi nel 2025 ma la stima appare oltremodo ottimistica, vista anche la mancata adesione degli USA.

Uno dei punti più delicati, nell’analisi dei bilanci delle multinazionali, è quello del tranfer price (prezzo di trasferimento). Gli acquisti tra società collocate in diverse giurisdizioni ma appartenenti alle stesso gruppo sono infatti uno dei modi principali con cui si possono ‘trasferire’ profitti da una società che si trova in un paese ad alta incidenza fiscale a una società localizzata dove l’incidenza fiscale è più bassa.

La Commissione Europea ha varato un progetto pilota “European Trust and Cooperation Approach (Etaca)” che si focalizza specificamente sui rischi fiscali legati alla materia dei prezzi di trasferimento, stabilendo delle linee guida che si affiancheranno ai programmi di cooperazione già presenti in ambito OCSE, tra cui l’International Compliance Assurance Project (ICAP), nonché ai programmi nazionali di cooperative compliance (tra cui l’adempimento collaborativo del nostro paese). Sarebbe opportuno che le autorità fiscali del nostro paese imparino a padroneggiare bene le tematiche di Etaca.

Conclusioni. Con buona pace del viceministro Maurizio Leo la riforma fiscale del governo Meloni non è neppure lontanamente paragonabile a quella degli anni settanta. Per quanto riguarda i provvedimenti sull’Irpef (che ho discusso nella prima parte) le indicazioni contrastanti si susseguono: da un lato la prospettiva di flat tax, dall’altra una serie di deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta che sono in contraddizione con l’aliquota unica uniforme, e servono solo a cercare di mascherare l’abbandono della progressività. E comunque, anche se del tutto improbabile, si tratterebbe di una flat tax al 23 per cento, e non al 15, di cui restano beneficiari due milioni di partite IVA. 

Anche il concordato preventivo biennale appare un tentativo che non darà grandi risultati sul fronte della riduzione dell’evasione; se fosse poi vero che con la potenza dell’IA sarà possibile accertare il reddito effettivo degli autonomi, e in effetti in prospettiva è così, non si capisce perché quel reddito sia soggetto non all’IRPEF ma a regimi di favore. 

Infine l’allargamento del concordato preventivo può essere l’unico provvedimento utile, purché il passo non risulti più lungo della gamba dell’Agenzia delle Entrate.

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