ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 183/2022

30 Novembre 2022

In ricordo di Gianni Toniolo, maestro della storia economica italiana

Gianni Toniolo ci ha lasciato il 13 novembre scorso. Marco Magnani ricorda non soltanto i suoi fondamentali contributi alla storia economica del nostro paese, ma anche la sua straordinaria passione scientifica e civile.

Ho conosciuto Gianni Toniolo circa trenta anni fa per via di un mio contributo alla Rivista di Storia Economica – fondata da Luigi Einaudi e da poco, grazie anche a lui, ritornata in vita –, che dirigeva con Pierluigi Ciocca. Lavoravo al Servizio Studi della Banca d’Italia. Fu l’inizio di una frequentazione che si fece via via più intensa negli anni. Divenne un’amicizia vera. 

Gianni era ormai un maestro della storia economica italiana, un elemento di punta di un ristrettissimo gruppo di chiarissimo standing internazionale, penso anche a Marcello de Cecco e a Stefano Fenoaltea, entrambi scomparsi in anni recenti. Per la sua formazione l’apporto anglosassone, di metodo in primo luogo, fu essenziale, a cominciare dalla sua esperienza giovanile di post graduate ad Harvard, alla scuola di Gershenkron. Questo filo si irrobustì in diverse forme negli anni successivi, fino a condurlo nel 1996 alla Duke University, dove insegnò fino a non tanti anni fa. In Italia diventò rapidamente un protagonista, prima da Venezia poi da Roma, della ricerca storica sull’economia italiana ed europea, forte di un approccio che puntava sempre più in misura essenziale sull’analisi quantitativa dei dati storici, approccio allora relativamente poco popolare nel nostro paese. Il suo volume sull’economia dell’Italia fascista del 1980 rimane ancora oggi un punto di riferimento imprescindibile per gli storici, proprio in quegli anni impegnati nell’ acceso dibattito sul nesso continuità/rottura delle strutture economiche e sociali della repubblica rispetto a quelle del ventennio. Vi si aggiunse, nel 1988, una sistematica storia economica dell’Italia liberale strutturata con criteri innovatori.

Uno dei punti di aggregazione più importanti della ricerca storica economica italiana si costituì in quegli anni attorno alla Banca d’Italia, il cui ambiente intellettuale Gianni conosceva bene. Fu decisivo l’impulso impresso da Carlo Azeglio Ciampi in vista del centenario della fondazione dell’Istituto, culminato con una serie di volumi sullo sviluppo non solo della Banca, ma indirettamente dell’intero paese. Vi parteciparono, economisti e storici come, cito a memoria, Franco Bonelli, Alberto Caracciolo, Marcello de Cecco, Sergio Ricossa, Luigi Spaventa. Gianni vi svolse un ruolo primario, curando le ricerche sulla Banca d’Italia e l’economia di guerra, sui rapporti fra l’istituto di emissione e il sistema bancario nel periodo fascista, contribuendovi come autore in uno studio sul rapporto fra banca e impresa negli anni Cinquanta, insieme con Giandomenico Piluso e Alfredo Gigliobianco.

Il rapporto di Toniolo con la Banca d’Italia si consolidò sempre più negli anni, divenendo di fatto un consulente scientifico dell’Istituto, come lo erano stati a loro modo, fra gli altri, Franco Modigliani, Federico Caffè, Fausto Vicarelli. Lo testimoniano in tempi più vicini a noi le ricerche da lui dirette sull’Italia e l’economia mondiale dall’Unità a oggi in occasione del 150° anniversario della nascita dell’Italia unita e, nel 2017 insieme con Gigliobianco, sulla concorrenza, il mercato e la crescita in Italia. È di poche settimane fa l’uscita del suo volume sulla storia della Banca d’Italia dal 1893 al 1943, prima parte di un’opera interrotta tragicamente dalla morte di Gianni. 

Sono nell’insieme contributi imponenti per estensione, profondità di analisi, rigore storiografico. A Gianni si devono anche il respiro internazionale, il coinvolgimento di alcuni fra i maggiori storici economici mondiali, la capacità di fare partecipi dei progetti in modo concreto e assiduo tutti coloro chiamati a farne parte, con discussioni senza tesi preconfezionate, aperte al contributo di tutti, dal giovane ricercatore così come all’accademico di fama. Anche in questo Gianni era eccezionale, un vero e proprio organizzatore culturale capace di gettare ponti fra discipline diverse, di cogliere gli spunti più vari da sottoporre al vaglio del metodo scientifico. Un suo tratto caratteristico nella conduzione delle discussioni era quello di giungere, per quanto possibile, alla formulazione di una posizione conclusiva, una base da cui partire che fosse d’ausilio per le ricerche successive, rifiutandola o confermandola. Credo vi contribuisse una sensibilità particolare, non frequentissima in uno storico, per riflessioni che avessero un’utilità anche per le policies attuali, in realtà per la politica tout court. L’interpretazione della storia non può essere disgiunta dal dibattito sul quid agendum. Gianni ne era profondamente convinto: la sua passione scientifica era espressione di una passione civile generosa, tesa a voler sciogliere i nodi irrisolti del presente, a dare una prospettiva a un paese in grave difficoltà. Con la sua morte questa risorsa preziosa è andata in parte perduta; resta la sua lezione, trasmessa in primo luogo a coloro che hanno avuto il privilegio di poter lavorare con lui. 

Gianni è stato un amico raro, ben al di là dei rapporti della professione, con cui spendere anche momenti apparentemente effimeri. Voglio ricordare qui un solo episodio: entrambi “bonapartisti”, non per inclinazione politica ma direi piuttosto per ragioni sentimentali, in occasione della celebrazione del bicentenario della battaglia organizzammo nel giugno del 2015 con un gruppetto variegato di compagni di fede un viaggio a Waterloo (c’erano un altro economista della Banca d’Italia, un pediatra, un avvocato internazionalista e un informatico), paradossale luogo di culto delle glorie napoleoniche. Vi confluirono moltitudini estasiate da tutta Europa, in cui ci confondemmo felici come bambini.

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