ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 207/2024

14 Gennaio 2024

Il potere delle grandi imprese e la disuguaglianza globale 

Lisa Magnani riflette sul ruolo che le grandi imprese hanno nel determinare le disuguaglianze a livello globale e la loro tendenza. Con riferimento alla dimensione territoriale Magnani indica l’impatto che i Global Production Network, spesso dominati da grandi multinazionali, hanno sulle disuguaglianze crescenti all’interno di paesi in via di sviluppo e, con riferimento alle disuguaglianze connesse alla distribuzione del reddito tra capitale e lavoro, sottolinea il potere monopsonistico delle grandi imprese.

Non vi sono molti motivi per essere ottimisti e sull’evoluzione della disuguaglianza a livello globale, e un recente rapporto del Fondo Monetario Internazionale aiuta a dare fondamento a questa affermazione. Una delle regioni per non dichiararsi ottimisti è rappresentata dal ruolo che le grandi imprese, soprattutto quelle che operano su scala globale, hanno nel determinare tale disuguaglianza. Un ruolo che non sempre è adeguatamente considerato da questo punto di vista e che è sicuramente rilevante almeno per due motivi. Il primo: le grandi imprese, attraverso la riorganizzazione globale della produzione e dello sviluppo, incidono pesantemente sulla distribuzione di redditi e ricchezze a livello geografico. Il secondo: quelle stesse imprese godono di un potere tendenzialmente monopsonistico nei vari mercati del lavoro che acuisce lo squilibrio tra capitale e lavoro, non solo nei paesi avanzati ma anche in quelli a medio reddito, e contribuisce a ridurre la quota del reddito che va al lavoro. A ciò si può aggiungere almeno la massiccia evasione fiscale che molte di queste imprese, anche grazie al loro potere, praticano, come documenta la prima edizione del Global Tax Evasion Report, pubblicata lo scorso novembre e di cui sul Menabò si sono già occupati Subioli e Maslennikov. Tutto ciò spinge alla considerazione che non si può trascurare il potere, anche monopsonistico, delle grandi imprese se si intende ridurre le disuguaglianze globali. 

La crescita economica dagli anni Ottanta in poi si è caratterizzata anche per i processi di integrazione delle economie attraverso i global production networks (GPN), spesso dominati da potenti multinazionali (Gereffi, 2016), che si sono sviluppati in coincidenza con il declino della disuguaglianza media tra paesi ma anche con l’emergere di profonde disuguaglianze sia territoriali sia all’interno di singoli paesi. 

A quest’ultimo riguardo, come ha di recente illustrato il World Inequality Report , la disuguaglianza è particolarmente acuta nei paesi delle regioni più povere del Sud-Est Asiatico, dell’Africa, del Medio Oriente e dell’America Latina. La figura 1 illustra il rapporto, a livello nazionale, tra il reddito medio del 10 percento più ricco e quello del 50 percento più povero.

Figura 1

Per quanto riguarda la disuguaglianza a livello geografico su di essa hanno inciso i processi di inclusione ed esclusione dall’economia mondiale connessi al fenomeno di uneven development, che  ha radici complesse. Secondo R. Kaplinsky e E. Kraemer-Mbula (“Innovation and uneven development: The challenge for low-and middle-income economies”, Research Policy2022), la globalizzazione economica, e specificatamento lo sviluppo e la diffusione geografica dei GPN nel contesto delle nuove forme di accumulazione capitalistica, hanno innescato meccanismi che generano disuguaglianza oltre che instabilità.

La distinzione tra disuguaglianza all’interno dei paesi e tra paesi qui è di particolare rilevanza. Dagli anni Ottanta, l’integrazione nei GPN è stata più radicale nei paesi che offrivano alle grandi multinazionali leaders delle catene di produzione non solo salari bassi e produttività elevata, ma anche posizioni geografiche strategiche e vicinanza ai mercati emergenti. Non a caso questa riallocazione delle attività produttive ha avvantaggiato paesi come India, Cina e Vietnam nel Sud-Est asiatico e ridotto il peso di Europa e Nord America, e ciò ha contribuito al declino della disuguaglianza globale tra paesi. 

Ma negli anni ’90 si sono avuti cambiamenti significativi dal punto di vista che qui interessa. Come hanno sottolineato recenti studi sociologici, ad esempio quello di H.W. Yeung e N. M. Coe (“Toward a dynamic theory of global production networks”, Economic geography, 2015), in quegli anni, i GPN hanno subito una modificazione strutturale, trasformandosi da un’organizzazione lineare, in cui i legami erano essenzialmente tra l’impresa leader e le altre imprese coinvolte upstream o downstream, ad una struttura a network,quindi con una rete di rapporti tra le varie imprese, che abbraccia intere regioni a livello sub-nazionale. 

Importanti studi di geografia economica, già da tempo, hanno individuato in questa concentrazione di attività produttive intorno ai GPN una causa importante della crescente disuguaglianza geografica anche all’interno di singoli paesi (D. Massey, Spatial divisions of labour: Social relations and spatial structures, Routledge, 1995).

La Fig. 2 si riferisce alle Special Economic Zones in Vietnam e in India. Da essa risulta la disuguale distribuzione territoriale del lavoro, delle esportazioni e anche della mobilità economica. In Vietnam sono interessate aree limitate del Nord, del Sud e della parte Centrale del Paese; in India, soprattutto centri urbani importanti come Noida (Uttar Pradesh state), Falta (West Bengal state), Chennai (Tamil Nadu state) e Cochin (Kerala state). Va aggiunto che in questi territori i danni ambientali sono enormi e, inoltre, che ad essere escluse sono soprattutto zone e comunità dell’entroterra.

Figura 2

Fonti: Source of Asia and India Briefing

G. Gereffi (“The global economy: organization, governance, and development”, in The Handbook of Economic Sociology, a cura di N. J. Smelser e R.Swedberg, Princeton University Press, 2005), esaminando i fenomeni di uneven development in Vietnam e in India ha sostenuto che tali fenomeni sono spesso associati non solo al potere di mercato delle imprese leader dei GPN, ma anche a politiche economiche volte ad attrarre investimenti diretti esteri da parte di multinazionali e disegnate in modo da non poter contrastare lo smisurato potere economico di queste ultime o di mitigarne gli effetti negativi. 

Se i processi di industrializzazione e crescita basati sull’ integrazione nei GPN hanno generato disuguaglianze enormi soprattutto a livello geografico nel Sud Globale, la disuguaglianza di reddito, specialmente – ma non solo – quella tra reddito da capitale e reddito da lavoro, caratterizza molte regioni post-industriali dell’Europa, del Nord America o dell’Australia.

Numerosi studi hanno analizzato il declino della quota del reddito che va al lavoro (ad esempio D. Autor et al., ‘The Fall of the Labor Share and the Rise of Superstar Firms’, The Quarterly Journal of Economics, 2020). In questi studi, il fenomeno è visto in diretta associazione con l’aumento del potere di mercato di poche grandi imprese. Ciò vale in particolare per gli Stati Uniti e l’Australia, dove, a partire dagli anni Ottanta, il mark-up, il divario tra prezzi e costi medi di produzione, è aumentato notevolmente , e quindi i profitti delle imprese sono aumentati ai danni della quota del lavoro. 

E’ ben noto che per molte ragioni, ad iniziare dall’accesso limitato alle risorse finanziarie, le Piccole e Medie Imprese (PMI) non possono contrastare il potere delle grandi imprese e, soprattutto in alcuni settori, finiscono per essere dominate da queste ultime che spesso coordinano anche le attività delle PMI, specie le più fragili. Tutto ciò non è privo di effetti sul mercato del lavoro dove le grandi imprese acquisiscono un potere di carattere monopsonistico tanto maggiore quanto più lo sviluppo è a macchia di leopardo, sia questo dovuto a cause storiche e strutturali o a fattori legati ai GPN. 

Uno studio di W. j. Brooks et al. (“Exploitation of labor? Classical monopsony power and labor’s share”, Journal of Development Economics, 2021), quantifica il ruolo del potere di mercato nel determinare il “markdown” dei salari, cioè il gap tra salario e produttività del lavoro, si tratterebbe di un valore compreso tra il 10 e il 15 percento. Mentre in paesi come il Vietnam, la distribuzione delle attività del settore manufatturiero incide sulla dimensione geografica della disuguaglianza, in paesi come l’Italia e l’Australia, la disuguaglianza risente della terziarizzazione dell’economia legata anche alla localizzazione in quei paesi di servizi di ricerca e sviluppo, marketing e servizio ai clienti nell’ambito dei GPN (si veda per l’Italia, L. Mastronardi e A. Cavallo, “The spatial dimension of income inequality: An analysis at municipal level”, Sustainability, 2020). Se guardiamo questi trend alla luce dell’uneven development emerge che laddove la distribuzione del reddito appare geograficamente più equilibrata, sono più deboli le strutture economiche e sociali che determinano il basso livello dei salari e le limitate prospettive d’occupazione. 

Quanto precede porta alla seguente riflessione conclusiva. Sul piano dell’analisi economica, è necessario un esame delle dinamiche interne ai GPN per comprendere le connessioni causali che generano uneven development. Conoscere meglio le dinamiche dei salari e dell’occupazione in relazione all’ integrazione o esclusione dai mercati globali delle economie locali, facendo tesoro anche dei risultati raggiunti dalla geografia economica è centrale per formulare politiche economiche a sostegno di uno sviluppo più egualitario, che non potranno evitare di affrontare il problema del potere delle grandi imprese.

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