ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 207/2024

14 Gennaio 2024

Se il medico sceglie un solo lavoro

Elena Granaglia riprende un articolo di Giovanni Berlinguer pubblicato nel 1991 sull’Unità che avanza diversi argomenti in difesa dell’esclusività del rapporto di lavoro per i medici dipendenti del Servizio Sanitario Nazionale. Nei suoi commenti all’articolo, Granaglia mette in evidenza la saggezza (oltre che l’attualità) degli argomenti di Berlinguer e lamenta il fatto che essi siano rimasti lettera morta, con la conseguenza di porre costi non indifferenti a carico del SSN.

“Se il medico sceglie un solo lavoro” è il titolo di un articolo di Giovanni Berlinguer pubblicato sull’Unità del 15 novembre 1991 che ho ritrovato mettendo ordine tra vecchie carte. Vorrei qui riproporlo integralmente ai lettori e alle lettrici del Menabò.

«Molti giornali hanno dedicato titoli di prima pagina all’approvazione in Senato della proposta del Pds sulle “incompatibilità” dei medici pubblici. Meno risalto ha avuto un’altra decisione, votata contro il parere del governo; l’impegno a rivedere in tutta l’amministrazione pubblica gli “incentivi”, compensi destinati in origine a migliorare i servizi e falliti in questo scopo. Il significato comune di queste decisioni sta nella volontà di moralizzare, partendo dai rapporti di lavoro, l’attività dello Stato nell’interesse dei cittadini.

Non dovrà più accadere che un malato, rivolgendosi ad un ospedale pubblico, da lui finanziato con le proprie tasse, si senta dire “Non c’è posto, ma il professore ha una casa di cura …..”; oppure “La mettiamo in lista fra tre mesi, ma se vuole fare prima…..; o, ancora, “Gli apparecchi sono guasti , ma qui accanto funzionano…”. Milioni di sofferenti hanno avuto queste risposte e hanno rinunciato a cure necessarie, o han pagato due volte per ottenerle.

La norma approvata è molto chiara: “Con il Servizio sanitario nazionale può intercorrere un solo rapporto di lavoro”, che è incompatibile con altre attività o imprese che abbiano conflitti di interessi col Servizio. Non è una norma punitiva ma stimolante: perché consente ai sanitari di svolgere al meglio una sola attività e perché apre spazi di lavoro ai giovani medici. Non è una norma ideologica, tendente a stabilire che il pubblico coincide col bene e il privato col male: perché fa chiarezza, separa i due settori, consente ogni attività privata e apre la possibilità di passare dal parassitismo alla concorrenza. Non è una norma costosa, perché le somme spese per giungere al “tempo pieno” dei medici saranno largamente compensate dai risparmi derivanti dall’efficienza dei servizi e dalla riduzione delle “convenzioni”.

Tempo pieno: ma di quali attività? L’applicazione delle incompatibilità, da attuarsi entro un anno, implica una riorganizzazione del lavoro sanitario. Può esserci più tempo per il funzionamento a pieno ritmo di costose attrezzature; più impulso per la spedalizzazione diurna e per le attività extraospedaliere, sia in servizi territoriali che a domicilio dei pazienti.

Non mi illudo. Alla difficoltà intrinseca di questi cambiamenti si stanno già aggiungendo resistenze da una parte dei medici, mentre molti altri hanno accolto con favore la decisione. Ci saranno anche tentativi di cancellare alla Camera la norma approvata al Senato, oppure di darne interpretazioni che mantengano le attuali storture. Dovrà esserci un alto senso di responsabilità ad ogni livello – governo, amministrazioni regionali, Usl, categorie professionali- perché sia colta questa possibilità, forse l’ultima, di migliorare il Servizio sanitario; perché ci sia evitato di assistere, poi, all’ennesimo palleggio di responsabilità per le disfunzioni, come è accaduto nei giorni scorsi per la tragedia plurima delle emergenze ospedaliere».

Lo scarto con la realtà. Faceva bene Berlinguer a non illudersi. Nel dicembre 1992, solo un anno dopo la pubblicazione dell’articolo riportato, il Governo Amato, con De Lorenzo Ministro della Sanità, approva il dlgs 52 che, oltre a introdurre la possibilità dell’opting out dal Servizio Sanitario Nazionale, non solo mantiene il pieno diritto alla libera professione extra-muraria, ossia, al di fuori dell’ospedale pubblico (con l’unico vincolo che non sia espletata in case di cura convenzionate oppure all’interno di rapporti che implichino «la compartecipazione di quote d’imprese tali da rendere ravvisabile un conflitto di interessi con il servizio pubblico), ma introduce la libera professione intramuraria, ossia, all’interno dell’ospedale pubblico), imponendo agli ospedali di individuare spazi adeguati all’esercizio, inclusivi di camere a pagamento (fra il 6% e il 12% del complesso dei posti letto). In mancanza di tali spazi, gli ospedali avrebbero avuto un anno di tempo per adeguarsi. Nel frattempo, i medici avrebbero potuto esercitare al di fuori dell’ospedale, in studi e/o case di cura privati, avvicinando, de facto, i due regimi libero-professionali (per una interessante ricostruzione della storia dell’intramoenia, cfr. Geddes).

La Ministra Bindi cerca di porre qualche freno. Introduce l’incompatibilità fra esercizio della libera professione intramuraria dei dipendenti e l’attività libero professionale; vieta l’attività libero professionale extramuraria in strutture sanitarie pubbliche, diverse da quella di appartenenza, o presso le strutture sanitarie private accreditate; introduce l’irrevocabilità della scelta fra esclusività e non esclusività del rapporto di lavoro; impone di riservare gli incarichi di direzione (di reparti, dipartimenti e unità operative) ai medici con un rapporto di lavoro esclusivo con il SSN, sollecitando un uso dell’intramoenia finalizzato alla riduzione delle liste di attesa. Ma la Ministra Bindi viene presto sostituita da due medici il cui obiettivo principale, come documenta Taroni, è quello di “debindizzare” la sanità. Nel 2004, il Ministro Sirchia rimuove sia la non revocabilità della scelta fra esclusività e non esclusività, sostituendola con una norma assai lasca che permette ogni anno, a novembre, di cambiare regime a partire dal gennaio successivo, sia il vincolo dell’esclusività quale condizione per accedere a incarichi di direzione.

Nel frattempo, l’intramoenia continua a essere esercitata al di fuori degli spazi pubblici. Dopo decenni di proroghe, nel 2012, il Ministro Balduzzi prende esplicitamente atto dell’impossibilità di ottemperare alla norma originaria e introduce l’Attività intramuraria allargata. I medici possono svolgere attività intramuraria anche in studi professionali esterni all’ospedale, in tanto in quanto collegati in rete. L’attuale governo, all’interno del decreto bollette, estende poi la possibilità della attività extramoenia agli infermieri.

Anche grazie a queste norme, oggi, un primario di medicina di urgenza con 35 anni di anzianità prende 5-200 euro netti per 13 mensilità (e un giovane internista 2.500 euro), quando il primario del piano di sopra che svolge attività libero professionale extra-murarie può arrivare a 40.000 euro al mese (Cohen).

L’attualità delle osservazioni di Berlinguer. Le sollecitazioni di Berlinguer restano assolutamente attuali. Vorrei portare l’attenzione su alcune di esse. Innanzitutto, Berlinguer obbliga a confrontarsi con la pluralità di principi etici che, se si consente il doppio lavoro – per il pubblico e contemporaneamente per il privato -, rischiano di essere violati e che la moralizzazione dell’attività dello Stato, grazie alla scelta di un unico lavoro, permetterebbe di rispettare. Il riferimento è all’universalità dei diritti e al valore intrinseco dell’accesso ai servizi fondamentali per la salute che la disponibilità a pagare mette a repentaglio. Il che non significa, sottolinea Berlinguer, che il privato sia male in sé. La medicina privata rafforza però il peso della variabile censitaria – solo chi ha soldi può accedervi – e, pur riconoscendo l’ovvia attenzione dei medici privati al valore intrinseco della cura dei propri pazienti, introduce un incentivo a prestare attenzione al valore estrinseco della remunerazione economica. 

Il riferimento è, altresì, alla parità di trattamento. Permettere la libera professione extramoenia implica un sussidio per le organizzazioni private. Contro la sicumera dei difensori della concorrenza, tipicamente i più accessi sostenitori della possibilità di coniugare lavoro dipendente e lavoro libero professionale anche in extramoenia, proprio la concorrenza dovrebbe richiedere la loro separazione. Diversamente, avremmo una finta concorrenza: non si compete in posizioni di parità o, ancora in altri termini, il gioco è truccato. Il privato può fruire di un costo del lavoro minore (in un contesto dove il lavoro è centrale), limitandosi a pagare i medici i con parcelle libero-professionali, gli oneri sociali essendo in larga misura pagati dal pubblico. Una situazione siffatta segnala parassitismo, non concorrenza. Questo vantaggio si aggiunge al fatto che il privato spesso seleziona prestazioni e pazienti, scaricando sul pubblico i malati meno redditizi. Aggiungo come il divieto di lavorare per la concorrenza fosse una delle poche cause di licenziamento con giusta causa degli ospedali previsto dallo Statuto dei Lavoratori.

In secondo luogo, contro la visione dell’inevitabilità dei trade off fra efficienza e equità, Berlinguer sottolinea le tante complementarità fra i due valori. I cittadini evitano di pagare più volte, medici che lavorano per un’unica organizzazione hanno più tempo per dedicarsi ai pazienti e al miglioramento della qualità dell’assistenza che erogano. L’assenza stessa della motivazione del profitto o, comunque, del tornaconto finanziario rappresenta un atout in un contesto, quale è quello sanitario, dove le asimmetrie informative sono dilaganti. In tale contesto, esattamente come scrive Berlinguer, la moralizzazione, ossia l’ethos pubblico, sono superiori sotto il profilo stesso dell’efficienza. La compresenza di non osservabilità della qualità delle prestazioni offerte e movente del profitto o comunque motivazioni finanziarie rischia, invece, di inquinare le scelte (sul tema, cfr. fra gli altri BowlesCarugati e Levi

In terzo luogo, Berlinguer ci mette in guardia da formule vuote. Non basta dire, ad esempio, tempo pieno. Tempo pieno come? Per che cosa? Occorre ragionare sull’organizzazione dell’attività medica. Infine, ultimo punto, come chiama Berlinguer coloro che accedono agli ospedali? Non certo clienti, ma nemmeno utenti. Sono i sofferenti. L’umanità si vede anche da questo.

Certo, cambiare oggi è ancora più difficile di ieri. Da un lato, più di ieri, oggi, è andata radicandosi una visione erronea sia della meritocrazia, secondo cui guadagnare di più segnalerebbe maggior merito sia della libertà. Quest’ultima viene intesa come diritto a fare quello che si vuole, a prescindere da qualsiasi giustificazione verso terzi delle proprie posizioni, come se il mero fatto che qualcuno sia disposto a pagare rappresenti automaticamente un titolo valido all’acquisizione di un maggiore reddito. Dall’altro lato, la sfiducia nel pubblico è alta sia da parte dei medici sia dei pazienti/sofferenti. Il Servizio Sanitario nazionale opera sull’orlo del collasso, con carenze enormi di personale, carichi di lavoro estenuanti, pazienti sempre più arrabbiati per la dequalificazione dei servizi e per i tempi di attesa, contratti di lavoro scaduti, gettonisti superpagati che operano fianco a fianco con dipendenti sottopagati. L’ammontare delle risorse non è tutto, ma sulla base dei dati Ocse, nel 2022, la spesa sanitaria pubblica pro capite in Italia era 873 dollari inferiore alla media europea, e ben 3675 dollari al di sotto di quella tedesca. Tale spesa rappresenta appena il 6,8% del Pil e il Documento di Economia e Finanza ne prevede un calo per gli anni futuri. Tutto ciò mentre, grazie anche alle misure di agevolazione del welfare fiscale, la domanda privata di prestazioni sanitarie è in crescita. In breve, ci troviamo in un contesto in cui un insieme corposo di politiche e di non politiche ha ulteriormente rafforzato la medicina privata.

Il fatto che le indicazioni di Berlinguer non abbiano trovato, allora e oggi, ascolto non è certo sufficiente per metterle in discussione e per considerarle inadeguate ai tempi. Al contrario, se fossero state ascoltate e se ancora oggi si ascoltassero, i tempi potrebbero essere decisamente migliori. 

Schede e storico autori