ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 187/2023

13 Febbraio 2023

La riforma del Codice dei Contratti Pubblici e la partecipazione civica nel disegno delle opere pubbliche più rilevanti per le comunità locali

Massimo Di Rienzo e Marco Polvani illustrano le modifiche proposte nel nuovo Codice dei Contratti Pubblici che indeboliscono l’istituto del Dibattito Pubblico svilendo la partecipazione civica nella progettazione delle grandi opere pubbliche. I principi ispiratori della riforma richiedono, invece, di potenziare il Dibattito Pubblico ripristinando un organo di controllo, garanzia e trasparenza e rafforzando il confronto con le comunità locali per migliorare le decisioni pubbliche e semplificare la realizzazione delle opere.

In questi giorni le Commissioni Ambiente della Camera dei Deputati e del Senato stanno esaminando lo schema di riforma del Codice dei Contratti Pubblici; il loro parere al Governo è atteso entro fine febbraio. Una revisione normativa molto attesa – elaborata dal Consiglio di Stato e inclusa nelle riforme abilitanti del PNRR – che tuttavia all’articolo 40 indebolisce l’istituto del Dibattito Pubblico, minando i fondamenti della partecipazione civica nel disegno e nella progettazione delle opere pubbliche più complesse e rilevanti per i territori. Cerchiamo di capirne i principi ispiratori e le conseguenze negative su uno strumento che in questi anni – attraverso il confronto acceso con i cittadini e le comunità locali – ha contribuito invece a migliorare il disegno delle opere pubbliche, ad attenuare le potenziali conflittualità a livello territoriale e a semplificarne la realizzazione.

La scommessa della fiducia. L’ipotesi di partenza che ispira larga parte dello schema del Codice dei Contratti Pubblici è chiara: le norme che hanno ristretto la discrezionalità delle stazioni appaltanti in nome della trasparenza, della partecipazione civica e dell’integrità dei processi decisionali hanno anche avuto un pesante impatto sull’efficienza del sistema, allungando i tempi, generando contenzioso davanti ai giudici amministrativi e, in generale, gettando un’ombra di sfiducia sul sistema pubblico.

Questa ipotesi sembra essere dimostrata anche dall’accesa discussione che si è sviluppata intorno alla cosiddetta “paura della firma”, un morbo tutto italico che ha attaccato i centri nevralgici dell’amministrazione pubblica italiana, con particolare riferimento alle stazioni appaltanti. La sfida (nazionale ma anche europea) oggi riguarda l’attuazione del PNRR in tempi rapidi. Occorre quindi “dare fiducia” alle stazioni appaltanti perché, come si legge nella relazione illustrativa del Consiglio di Stato (pag. 15), ogni conferimento di potere (specie se di natura discrezionale) presuppone la fiducia dell’ordinamento giuridico verso l’organo destinatario dell’attribuzione.

Il nuovo “principio della fiducia”, appositamente collocato al vertice della triade dei principi ispiratori dello schema di codice dei contratti, sacrifica sull’altare del “risultato” – principio ispiratore supremo della riforma del Codice – anche il “principio di concorrenza”, funzionale al conseguimento del miglior risultato possibile (art. 1 comma2), e della “trasparenza”, che diventa funzionale alla massima semplicità e celerità nella corretta applicazione delle regole del codice e ne assicura la piena verificabilità” (art. 1 comma 2).

Sul fronte della partecipazione civica, la scommessa della fiducia si gioca attraverso il restringimento degli spazi per il Dibattito Pubblico, uno strumento di informazione, partecipazione e confronto che si è dimostrato invece fondamentale nei processi decisionali relativi alle opere pubbliche di rilevante impatto economico, sociale e ambientale. La partecipazione civica, gestita con capacità e integrità, ha l’effetto di consolidare il rapporto di fiducia con le istituzioni, creando un confronto con le comunità locali per prevenire i conflitti e migliorando la progettazione delle opere. Al contrario, l’assiomatica idea di “fiducia” proposta dal Consiglio di Stato rischia di generare l’effetto opposto: si dà per scontato che l’amministrazione perseguirà sempre e comunque il miglior interesse per i cittadini.

Nella nostra esperienza la fiducia si guadagna sul campo. Ci fidiamo di un decisore pubblico che metta le proprie conoscenze e capacità al servizio del processo decisionale, che abbia piena consapevolezza del suo ruolo di agente pubblico, che sappia riconoscere e gestire i conflitti di interessi, che assuma uno stile relazionale in linea con quello indicato, ad esempio, dal metodo del Governo Aperto .

Il rischio di depotenziare il dibattito pubblico. La riforma del Dibattito Pubblico, come delineata dall’articolo 40 dello schema del Codice dei Contratti Pubblici in esame al Parlamento, presenta numerose criticità sotto il profilo della neutralità, trasparenza e natura partecipativa dell’istituto. La più evidente criticità dell’articolo è riscontrabile nella mancata menzione della Commissione Nazionale per il Dibattito Pubblico, di cui pertanto viene lasciata presupporre l’abolizione (come da Relazione del Consiglio di Stato  sull’art. 40, a pag. 60). La Commissione Nazionale Dibattito Pubblico è un organo di controllo, garanzia e trasparenza (DPCM 10 maggio 2018 n. 76, art. 4) per monitorare il corretto svolgimento dei dibattiti, raccogliere e divulgare informazioni sulla loro attuazione e proporre raccomandazioni per migliorarne la funzionalità. Si tratta, pertanto, di un istituto indispensabile per la corretta esecuzione di dibattiti, la cui mancata previsione marca un grave arretramento sulla terzietà e neutralità della procedura. In assenza di un organo di controllo indipendente, infatti, i ruoli strategici di indizione del dibattito, di nomina del suo responsabile e di controllo dello svolgimento rimangono in capo alla sola stazione appaltante, che è parte in causa nella procedura e quindi non può garantirne la terzietà. In base alla nuova normativa, inoltre, i requisiti di neutralità non possono essere garantiti neppure dal Responsabile del Dibattito Pubblico, il soggetto incaricato di progettare e gestire il processo partecipativo, poiché è esso stesso nominato dalla stazione appaltante e spetta a lui il compito non neutrale di indicare le proposte e le osservazioni ritenute meritevoli di accoglimento (art. 40, comma 5).

La presenza di un soggetto terzo garante della correttezza delle procedure e dei diritti dei partecipanti è una componente essenziale di ogni istituto partecipativo, perché garantisce i requisiti di neutralità senza i quali viene minata la credibilità stessa del processo. Nel caso del Dibattito Pubblico, pertanto, la Commissione Nazionale non solo non dovrebbe essere abolita, ma dovrebbe essere rafforzata per farne un’autorità maggiormente indipendente, aperta anche a rappresentanze della società civile e dotata delle necessarie risorse organizzative per poter funzionare, come nel caso della Commission Nationale du Débat Public francese. Per garantire maggiore neutralità alla procedura, inoltre, dovrebbe essere la stessa Commissione, e non la stazione appaltante, a nominare il Responsabile del Dibattito Pubblico, attingendo da un elenco di Coordinatori da essa stessa istituito, come del resto previsto dal DL 77/2021 per i Dibattiti Pubblici delle opere PNRR.

L’abolizione della Commissione Nazionale per il Dibattito Pubblico non è l’unica criticità presente nella riforma inserita nel nuovo codice dei Contratti Pubblici, poiché anche sotto il profilo della partecipazione civica si riscontrano elementi di grave arretramento rispetto alla normativa attuale. Il comma 4 dell’art. 40 limita la possibilità di intervenire nei dibattiti ai soli enti pubblici locali e ai portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati cui possa derivare un pregiudizio dall’intervento. Vengono quindi esclusi dalla partecipazione i singoli cittadini, le comunità e gli stakeholder locali comunque organizzati, in palese contraddizione con regolamenti internazionali recepiti dall’Italia come, ad esempio, la Convenzione di Aarhus. Inoltre, nell’Allegato 1.6 (art. 4, comma 4) vengono abolite anche le possibilità di discussione e contraddittorio tra i già pochi soggetti legittimati a partecipare, in quanto si prevede la partecipazione solo attraverso osservazioni scritte inviate tramite strumenti informatici e nel termine perentorio di 60 giorni. Nella riforma in discussione, pertanto, si esclude a priori ogni fase dibattimentale tra le parti, nonché la creazione di quegli spazi strutturati di argomentazione costruttiva che sono la caratteristica di ogni percorso partecipativo. 

In sostanza, con l’articolo 40 dello schema del Codice dei Contratti, il legislatore dimostra di non credere che la partecipazione aperta possa migliorare il disegno e le progettazioni delle opere pubbliche e al contempo attenuarne le conflittualità, al contrario risulta chiaro il pregiudizio (inteso nel senso letterale di giudizio non comprovato dai fatti) di ritenere che il coinvolgimento partecipativo rappresenti la causa della lentezza delle decisioni. L’analisi e il monitoraggio dei Dibattiti Pubblici effettuati fino ad oggi smentisce in realtà tale preoccupazione. Nella relazione “Il Dibattito Pubblico in Italia a due anni dalla sua attuazione ” redatta dalla Commissione Nazionale per il Dibattito Pubblico si evince chiaramente che i dibattiti pubblici svolti in questi anni, non solo non hanno determinato un allungamento dei tempi, ma in taluni casi hanno consentito l’accoglimento delle proposte emerse nei territori, evitando eventuali contenziosi futuri e semplificando la realizzazione delle opere.

Dall’analisi delle esperienze di questi anni risulta pertanto chiaro che per fare del Dibattito Pubblico uno strumento efficace nei processi decisionali relativi alle opere pubbliche di grande rilevanza e complessità, contribuendo a migliorarne la progettazione iniziale, a mitigare i conflitti territoriali e a garantire tempi certi di attuazione, non occorre restringerne le tempistiche o le possibilità di partecipazione da parte dei cittadini. È necessario piuttosto potenziare ed estendere l’istituto a tutte le opere di rilevanza economica, sociale e ambientale rafforzando il coinvolgimento e la partecipazione delle comunità locali e dei soggetti interessati attraverso un processo di informazione, di confronto e di contraddittorio, costruttivo e ben disciplinato.

Niente di tutto questo è però presente nella riforma in discussione. 

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