ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 178/2022

14 Settembre 2022

Creazione, distruzione e riallocazione del lavoro nelle imprese italiane: un confronto tra la crisi pandemica e le altre recessioni*

Luca Citino, Edoardo Di Porto, Andrea Linarello, Francesca Lotti, Andrea Petrella e Enrico Sette. esaminando le trasformazioni strutturali del nostro sistema produttivo sostengono che nel corso della crisi pandemica la riallocazione dei posti di lavoro tra imprese è stata di intensità inferiore a quella verificatasi in precedenti recessioni, Gli autori riconducono questo effetto alle misure adottate per preservare il potenziale produttivo e mostrano che gli spostamenti sono stati soprattutto verso i servizi di informazione e comunicazione (ICT) e verso le costruzioni.

Nella lettura degli andamenti del mercato del lavoro ci si concentra tipicamente sulle variazioni dell’occupazione; tuttavia solo con un’attenta analisi dei flussi lordi (ovvero i posti di lavoro creati e distrutti) si è in grado di cogliere le trasformazioni strutturali del sistema produttivo, anche in risposta a shock esterni. Essi hanno infatti effetti spesso diversi fra settori o tipologie di imprese: anche durante una crisi pervasiva come quella da Covid-19, molte imprese hanno ridotto i livelli di attività, mentre altre hanno registrato una crescita occupazionale. 

In questo articolo, che riprende alcune analisi pubblicate qui e qui, valutiamo la capacità dell’economia italiana di allocare in modo efficiente i posti di lavoro tra imprese e settori nell’arco di quasi quarant’anni, avvalendoci di misure sviluppate da una letteratura consolidata (ad esempio Davis e Haltiwanger, 1992). L’idea è che, in qualsiasi momento, nel mercato convivono sia la creazione (attraverso l’entrata o l’espansione delle imprese), sia la distruzione di posti di lavoro (attraverso l’uscita o la contrazione delle imprese), e che queste spinte inducano una continua “riallocazione” dei posti di lavoro tra imprese e settori. La nostra analisi consente, tra l’altro, di caratterizzare gli effetti della crisi pandemica e di evidenziarne le differenze rispetto ad altri episodi recessivi. Da essa derivano almeno quattro importanti risultati.

Il primo è che il mercato del lavoro italiano si caratterizza per un grado di mobilità e dinamismo, misurato dalla riallocazione, in linea con le altre economie avanzate (inclusi gli Stati Uniti), anche se in leggero rallentamento a partire dalla crisi finanziaria globale (2008). Contrariamente a quanto comunemente si pensa, il mercato del lavoro italiano “si muove” e lo ha sempre fatto, spinto della elevata natalità e mortalità delle imprese e dai flussi generati da imprese molto piccole, non soggette ad alti costi di licenziamento, che costituiscono da sempre una parte rilevante della nostra economia. 

Secondo, il confronto tra gli andamenti dei flussi di posti di lavoro nelle fasi recessive degli ultimi quarant’anni (Figura 1) indica che, durante la crisi pandemica, è cresciuta in modo significativo la distruzione di posti di lavoro, a causa dei mancati rinnovi dei contratti a tempo determinato (si veda anche il lavoro di Basso et al, 2021) e dell’aumento nelle dimissioni volontarie.

Durante la pandemia, l’uscita delle imprese dal mercato ha contribuito alla distruzione di lavoro in misura largamente inferiore rispetto a precedenti episodi recessivi; infatti, la mortalità delle imprese si è molto ridotta per effetto delle misure di incentivo e regolamentari introdotte in risposta alla crisi sanitaria. Inoltre, la creazione di posti di lavoro ha frenato bruscamente, sia per la contrazione della natalità delle imprese, sia per l’interruzione dei sentieri di crescita delle imprese esistenti. Occorre, tuttavia, ricordare che la definizione di posto di lavoro utilizzata nelle nostre analisi esclude i cassintegrati a zero ore, in quanto una posizione lavorativa è visibile nei micro dati solo se fornisce un input positivo di lavoro. Questo comporta una sovrastima della distruzione e della creazione di posti di lavoro rispettivamente nel secondo trimestre del 2020 e nel secondo trimestre del 2021.

In sintesi, il dinamismo del sistema produttivo italiano, misurato attraverso la riallocazione dei posti di lavoro (Figura 1), durante la pandemia è diminuito molto più rapidamente che nelle recessioni precedenti, principalmente a causa delle misure dei governi volte a preservare il potenziale produttivo.

Terzo, la crisi pandemica ha determinato una riallocazione dei posti di lavoro tra diversi comparti, coerentemente con la natura settoriale dello shock. In particolare si sono osservati spostamenti verso i servizi di informazione e comunicazione (ICT) e verso le costruzioni. Questi movimenti, nel primo caso, sono scaturiti dai cambiamenti strutturali indotti dalla transizione digitale, e potrebbero portare a conseguenze positive in termini di produttività, nel secondo sono stati influenzati in larga misura dagli incentivi fiscali. 

Da ultimo, la distruzione delle posizioni lavorative durante la pandemia è stata diffusa e ha coinvolto anche le imprese più produttive, ma in misura minore. Questi andamenti sono in linea con quanto osservato in altre economie avanzate dove la dinamica occupazionale è stata, in termini relativi, più favorevole per le imprese più produttive, per i settori ad alto contenuto digitale e con alta propensione all’utilizzo del lavoro agile. 

È ancora presto per valutare quali siano stati gli effetti sulla produttività aggregata della ricomposizione settoriale indotta dallo shock pandemico, non solo perché i settori coinvolti si caratterizzano per livelli di efficienza molto diversi (bassi nelle costruzioni, alti nei servizi ICT), ma anche perché parte di questi spostamenti potrebbero essere transitori, come ci si aspetta per le costruzioni, e parte permanenti, come per i servizi ICT.

L’analisi evidenzia però con chiarezza che un attento esame dei flussi del mercato del lavoro può essere di grande aiuto per comprendere le trasformazioni del sistema produttivo e il contributo che la riallocazione dei lavoratori dà alla crescita della produttività. Governare questi flussi o semplicemente contrastarne i potenziali effetti negativi è compito di una politica che sia in grado di cogliere la complessità del sistema. È per questo che continuare a pubblicare indicatori sui flussi delle posizioni lavorative e migliorare la conoscenza di queste dinamiche può essere di grande aiuto, soprattutto in un paese che ha l’esigenza di far ripartire la sua produttività.

Figura 1 – Creazione, distruzione e riallocazione di posizioni lavorative

Nota: Si definisce creazione di posizioni lavorative la quantità di posti di lavoro che vengono creati dalle nuove imprese e da quelle che si espandono. La distruzione di posizioni lavorative misura quanti posti di lavoro si perdono a seguito dell’uscita dal mercato delle imprese o del ridimensionamento di quelle esistenti. La somma di creazione e distruzione di posti di lavoro è la riallocazione lorda.


*Le opinioni espresse e le conclusioni sono attribuibili esclusivamente agli autori e non impegnano in alcun modo la responsabilità della Banca d’Italia o l’INPS. Questo articolo viene pubblicato in contemporanea su lavoce.info.

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