ALL'INTERNO DEL

Menabò n. 200/2023

30 Settembre 2023

Lavoro e…mobilità sociale

Il mercato del lavoro potrebbe svolgere un ruolo di agevolazione della mobilità sociale ma, nella realtà, molti fattori lo rendono un’istituzione che favorisce la persistenza della disuguaglianze da una generazione all’altra. Questo articolo esamina i principali tra tali fattori e indica l’insieme di politiche, di diversa natura, che possono contrastare ciascuno di essi, in modo da favorire il realizzarsi di condizioni di pari opportunità nell’accesso ai vari lavori.

“Anche l’operaio vuole il figlio dottore” si cantava nei cortei negli anni in cui nelle piazze, insieme a salari più alti, si rivendicava anche un cambiamento complessivo della società. E in effetti nello spiegare all’amica Contessa il motivo degli scioperi, il protagonista della canzone oltre “i salari aumentati” cita una questione non esclusivamente economica: il lavoro come strumento di mobilità sociale.

A proposito di lavoro e Costituzione, ciò corrisponde ad assegnare al diritto al lavoro (art.4) il compito della Repubblica sancito dall’art.3 (…rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini…). Un ruolo che qui si vuole approfondire entrando nel merito di quali siano le istituzioni e le politiche che possono sostenere le pari opportunità nell’accesso ai diversi lavori.

Una determinante fondamentale della posizione di un lavoratore nella distribuzione salariale è la sua produttività. Ciò rende centrale il processo di accumulazione di conoscenze abilità e competenze, di cui il sistema di istruzione è il pilastro fondamentale. Non è infatti casuale che nei modelli economici il tema stesso della disuguaglianza intergenerazionale riceva la prima micro-fondazione nei modelli di accumulazione del capitale umano, modelli in cui le imperfezioni nel mercato del credito non permettono a chi proviene da famiglie con limitati mezzi economici un investimento sufficiente in istruzione.

Tuttavia, se è vero che esiste una relazione strettissima tra opportunità nel mercato del lavoro e accesso all’istruzione, l’obiettivo della mobilità sociale attraverso il lavoro non si raggiunge semplicemente eliminando gli ostacoli economici alla partecipazione all’istruzione secondaria e terziaria. È vero che le barriere economiche all’istruzione persistono e sono rilevanti anche nei sistemi pubblici come quelli europei. Infatti, anche qui permangono disuguaglianze di opportunità nell’accesso all’istruzione, soprattutto quella terziaria, dovute ai costi indiretti – ad iniziare da quelli di alloggio – come testimoniano le mobilitazioni in corso degli studenti universitari accampati nelle tende che ci ricordano l’insufficienza delle politiche per il diritto allo studio.

Esistono però diversi altri fattori che rendono il mercato del lavoro un’istituzione che preserva le disuguaglianze intergenerazionali piuttosto che promuovere la mobilità sociale. D’altra parte, anche in termini teorici, rileva sia il fatto che le imperfezioni dei mercati si estendano ben oltre il mercato del credito, sia la natura socialmente ‘incorporata’ delle relazioni economiche. Tali fattori si possono raccogliere in tre categorie.

La prima comprende tutti gli ostacoli non economici alla parità di accesso all’istruzione che sono presenti tanto nei sistemi pubblici che in quelli privati. La seconda include invece gli aspetti del processo di formazione del capitale umano individuale che prescindono dall’accesso all’istruzione. L’ultima categoria invece deriva dal fatto che la produttività non è l’unica determinante della retribuzione di un lavoratore: come l’analisi delle disuguaglianze salariali tra uomini e donne testimonia, lavoratori con caratteristiche produttive simili possono ricevere retribuzioni molto diverse. Per affrontare queste tre categorie di ostacoli occorrono istituzioni e politiche diverse sia da quelle tipiche del diritto allo studio cha dalle altre tradizionalmente richiamate in tema di disuguaglianze intergenerazionali quali quelle fiscali come le imposte su eredità e successioni.

La prima categoria, quella delle barriere non economiche, è connessa al disegno istituzionale dei sistemi di istruzione pubblici. Le dimensioni in cui le provenienze familiari rilevano sono due: la qualità e la tipologia dei percorsi scolastici ed universitari. Quanto alla qualità, un ruolo determinante è giocato dalle differenze territoriali. In riferimento alla scuola primaria e secondaria, esiste una eterogeneità spaziale rilevante nella qualità degli Istituti scolastici il cui gradiente si sovrappone molto a quello dei valori immobiliari: nei quartieri dove le abitazioni sono più care la qualità degli istituti scolastici è mediamente migliore.

Negli Stati Uniti alla base del fenomeno c’è una relazione diretta per via fiscale in quanto le imposte locali sugli immobili finanziano l’istruzione. Ma il problema è rilevante anche in Europa dove, nonostante il sistema sia teoricamente uniforme sul piano nazionale o regionale, non esistono sistemi di allocazione o incentivazione dei docenti e di premialità per gli istituti improntati ad obbiettivi di uniformità della qualità dell’offerta. Anzi, dove forme di premialità e incentivi esistono, i loro effetti sono ulteriormente polarizzanti perché basati solo sugli esiti e non sui punti di partenza. A questo si aggiungono poi effetti di “peer”: nei contesti meno agiati si concentrano devianze e disagi a livello del singolo studente che poi impattano su tutta la classe e la scuola. Tali elementi sono esacerbati da meccanismi di allocazione degli studenti che prevedono requisiti di territorialità molto stringenti nonché discrezionalità dei dirigenti scolastici che favoriscono pratiche di cream-skimming.

L’altro elemento nella categoria degli ostacoli non economici riguarda la scelta dei percorsi. In alcuni casi, come nel modello tedesco, la necessità di scegliere percorsi formativi vincolanti già in età molto precoci rafforza la relazione tra background familiare e tipologia di percorso scelto. La minore presenza nei licei di studenti provenienti da contesti meno agiati avviene però anche in sistemi con percorsi meno vincolati. In alcuni casi giocano un ruolo elementi cosiddetti di lock-in: chi frequenta istituzioni migliori in età precoce più probabilmente prosegue in percorsi più “ambiziosi e di qualità”. Inoltre, i percorsi più ambiziosi sono spesso anche quelli più lunghi e per questo più rischiosi: come insegna la prospect theory, le attitudini al rischio variano con le condizioni di partenza, a ciò si aggrava se l’eventuale fallimento portasse a conseguenze più gravi per chi ha minori reti di protezione.

 In altri casi la relazione tra provenienza e percorso intrapreso è legata a fattori comportamentali come aspettative, aspirazioni e pregiudizi, che producono effetti di segregazione. La letteratura sui divari di genere offre, al riguardo, un esempio: nel caso delle lauree STEM, la minore presenza femminile è anche legata a stereotipi che tendono a riprodurre i differenziali da una generazione all’altra. Questi effetti di segregazione di tipo culturale, che si estendono oltre la dimensione di genere, chiamano in causa il sistema di orientamento degli studenti, dalla primaria alla terziaria; si tratta ad oggi di un sistema frammentato, non strutturale, considerato spesso come accessorio e altrettanto spesso relegato a impegni di natura volontaria e non professionale da parte di chi dovrebbe erogare i servizi. Eppure, diverse esperienze hanno dimostrato quanto interventi mirati di orientamento siano efficaci nella riduzione di dispersione, drop out e scelte auto-segreganti (si veda ad esempio il caso dei role model per gli stereotipi di genere).

Questi aspetti comportamentali ci portano alla seconda categoria di ostacoli, quelli che non riguardano direttamente il sistema di istruzione. Aspirazioni, conoscenze, abilità, competenze, si acquisiscono anche tramite esperienze di vita in cui le caratteristiche economiche, sociali e culturali delle famigle contano. Viaggi, incontri, modelli a cui ispirarsi, trasmissione diretta di conoscenza, pratica sportiva, educazione alimentare, sono esempi di circostanze che arricchiscono il capitale umano individuale al difuori del percorso scolastico. Molti di questi gap non sono colmabili, fanno parte della cosiddetta lotteria della nascita. Tuttavia, classi scolastiche socialmente più eterogenee e maggior coinvolgimento delle famiglie nelle scuole possono fare la loro parte. Allo stesso modo sarebbe possibile agire sulle opportunità di viaggio durante il percorso formativo, opportunità che sono diseguali in quanto accessibili totalmente o parzialmente in ragione delle possibilità economiche dei singoli, come avviene per i gemellaggi, le gite scolastiche, e per l’Erasmus. Discorso analogo vale per il diritto allo sport.

La terza categoria di ostacoli alla mobilità sociale attraverso il lavoro non riguarda l’istruzione o il capitale umano in generale. Analizzando i salari, anche a parità di livello di istruzione raggiunto, pemane una premio salariale consistente legato alle provenienze familiari. La letteratura economica tende ad attribuire questo premio agli elementi già elencati nella seconda categoria, ovvero a componenti del capitale umano non osservabili e a fattori di tipo genetico. Tuttavia, un’evidenza richiamata anche sul Menabò suggerisce di considerare ragioni molto diverse: nei settori meno concorrenziali questo premio relativo al background familiare è maggiore.

L’interpretazione di questa evidenza è che oltre ad un capitale produttivo, gli individui sarebbero dotati di un capitale relazionale che prescinde dalla produttività e che può assicurare un rendimento maggiore quando i margini di profitto sono più elevati. Questo capitale, trasmesso intergenerazionalmente, permette di collocarsi in posti di lavoro migliori.

Un premio salariale per caratteristiche non produttive è giustificato in mercati in cui esistono delle rendite e i lavoratori possono contribuire all’estrazione di tali rendite o di benefici privati da parte di chi li assume. Granovetter ha richiamato il caso dei settori oligopolistici in cui la scelta di manager appartenenti ad una stessa cerchia sociale aumenta la capacità di mantenere un cartello implicito. Un altro esempio è la pratica di assumere lavoratori segnalati direttamente dai portatori di interesse locali quando si devono ottenere autorizzazioni o concessioni per operare in una data zona.

Oltre che nel caso di mercati finali non concorrenziali, il meccanismo “relazionale” o di “embeddedness” si può generare per imperfezioni nel mercato del lavoro. Ad esempio, come richiamato sempre in questa rivista nelle professioni regolate le liberalizzazioni diminuiscono le correlazioni intergenerazionali. Si pensi anche al caso delle ex-aziende pubbliche in cui non era raro assistere ad accordi aziendali in cui si facilitava l’assunzione di figli o parenti dei lavoratori Ma un premio nel lavoro legato alle provenienze familiari è possibile anche nel lavoro dipendente. Un meccanismo tipico è quello delle raccomandazioni cui le imprese ricorrono, in contesti di informazione incompleta, per ridurre i costi di ricerca del personale. Essendo le raccomandazioni basate su reti di relazioni socialmente strutturate, la persistenza intergenerazionale ne risulta rafforzata.

Negli ultimi anni, con lo sviluppo di metodologie cosiddette two-way-fixed-effects rese possibili dalla diffusione di basi di dati employer-employee, è emerso come una quota rilevante delle disuguaglianze salariali sia attribuibile alle differenze nelle politiche salariali di impresa. La pratica di pagare diversamente lavoratori con le stesse abilità viene giustificata dalla natura non concorrenziale dei mercati del lavoro in cui le imprese hanno diversi poteri contrattuali. Non conta quindi solo la tipologia di occupazione e il livello di inquadramento, è importante anche l’impresa presso cui si è impiegati. Utilizzando lo stesso approccio, in un lavoro in corso presso Visitinps, si mostra che i premi salariali a livello di impresa svolgono un ruolo determinante anche nello spiegare il premio salariale al background familiare. In altre parole, a parità di abilità, lavoratori che provengono da contesti migliori vengono assunti in imprese che mediamente pagano meglio i lavoratori. Anche in questo caso il meccanismo del capitale relazionale offre una spiegazione plausibile. Si potrebbe, poi, aggiungere il fatto che chi proviene da contesti più svantaggiati, specialmente all’inizio della carriera lavorativa, non può permettersi di affrontare periodi di ricerca di lavoro lunghi e perciò accetta più facilmente lavori peggiori.

Quest’ultima categoria di ostacoli rafforza poi la prima: se, a parità di livello di istruzione, il background è comunque rilevante, chi proviene da contesti migliori ha più incentivi a studiare, e viceversa.

Nel caso degli ostacoli alla parità effettiva nell’accesso all’istruzione è necessario un ridisegno di alcuni meccanismi istituzionali che abbiano l’esplicito obiettivo di assicurare la parità delle opportunità senza limitarsi al solo costo economico. Diversamente, per la terza categoria di ostacoli è necessario un insieme di politiche, diverse da quelle dell’istruzione. Liberalizzazione delle professioni e dei mercati finali, sistemi pubblici efficienti di intermediazione domanda-offerta, indennità di disoccupazione più estese, forme di reddito di inserimento, politiche di riduzione del potere dei datori di lavoro come quelle di formazione generica, trasparenza dei regimi concessori, politiche di orientamento al lavoro. Sono solo alcuni esempi delle caratteristiche di un percorso nuovo, tutto da costruire, che può trasformare il lavoro in uno strumento vero di mobilità sociale e condurre a un mondo in cui le disuguaglianze sono minori e più accettabili.

“Pensi che ambiente che può venir fuori, non c’è più morale contessa”.

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