Il 13 dicembre scorso l’Inps ha diffuso i dati dell’Osservatorio su lavoratori dipendenti e indipendenti, i quali forniscono una panoramica sul mercato del lavoro italiano dal 2014 al 2022. L’Osservatorio integra i dati degli assicurati presso le gestioni previdenziali dell’Inps, restituendo una rappresentazione di oltre il 95% degli occupati regolari in Italia. Le tre variabili oggetto di analisi sono il numero di lavoratori, le settimane lavorate e i redditi da lavoro. Esaminiamo i dati stock-flusso annuali relativi ai lavoratori che hanno versato almeno un contributo nell’anno di riferimento, focalizzandoci principalmente sui redditi da lavoro medi annuali, ovvero la somma di tutti i redditi (e/o retribuzioni) imponibili previdenziali percepiti nell’anno da ciascun lavoratore.
La Figura 1 mostra l’andamento di tali redditi in Italia dal 2014 al 2022. Dai dati nominali (Panel A), si osserva una crescita costante dal 2014 al 2019 (+7,5%), una brusca interruzione nel 2020 a causa della crisi legata alla pandemia da Covid-19 (-5,6% rispetto al 2019) e una successiva ripresa fino al 2022 (+11,1% rispetto al 2020).
Tuttavia, l’analisi basata solo sulla crescita nominale risulta fuorviante, poiché non tiene conto di un elemento cruciale del sistema economico che non eravamo più abituati a considerare: l’inflazione. Gli effetti sui prezzi e il costo delle materie prime, dovuti alla crisi pandemica e al mutato scenario internazionale a seguito dell’attacco russo in Ucraina, hanno portato l’inflazione nel 2022 a raggiungere livelli mai visti negli ultimi tre decenni. Correggendo quindi i redditi per l’inflazione attraverso l’indice armonizzato dei prezzi al consumo (Eurostat, anno base 2015) emerge come i redditi del 2022 siano addirittura inferiori rispetto a quelli del 2014 (-1,4%), con due picchi negativi, nel 2020 (-5,4% rispetto al 2019) e nel 2022 (-4,4% rispetto al 2021).
La forte spinta inflazionistica ha pertanto completamente annullato la crescita dei redditi degli ultimi anni e il notevole recupero del 2021, con un impatto sui redditi medi del tutto analogo a quello del 2020. È importante inoltre sottolineare che, a differenza del 2020, la contrazione del reddito nel 2022 non è stata accompagnata da una contemporanea riduzione della durata dei rapporti di lavoro. Nel 2020, il numero medio di settimane lavorate è sceso a 40,2, rispetto alla media, tra il 2014 e il 2019, di 42,7 settimane. Nel 2022, al contrario, le settimane medie lavorate sono leggermente aumentate (43,1) rispetto al 2014.
Figura 1: Redditi medi annui per i lavoratori italiani dal 2014 al 2022
Focalizzandoci sulle diverse caratteristiche dei lavoratori, emerge chiaramente come le crisi, prima quella pandemica e successivamente quella inflazionistica, abbiano inciso sui redditi in modo differenziato. L’analisi dei redditi per fasce di età (giovanissimi: 15-24; giovani: 25-34; lavoratori maturi: over35) mostra che nel 2020 la riduzione percentuale è pressocchè uniforme per tutte le classi considerate (Figura 2). Nel 2022 sono invece gli over 35 ad essere più colpiti (-4,4% del reddito medio rispetto al 2021 e -5,5% rispetto al 2019). Il persistente divario di reddito per classi di età,influenzato anche dal minor numero di settimane effettivamente lavorate (27,2 per i 15-24enni; 40,6 per i 25-34enni; 45,3 per gli over 35 nel 2022) tende a diminuire negli ultimi 3 anni, seppur in modo lieve, a seguito delle crisi, principalmente a causa della riduzione del reddito reale per i lavoratori over 35.
L’analisi per genere rivela anch’essa differenze significative, mettendo in evidenza le già note disparità economiche tra uomini e donne nel mercato del lavoro. Le donne guadagnano in media oltre 6.500 euro in meno all’anno, per effetto della disparità salariale oraria, del minor numero di settimane lavorate (in media 1,6 settimane in meno rispetto agli uomini) e del maggior ricorso al part-time. Le donne sono state più colpite dalla crisi pandemica (nel 2020 -6,6% rispetto al 2019 contro il -4,4% degli uomini), ma sono state meno danneggiate da quella inflazionistica (nel 2022 rispetto al 2021 la variazione è stata del -3,3% per le donne e del -5,0% per gli uomini).
Figura 2: Redditi medi annui per caratteristiche dei lavoratori italiani dal 2014 al 2022
Notevoli differenze emergono anche analizzando le diverse categorie di lavoratori. I dati dell’Osservatorio contemplano varie tipologie di lavoratori aggregabili in tre macrocategorie: lavoratore dipendente, autonomo e parasubordinato. Nel 2014, i redditi medi annui dei lavoratori dipendenti e dei parasubordinati risultano piuttosto simili, con una differenza di poco più di 1.500 euro all’anno a vantaggio dei secondi (Figura 3). Questa disparità si è acuita notevolmente nel tempo, raggiungendo il picco di oltre 6.000 euro nel 2021. I parasubordinati hanno sofferto maggiormente gli effetti dell’inflazione (calo del 5,4% nel 2022 in confronto con il 2021, contro il -3,6% dei dipendenti) ma meno quelli della crisi pandemica (-1,8% 2020 su 2019, contro il -4,1% dei dipendenti). La categoria maggiormente colpita dalle crisi è però quella dei lavoratori autonomi, particolarmente sensibili agli shock esterni. I loro redditi, che erano cresciuti nel periodo tra il 2016 e il 2019 convergendo verso quello dei lavoratori dipendenti, hanno risentito molto duramente della pandemia (-12,0% nel 2020 rispetto al 2019) anche a causa delle misure restrittive di cui gli autonomi sono stati i maggiori destinatari. Dopo il rimbalzo del 2021, nel 2022 i loro redditi reali subiscono un nuovo calo (-9,6% rispetto al 2021) a causa della crisi inflativa.
Figura 3. Redditi medi annui per tipologia di lavoratori dal 2014 al 2022
È di interesse esaminare le variazioni percentuali dei redditi anche da una prospettiva regionale. Nel periodo 2014-2019, precedente agli shock pandemici e inflazionistici, non emergono tassi di crescita dei redditi particolarmente differenziati tra nord, centro e sud (Figura 4). Piuttosto, si osserva una crescita diversificata tra est e ovest del paese, con le regioni adriatiche e, in particolare, quelle del centro-sud (Molise, Basilicata, Puglia, Abruzzo, Marche, Calabria) che registrano un aumento dei redditi più incisivo rispetto all’area tirrenica. Allargando l’arco temporale all’intero periodo 2014-2022, risulta che solo le regioni del sud del versante ionico/adriatico mostrano nel 2022 redditi medi superiori rispetto a otto anni prima.
Spostandoci sulle variazioni percentuali per anno nel periodo 2019-2022 (Figura 5), si nota che le due crisi hanno determinato cambiamenti repentini ed importanti nei redditi degli italiani, senza differenze significative tra le diverse aree del paese. Nel 2020, la crisi pandemica sembra aver colpito in modo generalizzato i redditi di tutte le regioni, nonostante la prima ondata di diffusione del virus abbia riguardato prevalentemente le regioni del nord. Analogamente, nel 2021 si verifica un rimbalzo relativamente omogeneo: tutte le regioni sperimentano forti incrementi nei tassi di crescita. Infine, la crisi inflativa nel 2022 sembra provocare un calo complessivamente uniforme dei redditi, con le regioni del sud che subiscono forse leggermente meno gli effetti negativi degli aumenti dei prezzi.
Figura 4: Variazioni percentuali dei redditi medi per regione
Figura 5: Variazioni percentuali dei redditi medi per regione
I dati dell’Osservatorio lavoratori dipendenti e indipendenti dell’Inps restituiscono un quadro in chiaroscuro sui redditi dei lavoratori regolari in Italia. Da un lato una crescita che, seppur limitata e distante dai tassi registrati in altri paesi europei, aveva iniziato a manifestrarsi dopo oltre vent’anni di stagnazione dei redditi. Dall’altro, due eventi estremamente traumatici: la pandemia nel 2020 e la crisi inflazionistica nel 2022. Nel primo caso, anche a costo di un imponente dispiego di risorse pubbliche e un nutrito aumento del debito, il sistema paese ha reagito con una rapida ripresa, come dimostrano i dati sui redditi del 2021. Sarà di grande interesse quindi osservare come si evolveranno i redditi nei prossimi anni e se anche alla crisi inflazionistica farà seguito un rimbalzo.
Alcune considerazioni possono però essere avanzate già oggi, e non si tratta di considerazioni particolarmente rassicuranti. In primo luogo, sebbene l’inflazione abbia iniziato a calare nel 2023 resta comunque a livelli elevati rispetto agli anni precedenti al 2022. Per questo motivo, al fine di contrastare l’aumento dell’inflazione, la BCE ha avviato e proseguito durante tutto il 2023 una politica monetaria di significativo aumento dei tassi di interesse, che sembra non avrà conclusione nel breve termine. In secondo luogo, mentre la riduzione dei redditi nel 2020 era stata accompagnata da una diminuzione delle settimane lavorate, nel 2022 le settimane lavorate sono addirittura aumentate. E, nonostante ciò, i guadagni in termini reali sono diminuiti.
Questo solleva seri interrogativi sulla possibilità di innalzamento dei redditi dei lavoratori italiani dopo quasi tre decenni di stagnazione, che hanno portato ad una notevole perdita di terreno rispetto al contesto internazionale ed europeo. La situazione si complica per il persistere delle disparità geografiche tra centro/nord e sud, di quelle di genere tra uomini e donne e quelle intergenerazionali tra lavoratori giovani e maturi. Inoltre, il continuo invecchiamento demografico solleva preoccupazioni sulla sostenibilità del sistema previdenziale, che sarà particolarmente a rischio senza un aumento dei redditi, non solo in termini nominali ma anche reali.