ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 195/2023

14 Giugno 2023

Speculazione e inflazione dalla Belle époque alla finanza globale

Paolo Paesani parte dall’analisi delle recenti tendenze inflazionistiche in Italia e in Europa per riflettere sul nesso tra inflazione e speculazione. Prendendo spunto da un recente volume di Alessandro Volpi dedicato a questo tema, Paesani esamina il legame tra sviluppo dei mercati finanziari e speculazione, come si è venuto configurando dalla metà del XIX secolo ai nostri giorni, e le difficoltà che impedisocno di giungere a regolamentare questo legame nell’interesse comune.

Come riportato in un recente articolo del Sole 24, ad aprile 2023 l’ISTAT ha stimato un incremento dello 0,4% su base mensile e dell’8,2% su base annuale dell’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività nazionale. Il dato è in crescita rispetto al +7,6% nel mese precedente e leggermente inferiore alla stima preliminare (+8,3%). Si interrompe così la fase di rientro dell’inflazione, principalmente a causa di una ripresa della dinamica tendenziale dei prezzi dei beni energetici non regolamentati. Che l’aumento dei prezzi dei beni energetici e alimentari sia una delle cause principali dell’inflazione che da molti mesi stiamo sperimentando è noto. Un’ampia messe di studi e di rilevazioni da parte del Fondo Monetario Internazionale, dell’OCSE, della Banca Centrale Europea e di molti altri centri di ricerca conferma l’esistenza di un problema che colpisce tutti i paesi, seppur in maniera diversa. Un lavoro recente di Giuseppe Simone e Mario Pianta si concentra sull’analisi dell’inflazione nel nostro paese, mettendone in luce le cause e gli effetti che sono diversi a seconda delle fasce di reddito. E’ un fatto che i rincari nei prezzi dei beni alimentari e dell’energia colpiscano particolarmente le famiglie con redditi più bassi, che destinano all’acquisto di quei beni una quota relativamente maggiore del proprio reddito rispetto alle famiglie collocate nelle fasce di reddito superiori. 

Figura 1: Inflazione in Italia e nell’UME

Luglio 2019 – Aprile 2023

Fonte: https://www.ecb.europa.eu/stats/macroeconomic_and_sectoral/hicp/html/index.en.html

Se si confronta l’andamento dell’inflazione in Italia (linea verde) e nell’Unione Monetaria Europa (linea blu) nel corso degli ultimi 4 anni (v. Figura 1) è possibile osservare come nei mesi più recenti, fermo restando l’andamento comune, l’inflazione in Italia abbia superato e non di poco il corrispondente dato europeo. Come mostrano gli istogrammi che accompagnano il grafico, l’attuale rialzo dell’inflazione rispetto a un anno fa è trainato principalmente da a cibi e bevande (+12,3%, peso nel paniere pari al 181,4 per mille) e dall’aumento dei costi energetici a livello domestico (+ 16,8%, peso nel paniere 128,7 per mille).

Un libro recente, scritto da Alessandro Volpi, docente di Storia contemporanea all’Università di Pisa (Prezzi alle stelle. Laterza, 2023) affronta il problema del rincaro dei prezzi dei beni alimentari e dei prodotti energetici, collegandolo al tema della finanziariazzazione dei mercati delle commodities e agli effetti di una speculazione finanziaria, libera di agire su quei mercati senza alcun freno. Partendo da questo nucleo, sul quale questa mia nota si sofferma, l’autore estende i suoi argomenti (e le sue critiche) all’analisi della gestione della crisi inflazionistica da parte della Banca Centrale Europea, del governo tedesco e di quello italiano e ad altri argomenti dalle criptovalute al lavoro povero e all’elusione fiscale legalizzata per le grandi multinazionali. 

L’argomento principale proposto da Volpi è che l’attuale inflazione sia largamente causata da movimenti speculativi che poco o nulla hanno a che fare con i fondamentali dell’economia. Sfruttando le possibilità offerte dai derivati finanziari, da quelli tradizionali (contratti forward e future, opzioni, vendite allo scoperto) ai contratti di più recente invenzione (Credit Default Swaps, indici ETF, carbon credits), i grandi speculatori (banche, fondi d’investimento specializzati, multinazionali agricole) avrebbero approfittato delle Guerra in Ucraina per spingere i prezzi dei beni alimentari e dei prodotti energetici a livelli inauditi, traendo da questo immensi profitti. A pagare il prezzo di questa manovra sono le famiglie (e tra di esse le meno abbienti), le piccole e medie imprese che vedono aumentare mese dopo mese la bolletta energetica e i governi obbligati a sottrare risorse pubbliche da impieghi più meritori per fronteggiare il caro energia. 

L’idea che la speculazione, servendosi dei derivati, sia in grado di alterare i prezzi di mercato rispetto ai valori di fondo, determinati sulla base della domanda e dell’offerta, non è nuova. Come approfondito in alcuni lavori lavori con Annalisa Rosselli, questa idea si diffonde intorno agli anni ’60 del XIX secolo insieme allo sviluppo dei mercati organizzati delle materie prime su base globale. E’ allora che i progressi tecnologici nei trasporti, nelle comunicazioni e nelle tecniche di immagazzinaggio contribuiscono all’emergere di mercati mondiali per molti prodotti di base (soprattutto cotone e grano). Allo stesso tempo, le esigenze delle società (principalmente europee e statunitensi) coinvolte in questa rivoluzione stimolano la crescita di mercati di azioni e obbligazioni. 

La crescente complessità dei mercati globali crea condizioni favorevoli alla nascita di una nuova classe di speculatori professionisti, che inizialmente vengono considerati alla stregua di giocatori d’azzardo. Con il tempo, tuttavia, l’osservazione del comportamento di questi speculatori porta alla nascita di una nuova letteratura scientifica che, pur non negando che la speculazione possa occasionalmente destabilizzare i mercati nei quali si manifesta, tende ad adottare la prospettiva opposta, enfatizzandone gli aspetti costruttivi. Questi vanno dalla capacità degli speculatori di anticipare cambiamenti nei fondamentali, così smussando gli effetti di variazioni dei prezzi che si verificherebbero in ogni caso, al ruolo di assicuratore che gli speculatori svolgono nei confronti di produttori e consumatori (vendendo e comprando a termine). 

Il primo trattato in lingua inglese su questi argomenti, dal titolo Speculation on the Stock and Produce Exchanges of the United States, viene pubblicato negli USA nel 1896, alla vigilia della Belle Epoque e costituisce il punto di partenza per parlare di speculazione in maniera scientificamente fondata. L’autore del libro si chiama Henry Crosby Emery (1872 – 1924), ed è stato un economista e un giurista impegnato a promuovere l’apertura dei mercati delle materie prime agli speculatori di professione. In uno dei suoi lavori più interessanti Emery fornisce la descrizione degli effetti derivanti dall’introduzione del divieto di contrattare future sul grano, introdotta in Germania nel 1896 in risposta alla richiesta degli agricoltori tedeschi di fermare la speculazione al ribasso. Emery descrive gli effetti negativi dei divieti e come a causa di tali effetti le misure introdotte dal governo tedesco siano state rapidamente aggirate e quindi infine abolite. L’esempio tedesco è solo uno dei molti che si possono citare per raccontare il lento processo di legittimazione (legalizzazione) dei prodotti derivati e del loro uso nel campo delle materie prime agricole e dei prodotti energetici. Questa legittimazione (legalizzazione) non è disgiunta dalla consapevolezza che a volte la speculazione può destabilizzare i mercati, esponendo consumatori, produttori e piccoli risparmiatori a rischi e perdite insostenibili.

Secondo una visione ottimistica, che trae forza dagli argomenti di Emery e di chi ha sviluppato quegli argomenti nei sessant’anni successivi, le fasi in cui la speculazione ha effetti destabilizzanti sono transitorie e destinate a farsi sempre più rare, via via che i mercati crescono (il che rende più difficile e costoso manipolarli) e gli operatori (e i regolatori) si fanno più esperti, consapevoli dei rischi che corrono e del modo migliore di fronteggiare quei rischi. Secondo la visione pessimistica, che riecheggia i vecchi pregiudizi sulla speculazione come un misto di gioco d’azzardo e rapina, è proprio la crescita dei mercati organizzati ad aumentare le opportunità e gli incentivi per la speculazione a gonfiare o a deprimere i prezzi delle materie prime artificialmente, per trarne profitti in un caso e nell’altro. 

Negli ultimi decenni, questa seconda visione ha tratto forza dall’osservazione della finanziariazzione, un fenomeno di portata globale, che ha investito con forza particolare il mercato delle materie prime. Il termine finanziarizzazione indica l’aumento delle dimensioni e dell’importanza del settore finanziario di un Paese rispetto all’economia complessiva, la crescente presenza della finanza nelle nostre vite ma anche la crescente diversità delle transazioni e degli attori del mercato, nonché la loro intersezione con tutte le parti dell’economia e della società. Nell’ambito di questa evoluzione, le materie prime costituiscono ormai una parte più o meno significativa di tutti i portafogli. 

Come ricorda il Dizionario di Economia e Finanza dell’Enciclopedia Treccani, “La crescita del ruolo della finanziarizzazione è strettamente collegata al processo di innovazione finanziaria avvenuto a partire dagli anni 1980. Tale processo, sospinto dalla deregolamentazione e tradottosi nella creazione e nella diffusione in un mondo sempre più globalizzato di strumenti finanziari oltremodo strutturati e complessi, se in un primo momento può avere favorito lo sviluppo dell’economia, ha poi incoraggiato anche comportamenti incauti, gestioni prive di sani criteri prudenziali e speculazioni spregiudicate; ciò a danno della stabilità dell’intero settore finanziario e, per contagio, di tutto il sistema economico. Nello specifico, l’eccessiva finanziarizzazione del sistema, determinata dal ruolo preminente assunto nel sistema economico dagli intermediari e dagli strumenti finanziari, è ritenuta da molti studiosi una delle concause (o addirittura il fattore scatenante) della crisi economica globale del 2007-08” e oggi della crisi inflazionistica.

Questa è l’impostazione di fondo da cui trae origine l’analisi di Volpi e di molti altri con lui. Questa impostazione, legittima sul piano dei fatti e condivisibile, per gli spunti critici che solleva sia quando analizza lo squilibrio nei rapporti di forza nel mondo della finanza, sia quando critica nel merito molte innovazioni finanziarie di cui è difficile comprendere l’utilità, presenta però due problemi di fondo, uno sul piano analitico, l’altro sul piano di policy. 

Sul piano analitico, l’idea che la speculazione sia un elemento esterno al mercato, una superfetazione, un elemento che si aggiunge in maniera superflua, distorcendole, alla domanda e all’offerta e di cui è possibile fare a meno senza intaccare il funzionamento di fondo del mercato è altamente problematica. Come scrive Emery, e come vale ancora oggi, la domanda e l’offerta espresse dagli speculatori sono reali, legittime e difficilmente distinguibili dalla domanda e dall’offerta, espresse dai consumatori, dai produttori e dagli intermediari che trattano le materie prime e le attività finanziarie. Escludere chi non appartiene a queste categorie è estremamente difficile se non impossibile. Da qui scaturisce il secondo problema. 

Ammesso che si possa tracciare un confine tra speculazione legittima e speculazione illegittima, non è chiaro a chi spetti presidiare questo confine e con quali strumenti. La definanziarizzazione di cui pure si è cominciato a parlare (si veda a titolo di esempio J.H. Lorenzi e M. Berrebi, The Illusion of Definancialization, in A Violent World, Palgrave Macmillan, 2016) pone problemi immensi sul piano tecnico e su quello giuridico, per non parlare della forza degli interessi costituiti che certamente si muoverebbero contro ogni serio tentativo di regolamentare con forza i mercati organizzati e di vietare pratiche e strumenti oggi comunemente accettati. Inoltre, si scontra con la prassi degli ultimi decenni in materia di regolamentazione finanziaria e politica monetaria. Fra gli anni Trenta e i Quaranta i mercati organizzati sono stati progressivamente chiusi e portati sotto il controllo dei rispettivi governi, che anche così si attrezzavano a combattere la Seconda Guerra Mondiale. Nessuno si augura che questo scenario si ripeta in futuro. 

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