Il 24 e 25 maggio 2023 si è tenuto a Milano, in Università Cattolica, il convegno “80 years of Joseph Stiglitz” organizzato da Domenico Delli Gatti (Università Cattolica), Mauro Gallegati (Università Politecnica delle Marche, Ancona) e Martin Guzman (Columbia University, New York). Stiglitz ha voluto celebrare il suo ottantesimo compleanno con un convegno relativamente piccolo – una quarantina di presentazioni in sessione plenaria, fatte da amici, colleghi e co-autori provenienti prevalentemente (ma non solo) dall’accademia – sui temi che ha affrontato in una vita di contributo appassionato alla ricerca scientifica e al dibattito pubblico. Al termine di ciascuna sessione, Stiglitz non ha mancato di fare i suoi commenti su ogni singolo lavoro presentato, di dare suggerimenti, di aprire nuovi spiragli di ricerca, con la vivacità e l’entusiasmo di un giovanotto. I contributi daranno vita a un libro che assumerà quindi la connotazione di un vero e proprio Festschrift.
In una professione come quella degli economisti, che si è caratterizzata negli ultimi decenni per una specializzazione sempre più spinta, Stiglitz spicca per la straordinaria capacità di esplorare con lo stesso rigore e creatività tutti i campi dello scibile economico (con l’unica eccezione dell’econometria). Il programma del convegno riflette bene lo spettro dei suoi interessi di ricerca recenti: gli effetti del cambiamento climatico e le politiche per contrastarlo, l’economia come un sistema complesso caratterizzata da interazioni di rete e la diffusione del rischio, i problemi del sottosviluppo e il ruolo della globalizzazione, la diffusione della conoscenza e del progresso tecnico, l’analisi dell’origine e del consolidamento del potere di mercato e della diseguaglianza.
A metà del convegno, Stiglitz ha pronunciato la Lectio Magistralis della Facoltà di Economia dell’Università Cattolica dal titolo “An economy for a just, free, and prosperous society”. Si tratta di una riflessione di ampio respiro, che sfrutta al meglio l’armamentario concettuale degli economisti per fare interessanti incursioni anche nell’ambito della filosofia morale e della scienza politica.
Stiglitz parte dalla critica serrata del neoliberismo così come si è configurato negli anni di Reagan e Thatcher. I sostenitori di questa concezione socio-economica perseguono la eliminazione dei vincoli che limitano i mercati e la riduzione dell’intervento pubblico al minimo per sviluppare al massimo il potenziale di crescita del capitalismo “unfettered” (non regolato o, per usare un aggettivo caro a Romano Prodi, non temperato). Quarant’anni dopo, è chiaro che il neoliberismo non ha dato risultati positivi nel perseguimento di una “good society” o almeno di una “better society”, rivelandosi quella attuale poco sostenibile dal punto di vista economico-sociale, politico e ambientale.
Ma cos’è una “buona società”? Stiglitz ne dà una definizione intuitiva. Innanzitutto, l’economia deve servire la società e non viceversa. Una buona società è inoltre popolata da individui liberi di fare le loro scelte, che vivono all’altezza del loro potenziale, che esercitano la loro creatività, che interagiscono con gli altri essendo consapevoli degli effetti (esternalità) positivi o negativi che le loro attività possono comportare. In una buona società quindi, la disuguaglianza, in tutte le sue dimensioni (anche quella intergenerazionale), deve essere limitata mentre devono essere ampliate le opportunità di dispiegare compiutamente il proprio potenziale. Una buona società, in altri termini, è sostenibile in tutte le sue dimensioni: economica, sociale, politica e ambientale.
Sotto il profilo economico-sociale il capitalismo non vincolato, anziché creare crescita di reddito e ricchezza per tutti, ha favorito l’emergere di enormi disuguaglianze. Questa critica è implicitamente radicata nel contributo rivoluzionario che Stiglitz ha dato all’economia dell’informazione e che gli è valsa il Nobel nel 2001 (assieme a George Akerlof e Michael Spence). Il risultato fondamentale del paradigma prevalente è che mercati liberi – ossia mercati competitivi, ben funzionanti e completi, in cui l’informazione è perfetta (o almeno simmetrica) – generano risultati efficienti, senza intervento pubblico. Ma le economie reali sono afflitte da esternalità, informazione imperfetta, mercati incompleti, inefficienze pervasive e persistenti. In questo contesto, pochi individui diventano ricchi sfruttando il potere di mercato e i vantaggi informativi (due facce della stessa medaglia), e impedendo ad ampi segmenti della società di sfruttare appieno il proprio potenziale. Per questo motivo, le questioni dell’efficienza (che sono la preoccupazione centrale della riflessione degli economisti di scuola neoclassica) non possono e non devono essere separate da quelle dell’equità: l’emergere della disuguaglianza deve assumere un ruolo centrale nella riflessione degli economisti. Un sistema efficiente che è altamente diseguale può essere “peggiore” – secondo un criterio che deve essere rigorosamente definito – di un sistema inefficiente che offre maggiore uguaglianza. Stiglitz sostiene che con funzioni di utilità ragionevoli, al margine, la società sarebbe disposta a rinunciare a molta efficienza (misurata, ad esempio, come perdita di PIL) per un aumento marginale dell’uguaglianza.
Quando si riferisce alla “disponibilità della società”, Stiglitz fa riferimento alle scelte che prevarrebbero dietro il “velo di ignoranza”, con un chiaro e ripetuto riferimento a Rawls: “Dietro il velo di ignoranza, la maggior parte valuterebbe l’opportunità di crescere e di cambiare, di imparare e di adattarsi, e una società che coltivasse tali opportunità per tutti i cittadini sarebbe vista come giusta e inclusiva. Dopo tutto, non siamo completamente senza timone nel pensare a queste difficili questioni”.
Sotto il profilo politico, il capitalismo contemporaneo, con l’aumento enorme del potere di mercato di pochissime imprese e dell’influenza politica e culturale di pochissimi individui, sta minacciando la democrazia. La democrazia – nella definizione più riduttiva – è un sistema politico in cui gli individui hanno uguale influenza sulla formazione delle decisioni collettive, indipendentemente dal loro potere economico. Come un’avveduta letteratura di scienza politica ha fatto notare non solo i sistemi democratici contemporanei non riescono a correggere le diseguaglianze, ma sempre più privilegiano le opinioni degli elettori più ricchi e influenti: è il cosiddetto “pro-rich bias”. Infine, come una letteratura ormai sterminata ha dimostrato ampiamente, il capitalismo contemporaneo e i processi di crescita energivori minacciano l’esistenza stessa del pianeta. Come anticipato, quindi, il capitalismo non temperato non è sostenibile dal punto di vista economico-sociale, politico e ambientale.
Esiste un’alternativa? Stiglitz sostiene di sì e la chiama “capitalismo progressivo”, una concezione dell’economia di mercato che offre la speranza di un’economia prospera in una società giusta, libera, e inclusiva. Su questi temi Stiglitz ha sviluppato la sua riflessione più ampia nel libro “People, Power, and Profits: Progressive Capitalism for an Age of Discontent” del 2019.
Il capitalismo progressivo è una concezione aggiornata e ben radicata nella più moderna riflessione economica dell’agenda socialdemocratica, adattata alle specifiche esigenze della competizione politico-elettorale negli USA.
Quando i fallimenti del mercato sono pervasivi si crea ampio spazio per interventi governativi sia per superare le asimmetrie informative e l’accumulazione di potere di mercato sia per affrontarne le conseguenze. Stiglitz radica nella critica del capitalismo contemporaneo la tesi a favore di un ruolo centrale dell’intervento pubblico. Poiché la libertà consiste nella possibilità di ampliare e sfruttare appieno l’insieme di opportunità che ciascun individuo ha, un povero che sta per morire di fame non ha essenzialmente alcuna libertà: può solo cercare di sopravvivere. Ogni volta che ci sono esternalità negative – effetti negativi dell’azione di un individuo sugli altri – l’azione di questo individuo restringe l’insieme di opportunità degli altri e quindi la loro libertà. L’accumulazione di potere di mercato da parte di pochi ha un’enorme esternalità macroeconomica: costringe molti a subire – attraverso l’ampliamento della diseguaglianza – un restringimento del proprio insieme di opportunità. Occorre quindi trovare un bilanciamento (un “compromesso”) tra la libertà d’impresa (la massimizzazione del valore per gli azionisti) e la libertà dei lavoratori e degli altri stakeholders. L’intervento pubblico attraverso la regolamentazione, la legislazione antitrust, la limitazione della protezione della proprietà intellettuale non limita quindi i mercati ma difende la concorrenza e quindi li tutela dalle distorsioni dovute all’accumulazione di potere di mercato, difendendo indirettamente la libertà degli altri soggetti coinvolti nell’attività d’impresa. Si tratta di interventi che hanno l’effetto di limitare la disuguaglianza che si forma nel mercato e quindi, tra l’altro, permettono di ridurre il peso che altrimenti dovrebbe ricadere interamente sulle politiche redistributive, in particolare sulla tassazione.
Stiglitz sostiene che non sempre emerge questa necessità di bilanciamento. Alcuni interventi pubblici — ad esempio gli investimenti nella ricerca di base, nell’istruzione e nelle infrastrutture — possono ampliare le opportunità di tutti gli individui (riducendo le diseguaglianze) anche al netto delle tasse che devono essere imposte per finanziarli. In un’economia moderna basata sulla conoscenza, i benefici dell’intervento pubblico in questo campo sono evidenti.
Ciò è ancora più evidente nel caso del cambiamento climatico. È molto diffusa l’opinione secondo la quale politiche di mitigazione del rischio climatico danneggiano la crescita e il benessere a lungo termine. Ne discenderebbe la necessità di un bilanciamento tra misure che puntano a ridurre le emissioni di CO2 e misure di sostegno alla crescita. In realtà, spiegano Stern e Stiglitz in due recenti articoli, affrontare il cambiamento climatico in modo deciso attraverso sostanziosi investimenti in tecnologie verdi può innescare una crescita più elevata nei prossimi due o tre decenni (N. Stern e J. Stiglitz, “The economics of immense risk, urgent action and radical change: towards new approaches to the economics of climate change”, Journal of Economic Methodology, 2022, 29, 181-216; “Climate change and growth”, Industrial an Corporate Change, 2023, 32, 277-303). Il cambiamento climatico ha conseguenze devastanti non solo in termini di vite umane, ma anche in termini economici. Se non si agisce per frenare il cambiamento climatico bisognerà dirottare risorse crescenti verso la riparazione dei danni alle infrastrutture e al patrimonio immobiliare dovuti alle catastrofi naturali e per l’assistenza sanitaria e finanziaria alle popolazioni maggiormente colpite. Investire oggi per evitare domani queste spese consentirà di avere maggiore crescita e minor rischio climatico.
In conclusione, una Lectio piena di stimoli e di incursioni in terreni limitrofi, come la scienza politica e la filosofia morale. Stay tuned per il prossimo libro di Stiglitz, dal titolo significativo: “Freedom and Liberty”.